Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 21 giugno 2018, n. 16474

Tributi - Reddito d’impresa - Accertamento - Indagini bancarie - Processo tributario

 

Rilevato che

 

1. In controversia relativa ad impugnazione di due avvisi di accertamento di maggior reddito d'impresa ai fini IVA, IRAP ed IRPEF per gli anni di imposta 2008, 2009 e 2010, emessi sulla scorta delle risultanze di accertamenti bancari espletati sui conti correnti intestati e comunque riconducibili al contribuente, «esercente l'attività imprenditoriale di "alberghi" ed "altri lavori di demolizione"», l'Agenzia delle entrate ricorre per cassazione, sulla base di due motivi, cui non replica l'intimato, avverso la sentenza in epigrafe indicata con cui la CTR, ritenuta non contestata la decisione di primo grado con riferimento all'anno di imposta 2010, avendo la CTP confermato in toto l'avviso di accertamento dell'ufficio, con riferimento alle annualità 2008 e 2009 aveva invece rigettato l'appello proposto dall'ufficio alla sfavorevole sentenza di primo grado, condividendo l'operato dei giudici di primo grado, che, pur confermando l'indeducibilità di una serie di costi, avevano ritenuto giustificati i movimenti bancari sulla base della ingente disponibilità di danaro documentata dal contribuente.

2. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis cod. proc. civ., risulta regolarmente costituito il contraddittorio.

3. Il Collegio ha disposto la redazione dell'ordinanza con motivazione semplificata.

 

Considerato che

 

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la nullità della sentenza per difetto di motivazione sub specie di motivazione apparente, in violazione e falsa applicazione degli artt. 36 dlgs. n. 546 del 1992 e 112 cod. proc. civ.

2. Il motivo è fondato e va accolto.

2.1. Costituisce ius receptum il principio secondo cui il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (Cost., art. 111, sesto comma), e cioè dell'art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. (in materia di processo civile ordinano) e dell'omologo art. 36, comma 2, n. 4, d.lgs. n. 546 del 1992 (in materia di processo tributario), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l'iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata; l'obbligo del giudice «di specificare le ragioni del suo convincimento», quale «elemento essenziale di ogni decisione di carattere giurisdizionale» affermazione che ha origine lontane nella giurisprudenza di questa Corte e precisamente alla sentenza delle sezioni unite n. 1093 del 1947, in cui la Corte precisò che «l'omissione di qualsiasi motivazione in fatto e in diritto costituisce una violazione di legge di particolare gravità» e che «le decisioni di carattere giurisdizionale senza motivazione alcuna sono da considerarsi come non esistenti» (in termini, Cass. n. 2876 del 2017; v. anche Cass., Sez. U., n. 16599 e n. 22232 del 2016 e n. 7667 del 2017 nonché la giurisprudenza ivi richiamata);

2.2. Inoltre, con riferimento alle ipotesi, come quella in esame, di rinvio per relationem alla sentenza di primo grado, questa Corte (cfr. Cass. n. 22022 del 2017) «ha ripetutamente statuito che la motivazione per relationem è valida a condizione che i contenuti mutuati siano fatti oggetto di autonoma valutazione critica e le ragioni della decisione risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo (Cass., S.U. 14814/08 e 642/15), specificando che il giudice d'appello è tenuto ad esplicitare le ragioni della conferma della pronuncia di primo grado con riguardo ai motivi di impugnazione proposti (Cass. sez. V, nn. 4780/16, 6326/16; Cass. S.U. n. 8053/14; conf. ex multis, Cass. sez. V, nn. 16612/15, 15664/14, 12664/12, 7477/11, 979/09, 13937/02), sicché deve considerarsi nulla — in quanto meramente apparente — una motivazione la cui laconicità non consenta di appurare, come nel caso di specie(per come si dirà di qui a breve), che alla condivisione della decisione di prime cure il giudice d'appello sia pervenuto attraverso l'esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame, previa specifica ed adeguata considerazione delle allegazioni difensive, degli elementi di prova e dei motivi di appello proposti (ex multis Cass. sez. V, nn. 3320/16, 25623/15, 1573/07, 2268/06, 25138/05, 13990/03, 3547/02)».

3. Nella fattispecie il rinvio che la CTR opera alla sentenza di primo grado è fatto in evidente ed insanabile difformità al principio giurisprudenziale appena sopra enunciato, essendosi i giudici di appello limitati a ritenere «giustificato l'operato dei giudici della CTP che hanno in modo analitico verificato i punti più significativi della controversia e in particolare la documentazione agli atti processuali per addivenire ad una sentenza equa che non fosse in contrasto con i principi di logicità, di giustizia tributaria e di ragionevolezza»; in pratica, i giudici di appello si sono limitati a controllare l'operato della CTP, senza alcuna valutazione critica dei motivi di appello e, peggio ancora, senza alcun esame dei documenti processuali, in particolare di quelli esibiti dalla parte contribuente, che la CTR non individua specificamente, neppure quelli attestanti «l'esistenza di ingenti disponibilità da parte del contribuente», limitandosi a ritenerla sufficiente a giustificare le movimentazioni bancarie accertate e criticando l'operato dell'ufficio che si era limitata «ad una applicazione della norma in modo acritico e formale senza però addurre a sua volta una adeguata motivazione»; affermazione, questa, palesemente in contrasto con i noti principi giurisprudenziali in materia di accertamenti bancari.

3.1. Infatti, in tale materia, all'onere probatorio gravante sul contribuente che vuole superare la presunzione legale posta dalle predette disposizioni a favore dell'Erario — che, avendo fonte legale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall'art. 2729 cod. civ. per le presunzioni semplici —, di fornire non una prova generica, ma una prova analitica (sul punto, v. Cass. 26111 del 2015 e la copiosa giurisprudenza ivi richiamata) idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non sono riferibili ad operazioni imponibili, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle singole operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili (in termini, Cass. n. 18081 del 2010, n. 22179 del 2008 e n. 26018 del 2014), corrisponde l'obbligo del giudice di merito, da un lato, di operare una verifica rigorosa dell'efficacia dimostrativa delle prove fornite dal contribuente a giustificazione di ogni singola movimentazione accertata, rifuggendo da qualsiasi valutazione di irragionevolezza ed inverosimiglianza dei risultati restituiti dal riscontro delle movimentazioni bancarie — in quanto il giudizio di ragionevolezza dell'inferenza dal fatto certo a quello incerto è già stato stabilito dallo stesso legislatore con la previsione, in tale specifica materia, della presunzione legale (Cass. n. 21800 del 2017) —, e, dall'altro, di dare espressamente conto in sentenza delle risultanze di quella verifica; al riguardo ricordandosi che questa Corte ha anche precisato che in mancanza di espresso divieto normativo e per il principio di libertà dei mezzi di prova, il contribuente può fornire la prova contraria anche attraverso presunzioni semplici, dovendo in questo caso il giudice di merito «individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (purché grave, preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell'ammontare e nel contesto complessivo, senza ricorrere ad affermazioni apodittiche, generiche, sommarie o cumulative» (Cass. n. 11102 del 2017).

4. Nel caso di specie, l'essersi ingiustificatamente sottratta alle attività sopra descritte, ha impedito ai giudici di appello di specificare o illustrare le ragioni della decisione assunta, e cioè di chiarire su quali specifiche risultanze probatori ha fondato il proprio convincimento, quale fosse la portata dimostrativa dei documenti prodotti dalla parte rispetto ai movimenti bancari contesta, e sulla base di quali argomentazioni è pervenuta alla propria determinazione, rendendo quindi una motivazione apparente.

5. Le insussistenti argomentazioni svolte dai giudici di appello per annullare gli avvisi di accertamento emessi a carico del contribuente rende ragione anche della fondatezza del secondo motivo di ricorso — che resta comunque assorbito — con cui la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 32 d.P.R. n. 600 del 1973, 51 d.P.R. n. 633 del 1972, 2728 e 2697 cod. civ. (al riguardo cfr. Cass. n. 5152, n. 5153, n. 19807 e n. 19806 del 2017, n. 18065, n. 18066, n. 18067, n. 16686, n. 16699, n. 16697, n. 11776, n. 6093 del 2016; Sez. 6-5, ord. n. 7453, n. 9078 e n. 19029 del 2016), lamentando che la CTR aveva erroneamente attributo rilevanza — pur non avendone alcuna — alla esosità dei risultati dell'accertamento e all'elusione di un obbligo motivazionale da parte dell'amministrazione finanziaria, che si era limitata «ad una applicazione della norma in modo acritico e formale senza però addurre a sua volta una adeguata motivazione».

6. Conclusivamente, va accolto il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla competente CTR che provvederà ad una nuova valutazione delle questioni di merito, fornendo adeguata e congrua motivazione nel rispetto dei principi giurisprudenziali sopra richiamati, nonché alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale della PUGLIA, Sezione staccata di FOGGIA, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.