Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 15 marzo 2017, n. 6776

Licenziamento - Giornalista professionista - Pensione di vecchiaia - Illegittimità - Reintegra

Svolgimento del processo

 

Con sentenza n. 5204/12 il Tribunale di Milano dichiarava illegittimo il licenziamento intimato il 29.2.12 da RAI - Radiotelevisione Italiana S.p.A. a R. B. - giornalista professionista - per avere ella raggiunto il 65° anno di età e maturato i requisiti assicurativi e contributivi della pensione di vecchiaia previsti per gli iscritti all'Istituto Nazionale per la Previdenza dei Giornalisti Italiani (INPGI). Per l'effetto, condannava la società a reintegrare la dipendente nel posto di lavoro con le conseguenze di cui all'art. 18 legge n. 300/70.

Con sentenza depositata il 3.6.14 la Corte d'appello di Milano rigettava il gravame di RAI - Radiotelevisione Italiana S.p.A., che oggi ricorre per la cassazione della sentenza affidandosi a sei motivi.

R. B. resiste con controricorso.

Le parti depositano memoria ex art. 378 c.p.c.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione dell'art. 24, commi 3 e 4, d.l. 6.12.11 n. 201 (convertito in legge 22.12.11 n. 214) e con il secondo motivo violazione e falsa applicazione del medesimo art. 24, commi 23 e 24, nonché degli artt. 1, 2, 3 e 4 e dell'elenco A del d.lgs. n. 509/94 e dell'art. 12 disp. prel. c.c.; sostiene la ricorrente che le misure adottate dal legislatore con il cit. art. 24 per contenere la spesa previdenziale sono di due specie: per la previdenza che incide sul bilancio dello Stato (lavoratori la cui pensione è liquidata a carico dell'AGO e delle forme esclusive e sostitutive) il contenimento della spesa è attuato mediante il rinvio ex lege dei pensionamenti; per la previdenza gravante sulle casse degli enti privati e delle forme gestorie di cui al d.lgs. n. 509 del 1994, il contenimento è rimesso alle misure adottate dagli enti in questione con proprie delibere adottate direttamente nell'ambito della propria autonomia gestionale. Nel caso di specie - prosegue il ricorso - l'INPGI (istituto di previdenza cui è iscritta R. B.) appartiene alla seconda categoria, in quanto trova la propria regolazione direttamente nel d.lgs. 30.06.94 n. 509 ed ha una disciplina speciale rispetto a quella del sistema generale dell'AGO, il che lo riconduce direttamente sotto la disciplina dell'art. 24, comma 24, d.l.. 201 del 2011. In presenza di questa particolare condizione giuridica - prosegue il ricorso - è indifferente stabilire se l'INPGI possa essere o meno annoverato tra gli enti che forniscono un tipo di assicurazione sostitutivo, rientrando concettualmente la sua disciplina interamente nelle disposizioni del comma 24. Tale collocazione, concludono i due motivi, esclude in nuce il diritto a beneficiare dell'opzione per proseguire l'attività di lavoro fino al compimento del 70° anno di età, che è prevista solo nel regime previsto dal comma 4.

Il terzo motivo prospetta omesso esame di un fatto decisivo del giudizio, oggetto di discussione tra le parti, per non avere i giudici d'appello considerato che l'INPGI adotta il sistema retributivo di calcolo delle pensioni, diverso da quello ipotizzato dall'art. 24, c. 4 e dai commi successivi (sistema contributivo o misto). La scelta di proseguire l'attività lavorativa fino al 70° anno di età - prosegue il motivo - presuppone che il regime pensionistico abbia carattere contributivo e abbia caratteristiche non riscontrabili nel sistema retributivo adottato dell'INPGI. Rebus sic stantibus, precludendo l'iscrizione all'INPGI l'applicazione dell'art. 24, comma 4, e considerata la possibilità di continuare l'attività lavorativa fino al 70° anno di età, la RAI - prosegue il ricorso - ha legittimamente esercitato il diritto di recesso dal rapporto al raggiungimento del 65° anno di età, in attuazione dell'art. 33 del CCNL lavoro giornalistico, con conseguente venir meno della tutela dell'art. 18 legge n. 300/70 all'atto del raggiungimento del diritto a pensione.

Il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 24, comma 4, cit., nella parte in cui la sentenza impugnata afferma che tale norma concederebbe al lavoratore un diritto potestativo di opzione per restare in servizio sino al compimento del 70° anno di età: in realtà - obietta la ricorrente - la norma si limita ad incentivare l'accordo con il datore di lavoro per la prosecuzione del rapporto, senza però consentire che esso proceda in difetto del consenso del datore di lavoro, solo in presenza del quale scatta il terzo periodo del detto comma 4, per il quale l'efficacia dell'art. 18 legge n. 300 del 1970 opera " fino ai conseguimento del predetto limite massimo di flessibilità".

Il quinto motivo deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 24, comma 4, cit., con riferimento all'art. 33, comma 3, CCNL per i giornalisti professionisti, non avendo la sentenza impugnata considerato che tale comma 4 fa salvi "I limiti ordinamentali dei rispettivi settori di appartenenza" e che, nel caso di specie, tale limite è costituito dall'art. 33 cit. CCNL, secondo il quale "l'azienda può risolvere il rapporto di lavoro quando il giornalista abbia raggiunto il 65° anno di età", il che renderebbe comunque non operativa l'opzione (impropriamente) riconosciuta al giornalista.

Il sesto motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 24, commi 4 e 24, cit. d.l. n. 201 del 2011, nonché degli artt. 1, 2, 3 e 4 e dell'elenco A del d.lgs. n. 509 del 1994, contestando la società ricorrente la natura di ente previdenziale sostitutivo dell'INPGI affermata dalla Corte territoriale, atteso che dal 1994 esso ha assunto la natura giuridica della fondazione, per gestire le forme obbligatorie di previdenza e assistenza, diverse dall'AGO e dalle sue gestioni "sostitutive, esclusive o esonerative".

2. Preliminarmente va disattesa l'eccezione di parziale inammissibilità del ricorso sollevata dalla difesa della controricorrente: in realtà l'impugnazione proposta da RAI - Radiotelevisione S.p.A. non è affatto una mera riproposizione delle censure contenute nell'atto d’appello, ma confuta adeguatamente gli snodi argomentativi della sentenza di secondo grado.

3. I motivi di ricorso - da esaminarsi congiuntamente perché connessi - sono fondati, dovendosi dare continuità alla giurisprudenza delle S.U. di questa S.C. che, con sentenza n. 17589/15, ha statuito che l'art. 24, comma 4, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, conv. dalla I. 22 dicembre 2011, n. 214, non attribuisce al lavoratore il diritto potestativo di proseguire nel rapporto di lavoro fino al raggiungimento del settantesimo anno di età, in quanto la norma non crea alcun automatismo, ma si limita a prefigurare condizioni previdenziali di incentivo alla prosecuzione dello stesso rapporto per un lasso di tempo che può estendersi fino ai settanta anni di età.

Sempre detta sentenza n. 17589/15 afferma che la disciplina applicabile agli iscritti all'INPGI è quella assicurata dalle misure adottate dall'Istituto stesso ai sensi dell'art. 24, comma 24, dello stesso d.l. n. 201, così come previsto per gli iscritti agli altri enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza privatizzati ai sensi del d.lgs. 30 giugno 1994, n. 509, come tali indicati nella tabella a quest'ultimo allegata.

Vanno ribadite anche in questa sede le condivisibili ed esaurienti argomentazioni di tale sentenza, non risultando idonee a superarle le obiezioni in contrario mosse nella memoria ex art. 378 c.p.c. della controricorrente.

4- In conclusione, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata cassata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ai sensi dell'art. 384, comma 2, c.p.c. e in attuazione dei principi esposti dalla citata sentenza n. 17589/15 delle S.U. di questa S.C., la domanda proposta da R. B. è da rigettarsi.

Si compensano tra le parti le spese dell'intero processo, considerata la novità delle questioni trattate, risolte dalle S.U. di questa S.C. quando ricorso e controricorso relativi al presente giudizio erano stati già depositati.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda, con compensazione tra le parti delle spese dell'intero processo. Roma, così deciso nella camera di consiglio del 21.12.16.