Giurisprudenza - COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE TOSCANA - Ordinanza 29 settembre 2014

IVA - Violazioni relative alle esportazioni - Mancata presentazione, nei termini previsti, da parte del cedente o del prestatore, della comunicazione di cui all'art. 1, comma 1, lettera c), ultimo periodo, del decreto-legge n. 746 del 1983, convertito, con modificazioni, nella legge n. 17 del 1984 - Applicazione della sanzione amministrativa prevista dall'art. 7, comma 3, del D.Lgs. n. 471 del 1997 - Art. 7, comma 4-bis, del D.Lgs. n. 471 del 1997 inserito dall'art. 1, comma 383, della legge 30 dicembre 2004, n. 311

 

Osserva

 

1. - Con atto n. T8BCO0801262 2010, l'Ufficio controlli della Direzione provinciale di Firenze dell'Agenzia delle entrate aveva contestato alla S.r.l. M. la mancata presentazione telematica di n. 3 dichiarazioni di intento inviate dalle soc. N. S.r.l., M.N. spa e M. spa a seguito delle quali la M. S.r.l. aveva emesso fatture in regime di non imponibilità IVA, ai sensi dell'art. 8 D.P.R. n. 633/1972. Le dichiarazioni telematiche avrebbero dovuto essere presentate all'Ufficio fiscale nell'anno 2007, mentre sono state presentate il 12 marzo 2009.

L'atto di contestazione dell'Ufficio, in data 11 novembre 2010, preso atto che da tali comunicazioni tardive si ricavava un'imposta sul valore aggiunto non corrisposta di € 174.950,30, ha provveduto alla determinazione della sanzione amministrativa pecuniaria per il corrispondente importo di € 174.950,30. Successivamente e cioè in data 11 luglio 2011, l'Agenzia delle entrate ha notificato l'atto di irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria, sempre per l'importo di € 174.950,30.

2. - La S.r.l. M. ha proposto ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Firenze la quale lo ha respinto affermando l'infondatezza della tesi della contribuente secondo cui il ritardo nella presentazione della dichiarazione telematica darebbe luogo ad una violazione meramente formale, che non sarebbe causa di danno erariale.

La Commissione ha invece ritenuto «che la telematica comunicazione consenta all'agenzia un potere immediato di controllo nei confronti oltre che del contribuente stesso anche nei confronti del committente che ha presentato la dichiarazione di intento ed eventuale infedeltà della dichiarazione medesima. A fronte di una specifica disposizione di legge appare legittima l'applicazione della sanzione fatta dall'Agenzia delle entrate».

La S.r.l. M. ha proposto appello avverso tale decisione ribadendo che la violazione contestata derivi da un «mero errore formale che non ha portato ad alcuna ipotesi evasiva o ad alcun arricchimento della ricorrente a danno dell'erario».

L'appellante ha poi proceduto alla ricostruzione del fatto esponendo quanto segue:

«Le clienti N. S.r.l., M. S.p.a. e M.N. S.p.a. avevano comunicato a M. S.r.l. di volersi avvalere della facoltà prevista per i soggetti che effettuano cessioni all'esportazione di acquistare beni senza addebitarvi l'imposta sul valore aggiunto, ai sensi dell'art. 8 D.P.R. n. 633/71 [recte: 72]. In seguito, pertanto, M. S.r.l. ha emesso le fatture a N. S.r.l. e M. S.p.a. (mentre non ne ha emesse nei confronti di M.N. S.p.a.) senza l'addebito dell'Iva, annotando anche correttamente tutte le dichiarazioni di intento ricevute sul registro cartaceo tenuto, così come confermato anche dall'Ufficio nell'atto impugnato. La Società appellante semplicemente non ha comunicato telematicamente con tempestività all'Amministrazione finanziaria le dichiarazioni d'intento, avendovi comunque provveduto - sia pure in un termine successivo - e senza che fosse stata precedentemente mossa alcuna contestazione. Infatti, M. S.r.l., in data 12 marzo 2009 ha inviato la comunicazione telematica delle dichiarazioni di intento ricevute e in base alle quali la medesima aveva emesso fatture in regime di imponibilità Iva ai sensi dell'art. 8, comma 2, D.P.R. n. 633/1972».

Prosegue l'appello affermando:

a) l'assenza assoluta di indebito arricchimento da parte della Società risulta dalla circostanza che, trattandosi dell'applicazione dell'art. 8, comma 2, D.P.R. n. 633/1972, non sarebbe stata comunque versata alcuna somma a titolo di imposta sul valore aggiunto;

b) tenendo conto della violazione meramente formale, l'elevata sanzione costituisce violazione del principio di capacità contributiva che informa l'ordinamento tributario interno, nonché del principio di proporzionalità sancito dal diritto comunitario;

c) il termine per la presentazione della dichiarazione di intento non può considerarsi perentorio, perché tale non è qualificato dalla legge e non è perciò stabilito a pena di decadenza;

d) il comportamento sanzionato non sta nel tardivo invio della dichiarazione bensì soltanto nella sua omissione, mentre lo spontaneo adempimento esclude qualsiasi rilevanza della eventuale colpevolezza di colui che avrebbe dovuto provvedere. L'appellante ha richiamato sentenze della Corte di giustizia della Comunità europea nelle quali è statuito, in relazione al principio di proporzionalità, che non è lecito comminare sanzioni totalmente sproporzionate rispetto alla gravità dell'infrazione, mentre nel caso concreto non vi è alcun ragionevole rapporto fra la gravità della sanzione e il comportamento sanzionato, che non ha prodotto alcun danno all'Erario.

L'appellante ha richiamato inoltre il principio di cui al comma 5-bis dell'art. 6 decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, in base al quale «non sono punibili le violazioni che non arrecano pregiudizio all'esercizio delle azioni di controllo e non incidono sulla determinazione della base imponibile, dell'imposta e sul versamento del tributo».

3. - La Direzione provinciale di Firenze dell'Agenzia delle entrate si è costituita in giudizio depositando proprie controdeduzioni, con le quali ha osservato che la tesi dell'appellante circa la asserita assenza di danno all'Erario è irrilevante, in quanto vi è un'espressa previsione normativa da cui deriva il potere sanzionatorio dell'Amministrazione. Si tratta del comma 4-bis dell'art. 7, decreto legislativo n. 471/1997 il quale dispone: «E' punito con la sanzione prevista dai comma 3 il cedente o il prestatore che omette di inviare, nei termini previsti, la comunicazione, di cui all'art. 1, comma 1, lettera c), ultimo periodo del decreto-legge 29 dicembre 1983 n. 746, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 1984, n. 17, o la invia con dati incompleti o inesatti».

Poiché l'art. 1, lettera c), decreto-legge n. 746/1983 obbliga il cedente o il prestatore a comunicare all'Agenzia delle entrate, esclusivamente per via telematica, entro il giorno 16 del mese successivo, i dati contenuti nella dichiarazione ricevuta, la violazione sanzionata si configura pur se il cedente abbia tenuto il registro cartaceo ed abbia effettuato tardivamente l'invio della comunicazione, come nel presente caso (con ritardo di circa due anni).

Inoltre, certamente si configura il danno all'Erario perché anche la tardiva comunicazione impedisce all'Amministrazione il tempestivo esercizio di immediate forme di controllo. 

Né rileva il principio della capacità contributiva, perché nel caso di specie non si tratta di questioni attinenti al tributo bensì all'ammontare della sanzione. 

Anche principio di proporzionalità è erroneamente invocato perché la gravità della sanzione non deve essere commisurata all'entità del danno erariale, bensì all'abuso commesso che ostacola gli opportuni controlli da parte dell'Erario.

L'importo della sanzione deve essere valutato in base a parametri analoghi a quelli previsti nell'ordinamento interno per infrazioni della stessa natura e della stessa gravità, che conferiscono alla sanzione carattere effettivo, proporzionato e dissuasivo.

4. - Prima di entrare nel merito della questione di costituzionalità, appare opportuno richiamare brevemente il quadro normativo in materia.

L'art. 8 D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 qualifica ed elenca le cessioni all'esportazione non imponibili.

Il decreto-legge 29 dicembre 1983, n. 746, convertito in legge 27 febbraio 1984, n. 17, all'art. 1, lettera c), fra le condizioni per l'applicabilità delle disposizioni di cui alla lettera c) del primo comma e al secondo comma dell'art. 8 D.P.R. n. 633/1972 (cessioni e prestazioni di servizi rese a soggetti che, avendo effettuato cessioni all'esportazione con operazioni intracomunitarie, si avvalgono della facoltà di acquistare o importare beni e servizi senza pagamento dell'imposta), ha prescritto che «l'intento di avvalersi della facoltà di effettuare acquisti o importazioni senza applicazione della imposta risulti da apposita dichiarazione, redatta in conformità al modello approvato con decreto del Ministro delle finanze, contenente l'indicazione del numero di partita IVA del dichiarante nonché l'indicazione dell'ufficio competente nei suoi confronti, consegnata o spedita al fornitore o prestatore, ovvero presentata in dogana, prima dell'effettuazione della operazione».

L'art. 1, legge 30 dicembre 2004, n. 311, comma 381, ha aggiunto all'art. 1, comma 1, lettera c) del decreto-legge n. 746/1983 la disposizione secondo cui l'obbligo di comunicazione all'Agenzia delle entrate, da parte del ricevente o prestatore, dell'esercizio della facoltà di effettuare acquisti o importazioni senza applicazione dell'imposta deve essere adempiuto «esclusivamente per via telematica entro il giorno 16 del mese successivo»; tale obbligo riguarda la comunicazione dei dati contenuti nella dichiarazione ricevuta.

La configurazione di una procedura formale da osservare in tempi predeterminati comporta la sanzionabilità dei casi in cui siano violati gli obblighi relativi.

La sanzione è stabilita dal comma 383 dello stesso art. 1 ora ricordato, il quale ha inserito il comma 4-bis all'art. 7 decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471 disponendo che è punito con la sanzione di cui al comma 3 dello stesso art. 7 «il cedente o il prestatore che omette di inviare, nei termini previsti, la comunicazione» sopra detta (prevista dall'art. 1, comma 1, lettera "c" ultimo periodo decreto-legge 29 dicembre 1983, n. 746 convertito in legge 27 febbraio 1984, n. 17).

Il comma 3 dell'art. 7 stabilisce che «è punito con la sanzione amministrativa dal 100 al 200 per cento dell'imposta, fermo l'obbligo del pagamento del tributo» chi effettua operazioni senza addebito di imposta, in mancanza della dichiarazione di intento di cui all'art. 1, comma 1, lettera c), decreto-legge n. 746/1983.

5. - Il sistema sanzionatorio deve essere esaminato nel suo complesso, perciò prendendo in considerazione anche altre ipotesi di violazione di obblighi. Ci riferiamo all'art. 7, comma 4 dello stesso decreto legislativo n. 471/1997, in base al quale è prescritta identica sanzione a carico di «chi, in mancanza dei presupposti richiesti dalla legge, dichiara all'altro contraente o in dogana di volersi avvalere della facoltà di acquistare o di importare merci e servizi senza pagamento dell'IVA».   In forza del comma 5 dell'art. 7 si applica la sanzione amministrativa nella stessa misura a carico di chi «nelle fatture o nelle dichiarazioni in dogana relative a cessioni alla esportazione, indica quantità, qualità o corrispettivi diversi da quelli reali».

Pertanto in base al sistema di cui all'art. 7, decreto legislativo n. 471/1997, dopo l'inserimento, da parte dell'art. 1, comma 383 del comma 4-bis, la stessa sanzione si applica per la semplice omissione di invio della comunicazione nei termini previsti, per la mancanza della dichiarazione di intento, per la dichiarazione in assenza dei relativi presupposti, anche se soltanto nel primo caso non vi è o può non esservi il mancato pagamento del tributo.

Evidentemente è ritenuto ex lege che l'omissione della comunicazione nei termini reca pregiudizio all'azione di controllo e che per questo motivo tale omissione non è costitutiva di mera violazione formale.

Questa scelta del legislatore non è di per sé censurabile, perché non è seriamente contestatibe che, seppure in limitata misura, l'omissione abbia per l'azione di controllo quel carattere pregiudizievole che è il presupposto logico-giuridico della previsione normativa.

E' proprio per questo motivo che non può essere accolta la tesi del contribuente circa l'applicabilità alla fattispecie delle disposizioni che dichiarano la non punibilità delle violazioni meramente formali e che non arrecano pregiudizio all'esercizio dell'azione di controllo dell'Agenzia delle entrate (v. sul punto Cassazione Sez. Trib. 8 marzo 2013, n. 5897), acquistando perciò sicura rilevanza la valutazione della costituzionalità del sistema sanzionatorio sopra sinteticamente ricordato.

6. - Ad un primo esame appare configurarsi una stridente disparità, nel momento stesso in cui comportamenti diversi e produttivi di diversi effetti, sia riguardo all'intralcio che possono provocare rispetto all'esercizio dei poteri dell'Amministrazione sia riguardo al versamento dei tributi dovuti in base alla legge, sono assoggettati alla stessa sanzione, non rilevando da questo punto di vista la graduazione della sanzione medesima (dal 100 al 200 per cento dell'imposta), rimessa alla discrezionalità dell'ente impositore.

Occorre però verificare se questa situazione normativa sia tale da risolversi in termini di violazione dei principi e delle norme costituzionali, tenendo doverosamente conto dei precedenti giurisprudenziali dell'ecc.ma Corte.

In materia ci sembra opportuno richiamare la sentenza Corte cost. 30 luglio 1997, n. 291, la quale osserva che anche riguardo alle sanzioni tributarie «il legislatore gode di ampia discrezionalità, con il solo limite della non arbitrarietà o palese irragionevolezza delle scelte». Ne consegue che il problema in esame può essere risolto sulla base di tale criterio, cioè valutando se l'identità di sanzioni nelle ipotesi diverse sopra richiamate travalichi i limiti segnati dalla Corte, cadendo nella arbitrarietà o palese irragionevolezza delle scelte.

D'altronde, come opportunamente osserva il ricorrente, il sistema comunitario riguardante l'imposta sul valore aggiunto è ispirato al principio di proporzionalità. Si veda la decisione della Corte di giustizia dell'Unione europea 29 luglio 2010, n. 188/09 nella quale il carattere forfettario di una sanzione è stato giudicato contrastante col principio di proporzionalità, perché l'aliquota fissa, derivante proprio dal carattere forfettario, determina la «assenza di rapporto fra tale importo e quello risultante dagli errori eventualmente commessi dal soggetto passivo» (v. anche la sentenza della stessa Corte di giustizia del 9 febbraio 2012, n. 212/10).

E' poi utile ricordare che, in linea generale, la Corte (v. sentenza 19 luglio 2012, n. 263/11), ha rimesso al Giudice nazionale la verifica se la norma di diritto nazionale sia contraria al principio di proporzionalità: tale verifica consiste nell'accertare «se l'importo della sanzione non ecceda quanto necessario per conseguire gli obiettivi consistenti nell'assicurare l'esatta riscossione dell'imposta ed evitare l'evasione».

7. - D'altronde, anche se il principio di proporzionalità ha avuto la sua massima espressione ed applicazione nell'ordinamento comunitario, non è affatto estraneo a quello nazionale sia in ragione del necessario adeguamento all'ordinamento comunitario sia - non meno - perché tale principio deve essere individuato anche nell'ambito dell'ordinamento nazionale, seppure talvolta sia stato espresso in termini di ragionevolezza della norma (il che ricomprende necessariamente la verifica della proporzionalità, quando si sia in tema di sanzioni).

Si veda ad es. Cons. Stato Sez. VI 6 agosto 2013, n. 4117 che sostanzialmente equipara il principio di ragionevolezza a quello di proporzionalità in un caso di sanzione per false dichiarazioni nell'ambito di pubbliche gare.

Si veda anche Cons. Stato Sez. VI 5 agosto 2013, n. 4085 che richiama il «principio generale di proporzionalità» nella determinazione di sanzione amministrativa pecuniaria da parte dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato in un caso di pratiche commerciali scorrette. Si veda anche Tribunale amministrativo regionale Toscana Sez. I 16 dicembre 2010, n. 6770, secondo cui è violato proprio il principio di proporzionalità nel caso in cui è sanzionato con esclusione dalla gara non soltanto il mancato versamento del contributo all'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, ma anche il fatto che il pagamento sia avvenuto tempestivamente con modalità diverse da quelle prescritte, perché in quest'ultimo caso la sanzione risulta eccessiva e non proporzionata rispetto all'obbiettivo di garantire il pagamento del contributo dovuto.

Altrettanto merita attenzione l'applicazione del principio di proporzionalità da parte della Corte di cassazione, in particolare in tema di rapporti di lavoro, riguardo alla relazione tra addebito al lavoratore e recesso del datare di lavoro nonché riguardo all'inadempimento del lavoratore ai propri doveri in relazione alla sanzione disciplinare irrogata.

8. - A questo punto è importante ricordare che della questione in esame si è già occupata la Commissione tributaria regionale della Lombardia con sentenza del 17 dicembre 2012 che ha rilevato che «nel rispetto del diritto comunitario e dei suoi principi generali e, quindi, anche del principio di proporzionalità», si configura il divieto di «imporre sanzioni sproporzionate rispetto alla gravità dell'infrazione». Questa affermazione trova il suo presupposto nell'opinione che la violazione in questione non abbia carattere sostanziale e non comporti alcuna perdita di gettito per l'Erario. La conseguenza che la decisione ne trae è che non sia applicabile la sanzione di cui all'art. 7, comma 4-bis, decreto legislativo n. 471/1997 ma, in luogo di essa, sia applicabile la minore sanzione di cui all'art. 11, comma 1, lettera a) dello stesso decreto legislativo, stabilita in misura fissa da € 258,00 a € 2.065,00.

Quest'ultima sanzione riguarda «altre violazioni in materia di imposte dirette e di imposta sul valore aggiunto», come tali diverse da quelle stabilite dalle precedenti disposizioni di cui all'art. 7.

Ad avviso di questo Collegio la valutazione della Commissione tributaria regionale della Lombardia va presa in considerazione perché esprime il convincimento che, nel caso di specie, l'art. 7, comma 4-bis, decreto legislativo n. 471/1997 sia costitutivo di violazione del principio di proporzionalità. Ma da questa affermazione la sentenza in esame ricava deduzioni che risultano non accettabili innanzitutto perché, avendo il legislatore previsto una specifica sanzione per la violazione in esame, non appare corretto, in base al generale principio di legalità, che il Giudice sostituisca ad libitum una diversa sanzione rispetto a quella puntualmente prevista dal legislatore; in secondo luogo si pone il problema della nozione di violazione di carattere sostanziale recepita dalla sentenza, rispetto alla violazione di carattere formale, posto che la prima, soltanto in una valutazione restrittiva, può apparire verificarsi unicamente quando la violazione si traduca in diretta perdita di gettito per l'Erario, potendo invece avere lo stesso carattere sostanziale anche quando sia impedita o elusa più o meno scientemente l'azione di controllo dell'Amministrazione.

E' per queste ragioni che, ad avviso di questo Collegio, la verifica della violazione del principio di proporzionalità, ove avvenga, debba tradursi nell'eliminazione dall'ordinamento della disposizione che lo viola e non già nell'applicazione di una norma diversa.

9. - Rilevanza e non manifesta infondatezza

Non possono sollevarsi seri dubbi circa la rilevanza della questione di costituzionalità, perché è rimesso al giudizio della Corte l'accertamento dell'eventuale contrasto con la Costituzione della norma sanzionatoria applicata dall'Agenzia delle entrate, perciò verificandosi l'effetto che, se il giudizio di costituzionalità dovesse risolversi nel senso ritenuto dalla presente ordinanza di rinvio, la norma sanzionatoria sarebbe cancellata dall'ordinamento e la sanzione applicata verrebbe meno.

D'altronde l'interpretazione della disposizione in esame è l'unica possibile: non è prospettabile una diversa interpretazione costituzionalmente orientata della stessa, in considerazione del carattere assolutamente vincolante della prescrizione che vi è contenuta.

Sotto il profilo della non manifesta infondatezza, è utile ribadire che l'art. 7, decreto legislativo n. 471/1997 accomuna nell'unica sanzione pecuniaria una serie di violazioni delle norme tributarie fra loro intrinsecamente diverse, dovendosi aggiungere che la fattispecie contemplata dal comma 4-bis, che interessa il presente caso, è differenziata dalle altre soprattutto perché sanziona un comportamento che di per sé non costituisce manifestazione di evasione fiscale ed è anzi estraneo al versamento dell'imposta che, nel caso di specie, è escluso dallo stesso legislatore.

Riguardo alla «ragionevolezza», quale criterio nell'ambito del quale si situa il criterio della «proporzionalità» proprio perché «ragionevolezza» dei sistemi sanzionatori significa «proporzione» con l'entità degli obblighi violati, nella loro intrinseca consistenza e in relazione agli effetti dannosi che ne derivano, l'ecc.ma Corte si è più volte espressa con riferimento a diverse discipline normative: così Corte costituzionale 17 novembre 2010, n. 331 e seguenti riguardo a preclusioni di leggi regionali all'installazione di impianti di produzione di energia elettrica nucleare; Corte costituzionale 13 luglio 2011, n. 211 riguardo alla disposizione di cui all'art. 48, comma 1, seconda parte, decreto legislativo n. 163/2006; Corte costituzionale 18 luglio 2011, n. 214 riguardo alle aliquote ridotte per l'applicazione dell'ICI ad alloggi di edilizia economica e popolare; Corte costituzionale 28 ottobre 2011, n. 281 riguardo al prezzo di assegnazione allo Stato dell'immobile dopo il terzo incanto negativo ex art. 85, comma 1, D.P.R. n. 602/1973.

Perciò in relazione a quanto sopra osservato emerge la violazione dell'art. 3 Cost., sotto il profilo della violazione del principio di ragionevolezza nella sua manifestazione in termini di proporzionalità, quale emerge dal quadro complessivo del sistema sanzionatorio.

Infatti, anche se il ritardo nella comunicazione in esame all'Agenzia delle entrate deve essere sanzionato, non si vede come il comportamento omissivo, che è del tutto estraneo all'adempimento degli obblighi tributari in termini di versamento delle imposte dovute, possa essere ragionevolmente equiparato ai comportamenti che con varie modalità rendono emergente l'infedeltà del contribuente proprio perché finalizzati ad evitare il pagamento dei tributi.

La palese differenza delle situazioni sia riguardo all'illiceità commessa dal contribuente, sia riguardo agli effetti che produce sulla percezione delle entrate da parte dello Stato, non può tradursi meramente sul piano della discrezionalità del legislatore, proprio perché si tratta di situazioni che ragionevolmente non possono essere valutate nello stesso modo.

Ciò è sufficiente ai fini della verifica della non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità.

In conclusione il Collegio ritiene di dover sollevare, alla luce dell'art. 3 Cost., la questione di costituzionalità dell'art. 7, comma 4-bis, decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, inserito dall'art. 1, legge 30 dicembre 2004, n. 311, nella parte in cui prescrive che è punito con la sanzione prevista nel comma 3 dello stesso art. 7 il cedente o il prestatore che omette di inviare, nei termini previsti, la comunicazione di cui all'art. 1, comma 1, lettera c), ultimo periodo, del decreto-legge 29 dicembre 1983, n. 746, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 1984 n, n. 17 in tal modo equiparando sotto il profilo sanzionatorio tutte le violazioni relative alle esportazioni previste dai commi 3 e 6 del citato art. 7.

Poiché il presente giudizio non può essere definito indipendentemente dalla risoluzione di tale questione, ai sensi dell'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87, ne conferma la già disposta sospensione e altresì dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.

Ordina che, a cura della segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai presidenti delle due Camere del Parlamento.

 

P.Q.M.

 

ritenuta non manifestamente infondata e rilevante la questione di legittimità costituzionale sopra illustrata;

visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87;

sospeso il presente giudizio;

Ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;

Ordina che la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai presidenti delle due Camere del Parlamento.

 

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Provvedimento pubblicato nella G.U. della Corte Costituzionale 22 maggio 2019, n. 21.