Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 18 luglio 2019, n. 19310

Tributi - Imposta di registro - Atto istitutivo del trust - Atto a contenuto non patrimoniale - Imposta in misura fissa - Assoggettamento a imposta sulle successioni e donazioni - Esclusione

 

Ritenuto in fatto

 

Con atto per Notaio F. L. di Treviso registrato telemáticamente il 7.8.2009 B. F. istituiva irrevocabilmente un trust denominato Zii Trust avente ad oggetto la nuda proprietà di un immobile in Tarquinia, gravato da diritto di abitazione in favore dello zio B. A. A. e della di lui moglie G. M., con lo scopo di destinare i beni conferiti in trust (loro incrementi e frutti) a costituire un patrimonio a favore dei beneficiari e provvedere alla sicurezza economica ed al soddisfacimento presente e futuro delle necessità degli stessi, nonché con l'obbligo di trasferire i beni al termine del trust. Trustee veniva designata la stessa disponente.

Beneficiari erano in primis gli zii della disponente, all'epoca titolari del diritto di abitazione, in parti uguali e con accrescimento reciproco; qualora i primi beneficiari fossero deceduti al momento della cessazione del trust, si designava come beneficiari la stessa disponente B. F., la sorella S. e tale R. T. e, in caso di decesso anche di questi ultimi, per un mezzo i discendenti della disponente e per l’altro mezzo i discendenti della sorella S..

Il notaio rogante applicava all'atto l'imposta fissa di registro, trattandosi di atto a contenuto non patrimoniale. L'Ufficio, invece, riliquidava l'imposta con l'aliquota proporzionale del 6% e notificava avviso di liquidazione all'Ufficiale rogante, con riferimento alla reintrodotta imposta sulle successioni e donazioni, atteso il disposto dell'art. 2, commi 47 e 49, I. 24.11.2006, n. 286.

Contro tale atto il notaio rogante proponeva ricorso alla CTP di Treviso, lamentando la nullità dell'avviso per inesistenza e la nullità della motivazione, nonché l'eccesso di potere per violazione e falsa applicazione dell'art. 2 citato e ritenendo che il momento impositivo andasse, invece, individuato nel momento del trasferimento finale dei beni al beneficiario. Assumeva poi il ricorrente che la soluzione adottata dall'Ufficio anticipava illegittimamente la tassazione in un momento in cui nessuna capacità contributiva veniva espressa, che inoltre era fuorviante ritenere che la costituzione del trust avesse carattere liberale (mancando del tutto in capo al disponente l'animus donandi e in capo al trustee l'arricchimento) e che, quand'anche si fosse condivisa l'interpretazione dell'Agenzia delle Entrate, si doveva considerare che, non essendo ancora individuati i destinatari finali dell'attribuzione al momento della costituzione del trust, l'attribuzione era sottoposta a condizione sospensiva, con la conseguente necessità di applicare gli artt. 58 TUS e 27 TUR.

L'Ufficio ritualmente costituito sosteneva la legittimità del provvedimento impugnato, facendo riferimento all'esplicito dato normativo, che aveva introdotto la tassazione anche per gli atti contenenti vincoli di destinazione.

La CTP di Treviso, investita del gravame, con sentenza n. 108 del 12.7.2010, accoglieva il ricorso per motivi di merito, annullando l'avviso di liquidazione impugnato, e compensava le spese del giudizio.

Contro tale sentenza proponeva appello l'Ufficio, ribadendo le tesi già espresse in primo grado.

Si costituiva il contribuente, chiedendo il rigetto dell'appello.

Con sentenza del 21.2.2012, la CTR di Venezia-Mestre rigettava entrambi gli appelli, sulla base, per quanto qui ancora rileva, delle seguenti considerazioni:

1) con il trust si è inteso operare una segregazione patrimoniale di un bene, senza creare una autonoma personalità giuridica, da non confondere con il vincolo di destinazione ex art. 2645 ter c.c., privo di formali effetti traslativi (al momento dell'istituzione) e perciò non idoneo ad esprimere una "capacità contributiva";

2) ne discendeva come logica conseguenza che non poteva consentirsi all'interprete di estendere la categoria dei negozi con vincolo di destinazione a negozi che tali non erano, tenuto conto che solo i primi venivano sottoposti a tassa proporzionale, perché comportavano un evidente incremento patrimoniale e, quindi, erano espressione di capacità contributiva, laddove i secondi né causavano, al momento della loro istituzione, l'incremento patrimoniale né erano rivelatori di capacità contributiva;

3) il legislatore, mentre da un lato ha sottoposto i negozi istitutivi di trust alle imposte dirette, con la stessa legge 286/2006, modificando espressamente l'art. 73 del TUIR, non li ha richiamati in sede di norme sull'imposta di registro e donazione, ad evidente dimostrazione della scelta operata volta ad escludere l'imposta sulle donazioni per questo tipo di negozi;

4) ne discendeva che andava coerentemente applicata, al momento dell'atto de quo, l’imposta in misura fissa ex art. 58 d.lgs. 346/1990, rinviandosi l'imposizione al momento della effettiva attribuzione patrimoniale.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l'Agenzia delle Entrate, sulla base di tre motivi. F. L. non ha svolto difese.

 

Considerato in diritto

 

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo (in relazione all'art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c.), per aver la CTR ritenuto che, non essendo il negozio di trust un atto con vincolo di destinazione, non sia soggetto alla imposta in misura proporzionale, ma in misura fissa.

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2, commi 47, 48 e 49 d.l. n. 262/2006, conv. in I. n. 286/2006 (in relazione all'art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.), per aver la CTR ritenuto che l'atto in questione non fosse assoggettabile alla imposta sulle successioni e donazioni, potendosi sottoporre a tassazione solo gli atti di destinazione di cui all'art. 2645-ter c.c..

3. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2, commi 47, 48 e 49 d.l. n. 262/2006, conv. in I. n. 286/2006, e 58 d.lgs. n. 346/1990 (in relazione all'art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.). Per aver la CTR affermato che i beneficiari non fossero individuabili e che l'atto sarebbe subordinato ad una condizione sospensiva.

3.1. I tre motivi, data la loro intima connessione, meritano di essere trattati congiuntamente e si rivelano infondati.

Il trust, secondo lo schema tipico emergente dall'art. 2 della Convenzione dell'Aja dell'l luglio 1985, resa esecutiva in Italia con I. 16 ottobre 1989, n. 364, concretizza un'entità patrimoniale costituita da un insieme di rapporti giuridici istituiti da una persona, il disponente, in rapporto a beni posti sotto il controllo di un trustee nell'interesse di un beneficiario o per un fine determinato.

Nella vigenza della disciplina fiscale anteriore era discusso quale fosse il regime impositivo dell'atto e se l'imposizione dovesse realizzarsi fin dall'inizio ovvero solo al momento delle attribuzioni patrimoniali dal trust fund al beneficiario.

Questa Corte ha più volte affermato che l'atto istitutivo di un trust non può essere annoverato nell'alveo degli atti a contenuto patrimoniale per il sol fatto che il consenso prestato riguarda un vincolo su beni muniti di valore economico. Una tale affermazione contrasta sia con le caratteristiche tipiche del trust come istituto giuridico, sia e soprattutto con le caratteristiche del sistema impositivo di registro, in cui l'elemento essenziale cui connettere la nozione di prestazione "a contenuto patrimoniale", ex art. 9 della tariffa, è l'onerosità. L'art. 9 della tariffa, parte I, rappresenta una clausola di chiusura finalizzata a disciplinare tutte le fattispecie fiscalmente rilevanti diverse da quelle indicate nelle restanti disposizioni, purché però si tratti di fattispecie onerose, e in questo specifico senso aventi un contenuto patrimoniale.

La norma non può essere intesa in modo dissociato dal contesto dell'art. 43, comma 1, del d.p.r. n. 131 del 1986 che fissa, anche ai fini specifici, la base imponibile dell'imposta. Rileva, in particolare, la disposizione contigua di cui alla lett. h) di tale ultima previsione, che, quanto appunto alle "prestazioni a contenuto patrimoniale", indica come base imponibile l'ammontare "dei corrispettivi in denaro pattuiti per l'intera durata del contratto". Il che rappresenta dimostrazione del fatto che, ai sensi dell'art. 9 della tariffa, la prestazione "a contenuto patrimoniale" è la prestazione onerosa (Cass. n. 975/2018; Cass. n. 25478/2015).

La normativa sul trust (artt. 2, commi da 47 a 53, del d.l. 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286, I, commi da 77 a 79, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 - legge finanziaria per il 2007 - e 1, comma 31, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 - legge finanziaria per il 2008 -), prevede l'applicabilità dell'imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito "e sulla costituzione di vincoli di destinazione", alla luce del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni, di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001, fatto "Salvo quanto previsto dai commi da 48 a 54".

L' art. 2, comma 47, D.L. n. 262 del 2006, come convertito, prescrive che "è istituita l'imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione, secondo le disposizioni del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni, di cui al D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001, fatto salvo quanto previsto dai commi da 48 a 54".

Occorre, dunque,, preliminarmente accertare se l’atto istitutivo del trust sia annoverabile o meno tra gli atti onerosi, da tassarsi in misura proporzionale, ai sensi dell’art. 9 della tariffa, parte I, allegata al d.P.R. n. 131 del 1986 o tra gli atti a titolo gratuito, da tassarsi in misura fissa ai sensi dell'art. 11 della tariffa.

Va, quindi, verificato se il trust sia un istituto necessariamente ricompreso tra i vincoli di destinazione, con conseguente applicazione dell'imposta di donazione indipendentemente dall'analisi della sua natura e dei suoi effetti giuridici.

1.2. Sulla questione concernente il momento in cui si realizza il presupposto impositivo nel caso di costituzione di un trust, si assiste, all'interno di questa Sezione, ad un apparente contrasto di vedute.

Invero, secondo un indirizzo che sembrerebbe allo stato prevalente, il trasferimento del bene dal settlor al trustee avviene a titolo gratuito e non determina effetti traslativi, poiché non ne comporta l’attribuzione definitiva allo stesso, che è tenuto solo ad amministrarlo ed a custodirlo, in regime di segregazione patrimoniale, in vista del suo ritrasferimento ai beneficiari del trust, sicché detto atto sarebbe soggetto a tassazione in misura fissa, sia per quanto attiene all'imposta di registro che alle imposte ipotecaria e catastale (Sez. 5, Sentenza n. 975 del 17/01/2018).

In particolare, in tema d’imposta ipotecaria e catastale, l’istituzione di un "trust" cd. "autodichiarato", con conferimento di immobili per una durata predeterminata o fino alla morte del disponente, i cui beneficiari siano i discendenti di quest'ultimo, sarebbe riconducibile alla donazione indiretta e sarebbe soggetto all'imposta in misura fissa, atteso che la "segregazione", quale effetto naturale del vincolo di destinazione, non comporta alcun reale trasferimento o arricchimento, che si realizzano solo a favore dei beneficiari, successivamente tenuti al pagamento dell'imposta in misura proporzionale (Sez. 5, Sentenza n. 21614 del 26/10/2016). In definitiva, in caso di costituzione di un "trust" a titolo gratuito, espressione di liberalità, non si applicherebbe il regime delle imposte indirette sui trasferimenti in misura proporzionale, poiché il trasferimento dei beni al "trustee" avrebbe natura transitoria e non esprimerebbe alcuna capacità contributiva, sicché il presupposto d'imposta si manifesterebbe, ripetesi, solo con il trasferimento definitivo di beni dal "trustee" al beneficiario (Sez. 5, Sentenza n. 25478 del 18/12/2015).

A fronte di tale apparentemente maggioritario orientamento, se ne pone un altro, secondo cui l'atto con il quale il disponente vincoli propri beni al perseguimento della finalità di rafforzare una generica garanzia patrimoniale già prestata, nella qualità di fideiussore, in favore di alcuni istituti bancari, pur non determinando il trasferimento di beni ad un beneficiario e l'arricchimento di quest'ultimo, nondimeno è fonte di costituzione di un vincolo di destinazione, sicché resta assoggettato all'imposta prevista dall'art. 2, comma 47, del d.l. 3 ottobre 2006, n. 262, convertito dalla legge 23 novembre 2006, n. 286, la quale - accomunata per assonanza alla gratuità delle attribuzioni liberali - a differenza delle imposte di successione e donazione, che gravano sui trasferimenti di beni e diritti "a causa" della costituzione dei vincoli di destinazione, è istituita direttamente, ed in sé, sulla costituzione del vincolo (Sez. 6-5, Ordinanza n. 3735 del 24/02/2015).

Non manca, poi, chi sostiene che mediante il "trust" si costituirebbe un vincolo di destinazione idoneo a produrre un effetto traslativo in favore del "trustee", sebbene funzionale al successivo ed eventuale trasferimento della proprietà dei beni vincolati ai soggetti beneficiari, che dovrebbe essere assoggettato all'imposta sulle successioni e donazioni, facendo emergere la potenziale capacità economica, ex art. 53 Cost., del destinatario del trasferimento. In applicazione di tale principio, Sez. 5, Sentenza n. 13626 del 30/05/2018 ha ritenuto assoggettato a detta imposta, in luogo di quella di registro, un "trust" finalizzato alla liquidazione di beni nell'interesse dei creditori.

1.3. In primo luogo, va evidenziato che, tra le pronunce che hanno avallato l'orientamento maggiormente rigoroso, solo una (la n. 21614/2016) ha analizzato una fattispecie soggetta ratione temporis all'art. 2 del d.l. n. 262 del 2006 (applicabile solo a decorrere dal 3 ottobre 2006), conv. in I. n. 286 del 2006 (avendo ad oggetto un trust autodichiarativo del 17.12.2012), laddove le altre due pronunce si riferiscono ad atti del 2003.

Il problema si pone, in quanto occorre domandarsi se il trust rientri nell'ambito dei "vincoli di destinazione" che il comma 47 dell'art. 2 citato prende in considerazione (in alternativa ai trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito) ai fini della sottoposizione all'imposta sulle successioni e donazioni.

1.4. Gli argomenti principali su cui si fonda l'indirizzo cd. minoritario sono due.

Un primo argomento è di tipo letterale. Il tenore dell'art. 2, comma 47, menzionato evidenzierebbe che l'imposta è istituita non già sui trasferimenti di beni e diritti a causa della costituzione di vincoli di destinazione (argomento, di contro, speso dalla sentenza n. 21614/2016 per escludere l'applicabilità dell'imposta sulle donazioni), come, invece, accade per le successioni e le donazioni, in relazione alle quali è espressamente evocato il nesso causale, bensì direttamente, ed in sé, sulla costituzione dei vincoli.

Sarebbe, dunque, colpito un fenomeno patrimoniale del tutto diverso e distinto rispetto a quello investito dalla imposta sulle successioni e donazioni (prevista nel medesimo comma). Perciò apparirebbero incongrue tutte le riflessioni che collegano la tassazione alla identificazione di un qualche "utile" o "vantaggio" percepito da un soggetto, e che quindi — ad esempio - collegano l’onere tributario alla acquisizione dei beni da parte di un soggetto legittimato ad utilizzarli a proprio esclusivo vantaggio. Ragionando in tal modo, si rinvierebbe sine die la tassazione (o la si escluderebbe), ove questo vantaggio non derivasse dal negozio costitutivo del vincolo.

Ai fini della tassazione indiretta occorrerebbe guardare alla manifestazione di ricchezza e non (necessariamente) all’arricchimento. Anche nella compravendita l’imposta di registro coinvolgerebbe la manifestazione di ricchezza delle parti, senza che occorra indagare sul se ed in quale misura esse abbiano tratto dall’operazione vantaggio economico. Mentre l’arricchimento vero e proprio potrebbe, semmai, essere inciso sotto il profilo della plusvalenza.

In base alla impostazione che qui verrà sottoposta a revisione critica, i vincoli cui si riferisce la norma designerebbero non negozi, bensì l’effetto giuridico di destinazione, mediante il quale si disporrebbe di, ossia si porrebbe fuori da sé (e non necessariamente in favore di altri da sé), un bene, orientandone i diritti dominicali al perseguimento degli obiettivi voluti. In quest'ottica, alla disposizione non sarebbe coessenziale l'attribuzione a terzi, in quanto mercè la destinazione si modula, non si trasferisce, il diritto. Ciò in quanto presupposto coessenziale alla stessa natura dell'istituto sarebbe che il detto disponente perda la disponibilità di quanto abbia conferito in trust, al di là di determinati poteri che possano competergli in base alle norme costitutive. Che il trust postuli l'alienazione dei beni del disponente emerge chiaramente dall'art. 2, comma 3, a norma del quale "il fatto che il disponente conservi alcuni diritti e facoltà o che il trustee abbia alcuni diritti in qualità di beneficiario non è necessariamente incompatibile con l'esistenza di un trust": il diritto convenzionale, dunque, ammette, in astratto, che possano residuare in capo al settlor "alcuni diritti e facoltà". Nel momento stesso in cui si crea una separazione patrimoniale da destinazione si assisterebbe ad una riduzione del patrimonio del soggetto disponente.

L'atto di conferimento dei beni in trust viene concepito come atto funzionale e prodromico al successivo trasferimento a favore dei beneficiari.

Non è revocabile in dubbio che mediante il "trust" si costituisca un vincolo di destinazione (Sez. 5, Sentenza n. 13626 del 30/05/2018; v. anche Sez. 5, Sentenza n. 21614 del 26/10/2016, secondo cui la "segregazione", quale effetto naturale del vincolo di destinazione, non comporta, però, alcun reale trasferimento o arricchimento, che si realizzeranno solo a favore dei beneficiari).

In definitiva, secondo la tesi in esame, l'imposta sulla costituzione di vincolo di destinazione sarebbe un'imposta nuova, accomunata solo per assonanza alla gratuità delle attribuzioni liberali, altrimenti gratuite e successorie; essa riceve disciplina mediante un rinvio, di natura recettizio- materiale, alle disposizioni del d.lgs. n. 346 del 1990 (in quanto compatibili: d.l. n. 262 del 2006, art. 2, comma 50, come convertito), ma conserverebbe connotati peculiari e disomogenei rispetto a quelli dell'imposta classica sulle successioni e sulle donazioni.

Ciò in quanto nell'imposta in esame, a differenza che in quella tradizionale, il presupposto impositivo sarebbe correlato alla predisposizione del programma di funzionalizzazione del diritto al perseguimento degli obiettivi voluti; là dove l'oggetto consiste nel valore dell'utilità economica della quale il disponente, stabilendo che sia sottratta all'ordinario esercizio delle proprie facoltà proprietarie, finirebbe con l'impoverirsi. In tal guisa ragionando, non rileverebbe la mancanza di arricchimento.

In quest'ottica, la materiale percezione dell'utilità, ossia, secondo la tradizionale impostazione, l'arricchimento, apparterrebbe all'esecuzione del programma di destinazione, che, per conseguenza, non rileverebbe ai fini dell'individuazione del momento del prelievo tributario sulla costituzione del vincolo, ma dopo, anche ai fini della eventuale riliquidazione delle aliquote e delle franchigie. L'attribuzione patrimoniale in trust, allora, determinando la costituzione del vincolo di destinazione, andrebbe assoggettata alla relativa imposta, indipendentemente dalla successiva attuazione della destinazione impressa al danaro (cfr. Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 3737 del 2015).

1.4.1. Il secondo argomento posto alla base dell'indirizzo minoritario è di tipo logico-sistematico.

Se questa imposta necessitasse del trasferimento e, quindi, dell'arricchimento, essa sarebbe del tutto superflua, risultando sufficiente quella classica sulle successioni e sulle donazioni, nelle quali il presupposto d'imposta è, appunto, il trasferimento, quantunque condizionato o a termine, dell'utilità economica ad un beneficiario: si prospetterebbe, in definitiva, l'interpretado abrogans della disposizione in questione. Al fine di sottoporre ad imposta esclusivamente il passaggio diretto dal trustee ai beneficiari, sarebbe, del resto, stata senz'altro sufficiente la previsione contenuta nella prima parte dell'art. 2. O, per dirla diversamente, se la tassazione fosse dovuta avvenire sempre con il trasferimento finale, non sarebbe stato necessario introdurre la espressa previsione di imponibilità dei vincoli di destinazione.

Al contempo, se si fosse inquadrato la fattispecie nell'ambito delle donazioni sottoposte a condizione, sarebbe stato sufficiente richiamare l'art. 58 del d.lgs. n. 346/1990, a mente del quale "Per le donazioni sottoposte a condizione si applicano le disposizioni relative all'imposta di registro". Il legislatore, inoltre, non avrebbe inteso sottoporre ad imposta un atto sospensivamente condizionato, bensì un atto che è immediatamente efficace.

Inciderebbe a favore di questa tesi altresì una visione di sfavore nei confronti dei vincoli negoziali di destinazione, scoraggiati attraverso la leva fiscale (lo evidenzia Sez. 6-5, Sentenza n. 4482 del 2016). L'interpretazione in oggetto sarebbe altresì costituzionalmente orientata, se si considera che la capacità contributiva, come chiarito dalla Consulta, sarebbe da intendere come attitudine ad eseguire la prestazione imposta, correlata non già alla concreta situazione del singolo contribuente, bensì al presupposto economico al quale l'obbligazione è correlata (Corte cost. 20 luglio 1994, n. 315), di modo che "è sufficiente che vi sia un collegamento tra prestazione imposta e presupposti economici presi in considerazione" (Corte cost. 21 maggio 2001, n. 155). Di tal chè non vi sarebbe neppure il rischio che la lettura qui confermata possa rivelarsi in contrasto con l'art. 53 Cost., il quale non tollererebbe un'imposta, a meno che non fosse semplicemente d'atto, senza relazione alcuna con un'idonea capacità contributiva. L'atto negoziale esprimerebbe, del resto, una "capacità contributiva", ancorché non determini (o non determini ancora) alcun vantaggio economico diretto per qualcuno. Con riguardo all'imposta in esame, non rileverebbe affatto, come anticipato, la mancanza di arricchimento, giacché il contenuto patrimoniale referente di capacità contributiva sarebbe ragguagliato all'utilità economica, che, in quanto indirizzata ad altri, si collocherebbe al di fuori del patrimonio del disponente (Sez. 6-5, Ordinanza n. 5322 del 2015).

In conclusione, alla luce dell'intervento normativo, andrebbe disattesa la pregressa affermazione secondo cui il trust dovrebbe scontare soltanto l'imposta di registro in misura fissa, atteso che in questo caso è mancante qualsiasi trasferimento di ricchezza, con la conseguenza che l'atto di costituzione del trust non accompagnato da alcun conferimento non andrebbe assoggettato all'imposta di successione e donazione proprio perché quest'ultima non è un'imposta d'atto, bensì un’imposta che tassa il trasferimento di ricchezza liberale. Ciò condurrebbe a superare la precedente impostazione, basata sull’art. 1 d.lgs. n. 346 del 1999, che identificava il presupposto impositivo della liberalità nel reale arricchimento (del o dei beneficiari) mediante un effettivo trasferimento di beni e diritti. D'altra parte, il menzionato art. 1, data la sua inequivoca formulazione letterale ("L'imposta sulle successioni e donazioni si applica ai trasferimenti di beni e diritti per successione a causa di morte ed ai trasferimenti di beni e diritti per donazione o altra liberalità tra vivi."), non ammetterebbe interpretazioni alternative o estensive.

Da ultimo, alla stregua della impostazione in oggetto, la proporzionalità dell'imposta sarebbe prevista ex lege dall'art. 2, comma 49, del d.l. citato (il quale contempla aliquote differenti a seconda del rapporto che intercorre tra il disponente ed i beneficiari finali) e l'eventuale trasferimento finale dei beni in favore del o dei beneficiari non dovrebbe essere sottoposto ad alcuna imposta (sulle successioni e donazioni), atteso che tale trasferimento altro non rappresenterebbe se non l'attuazione del programma insito nel trust.

1.5. L'orientamento allo stato prevalente rileva che "l'unica imposta espressamente istituita è stata la reintrodotta imposta sulle successioni e r. sulle donazioni alla quale per ulteriore espressa disposizione debbono-^ andare anche assoggettati i «vincoli di destinazione», con la conseguenza che il presupposto dell'imposta rimane quello stabilito dall'art. 1 d.lgs. n. 346 cit. del reale trasferimento di beni o diritti e quindi del reale arricchimento dei beneficiari" (Cass. n. 4482 del 2016; Cass. ord. sez. VI ,n. 5322 del 2015; Cass., ord., sez. VI n. 3886 del 2015; Cass., ord. sez. VI n. 3737 del 2015; Cass., ord. sez. VI n. 3735 del 2015).

1.6. Per quanto la tesi minoritaria esposta colga alcuni dei riflessi immediati dell'art. 2, commi 47 e 49, del d.l. n. 262/2006 sul regime impositivo degli atti costitutivi di trust, si lascia preferire l'orientamento opposto, sia pure con alcune precisazioni.

In primo luogo, viene condivisa la lettura della intentio legis nel senso di evitare, attraverso l'introduzione dell'art. 2, commi 47 e ss., d.l. n. 262 cit., che un'interpretazione restrittiva della istituita nuova legge sulle successioni e donazioni disciplinata mediante richiamo al già abrogato d. lgs. n. 346 cit. possa dar luogo a nessuna imposizione anche in caso di reale trasferimento di beni e diritti ai beneficiari quando lo stesso sia stato collocato all’'interno di una fattispecie di «recente» introduzione come quella dei «vincoli di destinazione» e quindi non presa in diretta considerazione dal ridetto <<vecchio» d.lgs. n. 346 cit. (così, in parte motiva, Cass. n. 21614/2016).

In secondo luogo, in base al primo comma dell'art. 19 del d.P.R. n. 131 del 1986 (intitolato "Denuncia di eventi successivi alla registrazione"), <<L‘avveramento della condizione sospensiva apposta ad un atto, l'esecuzione di tale atto prima dell'avveramento della condizione e il verificarsi di eventi che, a norma del presente testo unico, diano luogo ad ulteriore liquidazione di imposta devono essere denunciati entro venti giorni, a cura delle parti contraenti o dei loro aventi causa e di coloro nel cui interesse è stata richiesta la registrazione, all'ufficio che ha registrato l'atto al quale si riferiscono>> (la sottolineatura è dello scrivente). In quest'ottica, per quanto l'effetto traslativo in favore dei beneficiari non renda necessaria la stipula di un apposito atto (verificandosi il più delle volte automaticamente), gli stessi beneficiari sono tenuti a denunciare tempestivamente il verificarsi dell'evento indicato nel negozio costitutivo del trust all'ufficio che lo ha registrato. In quella sede l'Agenzia sarà posta nelle condizioni di sottoporre ad eventuale tassazione maggiorata la complessiva operazione posta in essere.

In terzo luogo, solo una volta che si realizzerà l'effetto traslativo si potrà, in alcune evenienze (allorquando, cioè, nell'atto costitutivo vengano individuati numerosi soggetti, magari in via gradata, a seconda che si verifichino o meno determinati eventi dedotti), individuare con precisione gli effettivi beneficiari, in tal guisa determinando, per l'effetto, l'aliquota (oscillante tra il 4 e l'8%, a seconda del rapporto che intercorre tra il disponente ed il beneficiario) in concreto applicabile in sede di tassazione indiretta. Nel caso, ad esempio, in cui il trust sia costituito con lo scopo di destinare gli eventuali beni oggetto di segregazione alla soddisfazione di creditori, gli atti di disposizione degli stessi sconteranno la tassazione all'uopo prevista (essendo solo il ricavato vincolato alla destinazione ab initio impressa), laddove non è da escludere che i cespiti in fine ritornino al disponente, una volta estinti i debiti.

Tuttavia, ciò non esclude tout court che in alcune fattispecie sia possibile valutare sin da subito se il disponente abbia avuto la volontà effettiva di realizzare, sia pure per il tramite del trustee, un trasferimento dei diritti in favore di terzo. E' il caso di recente analizzato da Sez. 5, Sentenza n. 13626 del 2018, che si sostanziava in un atto costitutivo di un trust avente ad oggetto quote di partecipazione in una s.r.l. avente lo scopo di alienare le stesse e di provvedere proporzionalmente al pagamento dell'esposizione debitoria della disponente. E' chiaro, infatti, che, allorquando il beneficiario sia unico e ben individuato (determinando, nel caso di specie, in assenza di rapporti di parentela con la disponente, l'applicazione dell'aliquota massima dell'8%) ed il negozio costitutivo non preveda, neppure in via subordinata, il ritorno dei beni in capo al settlor, l'operazione dismissiva evidenzi, in assenza di provati intenti elusivi, una reale volontà di trasferimento, con la conseguente applicabilità immediata dell'aliquota di volta in volta prevista.

A differenti conclusioni deve, invece, pervenirsi con riferimento al trust cd. auto dichiarato, che si realizza allorquando le figure del disponente e del trustee coincidano e che vede il suo fenomeno estremo nell'evenienza in cui il beneficiario finale si identifichi con lo stesso settlor.

In questa ipotesi non può non considerarsi che nel trust autodichiarato vi è coincidenza tra il disponente e il trustee, quando non accada addirittura che il disponente si auto nomini quale beneficiario.

Alla luce dei principi costituzionali, legati alla capacità contributiva ex art. 53 Cost., è legittima l'imposta proporzionale qualora il trasferimento a favore dell'attuatore faccia emergere la potenziale capacità economica del destinatario (immediato) del trasferimento.

Coerentemente con la natura e l’oggetto del tributo, sono rilevanti i vincoli di destinazione in grado di determinare effetti traslativi collegati al trasferimento di beni e diritti, che realizzano un incremento stabile, misurabile in moneta, di un dato patrimonio con correlato decremento di un altro.

Il vincolo di destinazione, in tal caso, è idoneo a produrre un effetto traslativo funzionale al (successivo ed eventuale) trasferimento della proprietà dei medesimi beni vincolati a favore di soggetti beneficiari diversi dal soggetto disponente, senza alcun effetto di segregazione del bene.

Il vincolo di destinazione non assume, tuttavia, un rilievo autonomo ai fini della segregazione del bene, se (come nel caso del trust auto dichiarato) rimane nel patrimonio del disponente.

1.7. In definitiva, appare troppo rigido l'orientamento che ritiene, invece, che l’imposta proporzionale sia automaticamente collegata alla costituzione dei vincoli senza valutarne gli effetti (Cass. Sez. 6-5, Ord. n. 5322 del 2015; Cass. Sez. 6 - 5, Ord. n. 3886 del 2015; Sez. 6 - 5, Ord. n. 3737 del 2015).

Bisogna valutare caso per caso, soprattutto nel trust autodichiarato, se sia o meno riconducibile alla donazione indiretta, considerando che la "segregazione", quale effetto naturale del vincolo di destinazione, non comporta, però, alcun reale trasferimento o arricchimento, che si realizzeranno solo a favore dei beneficiari, successivamente tenuti al pagamento dell'imposta in misura proporzionale (cfr., in tal senso, Cass. Sez. 5, del 26/10/2016 n. 21614).

Se il trasferimento dei beni al "trustee" ha natura transitoria e non esprime alcuna capacità contributiva, il presupposto d'imposta si manifesta solo con il trasferimento definitivo di beni dal "trustee" al beneficiario e non può applicarsi il regime delle imposte indirette sui trasferimenti in misura proporzionale.

L'imposta sulle donazioni e sulle successioni ha come presupposto l'arricchimento patrimoniale a titolo di liberalità, e la stessa non può applicarsi se il trust è stato costituito senza conferimento, scontando in questo caso soltanto l'imposta fissa di registro.

Occorre altresì considerare che il trustee non è proprietario, bensì amministratore dei beni che devono essere trasferiti ai beneficiari in esecuzione del programma negoziale stabilito per la donazione indiretta (artt. 2 e 11 Convenzione de L'Aja del 1 luglio 1985, recepita in I. 16 ottobre 1989 n. 364).

Per l'applicazione dell'imposta sulle successione e sulle donazioni manca quindi, in qualche caso, il presupposto impositivo della liberalità, alla quale può dar luogo soltanto un reale arricchimento mediante un reale trasferimento di beni e diritti (art. 1 d.lgs. n. 346 cit.).

La sola interpretazione letterale dell'art. 2, comma 47 ss., d.l. n. 262 cit., in forza della quale sarebbe stata istituita un'autonoma imposta «sulla costituzione dei vincoli di destinazione» disciplinata con il rinvio alle regole contenute nel d.lgs. n. 346 cit. e avente come presupposto la loro mera costituzione, sarebbe incostituzionale, per le ragioni già evidenziate, per violazione dell’art. 53 Cost. dovendosi procedere ad una interpretazione costituzionalmente orientata nel senso prospettato.

1.8. Nel caso di specie B. F. ha istituito un trust avente ad oggetto la nuda proprietà di un immobile, autodesignandosi trustee ed individuando come beneficiari finali (alla scadenza del trust di durata trentennale), in prima battuta, due zii, già titolari del diritto di abitazione sul bene, in seconda battuta, sé stessa, una sorella ed una terza estranea e, in terza battuta, i suoi discendenti e quelli della sorella.

Orbene, la lettura offerta del dato normativo fiscale, il quale deve tenere in debito conto il sistema fiscale complessivo e, come detto, le ragioni di ordine costituzionale, legate alla capacità contributiva ex art. 53 Cost., fanno ritenere legittima l’applicazione dell'imposta prevista dal TU n. 346/90 solo qualora il trasferimento a favore dell'attuatore faccia emergere la potenziale capacità economica del destinatario (immediato) del trasferimento.

Coerentemente con la natura e l'oggetto del tributo, sono, invero, rilevanti i vincoli di destinazione in grado di determinare effetti traslativi in vicende non onerose, collegati al trasferimento di beni e diritti, che realizzano un incremento stabile, misurabile in moneta, di un dato patrimonio con correlato decremento di un altro.

Il vincolo di destinazione, in tal caso, è idoneo a produrre un effetto traslativo funzionale al (successivo ed eventuale) trasferimento della proprietà dei medesimi beni vincolati a favore di soggetti beneficiari diversi dal soggetto disponente senza alcun effetto di segregazione del bene, a differenza dei casi di trust auto dichiarato, che hanno solo portata destinatoria con conseguente effetto di segregazione o separazione del bene, il quale rimane però nel patrimonio del disponente (in tal senso si è condivisibilmente espressa Cass. 21614/2016).

Alla stregua delle considerazioni che precedono, nella specie non sono allo stato individuabili i reali beneficiari dell'operazione, non potendosi, peraltro, escludere in via assoluta un eventuale rientro dei cespiti in capo alla disponente.

2. In definitiva, il ricorso non merita di essere accolto.

Il recente consolidamento, in seno a questa Sezione, di una posizione sulla questione analizzata giustifica la compensazione integrale delle spese di giudizio.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e compensa integralmente le spese del giudizio.