Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 14 giugno 2018, n. 15652

Rapporto di lavoro - Ferie residue - Mancata concessione - Domanda - Carattere irrinunciabile del diritto alle ferie - Diritto all'indennità sostitutiva

 

Fatti di causa

 

1. La Corte di appello dell'Aquila, pronunciando sulle opposte impugnazioni, ha confermato la sentenza di primo grado che aveva accolto solo in parte la domanda di Di I. G., già dipendente della Asl L'Aquila-Avezzano-Sulmona, collocato a riposo il 1° febbraio 2010, il quale aveva lamentato la mancata concessione di 119 giorni di ferie residue.

2. La Corte territoriale ha osservato che, secondo la contrattazione collettiva di settore (CCNL comparto sanità, art. 19), le ferie costituiscono un diritto irrinunciabile e non sono monetizzabili, salvo in caso di cessazione del rapporto di lavoro; che esse vanno fruite, anche frazionatamente, nel corso di ciascun anno solare, in periodi compatibili con le oggettive esigenze di servizio, tenuto conto delle richieste del dipendente; che in caso di indifferibili esigenze di servizio, che non abbiano reso possibile il godimento nel corso dell'anno, le ferie devono essere fruite entro il primo semestre dell'anno successivo; che all'atto della cessazione del rapporto di lavoro, qualora le ferie spettanti a tale data non siano state fruite "per esigenze di servizio o per cause indipendenti dalla volontà del dipendente", l'azienda procede al pagamento sostitutivo delle medesime. Alla stregua di tale disciplina contrattuale, la domanda non poteva trovare accoglimento in relazione agli anni per i quali non risultava presentata una domanda di godimento delle ferie, sicché era da ricondursi alla scelta dell'interessato la mancata fruizione, con conseguente esclusione del riconoscimento dell'indennità sostitutiva.

3. Per la cassazione di tale sentenza il Di I. propone ricorso affidato ad un motivo cui resiste con controricorso l'Azienda Usi L'Aquila-Avezzano-Sulmona n.l. Il ricorrente ha altresì depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.

 

Ragioni della decisione

 

1. Il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 36 Cost., dell'art. 2109 cod. civ., nonché violazione e/o falsa applicazione dell'art. 19 CCNL comparto sanità 1.9.1995 (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.). Si sostiene il carattere irrinunciabile del diritto alle ferie e il diritto all'indennità sostitutiva in tutte le ipotesi in cui le ferie non sono state effettivamente fruite, atteso che non può desumersi una rinuncia dalla mancanza di una formale richiesta del dipendente. Si censura la sentenza che, pur avendo correttamente indicato la disciplina contrattuale, ne aveva fatto erronea applicazione alla fattispecie, ritenendo determinante, pur a fronte della prova documentale della mancata fruizione delle ferie per gli anni 2006, 2007 e 2008, l'assenza di una formale richiesta.

2. Il ricorso merita di essere accolto.

3. Il CCNL comparto sanità del 1° settembre 1995, all’art. 19, così detta:

comma 1, "Il dipendente ha diritto, in ogni anno di servizio, ad un periodo di ferie retribuito. Durante tale periodo al dipendente spetta la normale retribuzione, escluse le indennità previste per prestazioni di lavoro straordinario e quelle che non siano corrisposte per dodici mensilità";

comma 8, "Le ferie sono un diritto irrinunciabile e non sono monetizzabili. Esse sono fruite nel corso di ciascun anno solare, in periodi compatibili con le oggettive esigenze di servizio, tenuto conto delle richieste del dipendente"-,

comma 15, "Fermo restando il disposto del comma 8, all'atto della cessazione dal rapporto di lavoro, qualora le ferie spettanti a tale data non siano state fruite per esigenze di servizio, si procede al pagamento sostitutivo delle stesse da parte dell'azienda o ente di provenienza".

4. Questa Corte, con la recente sentenza n. 2496 del 2018, interpretando un contratto collettivo diverso (CCNL EDR 1994/1996 del 7 ottobre 1996), ma recante disposizioni (art. 7, commi 1, 9 e 15) di tenore analogo a quelle ora all'esame, ha affermato (richiamando anche C.Cost. n. 286 del 2013 e n. 95 del 2016, nonché Cass. n. 13860 del 2000) che dal mancato godimento delle ferie deriva - una volta divenuto impossibile per l'imprenditore, anche senza sua colpa, adempiere l'obbligazione di consentire la loro fruizione - il diritto del lavoratore al pagamento dell'indennità sostitutiva, che ha natura retributiva, in quanto rappresenta la corresponsione, a norma degli artt. 1463 e 2037 cod. civ., del valore di prestazioni non dovute e non restituibili in forma specifica; l'assenza di un'espressa previsione contrattuale non esclude l'esistenza del diritto a detta indennità sostitutiva, che peraltro non sussiste se il datore di lavoro dimostra di avere offerto un adeguato tempo per il godimento delle ferie, di cui il lavoratore non abbia usufruito,venendo ad incorrere, così, nella "mora del creditore". Lo stesso diritto, costituendo un riflesso contrattuale del diritto alle ferie, non può essere condizionato, nella sua esistenza, alle esigenze aziendali.

5. Detti principi devono essere ora ribaditi, per le ragioni tutte indicate nella motivazione della sentenza sopra richiamata, da intendersi qui trascritte ex art. 118 disp. att. cod. proc. civ.

6. Va precisato che la fattispecie oggetto del presente giudizio si colloca in un alveo temporale anteriore all'entrata in vigore dell'art. 5, comma 8, del d.l. 6 luglio 2012, n. 95 (convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135), il quale ha stabilito che le ferie, i riposi ed i permessi spettanti al personale, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche "sono obbligatoriamente fruiti secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi", aggiungendo che "la presente disposizione si applica anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro per mobilità, dimissioni, risoluzione, pensionamento e raggiungimento del limite di età" e che "eventuali disposizioni normative e contrattuali più favorevoli cessano di avere applicazione a decorrere dall’entrata in vigore del presente decreto. La violazione della presente disposizione, oltre a comportare il recupero delle somme indebitamente erogate, è fonte di responsabilità disciplinare ed amministrativa per il dirigente responsabile".

6.1. La Corte costituzionale, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, comma 8, del d.l. 6 luglio 2012, n. 95 (convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135), in riferimento agli artt. 3, 36, commi primo e terzo, e 117, primo comma, Cost., in quanto vieterebbe, nell'ambito del lavoro pubblico, di corrispondere trattamenti economici sostitutivi delle ferie non godute anche quando la mancata fruizione non sia imputabile alla volontà del lavoratore, ha affermato che la norma introdotta dal legislatore si prefigge di reprimere il ricorso incontrollato alla "monetizzazione" delle ferie non godute, contrastandone gli abusi, e di "riaffermare la preminenza del godimento effettivo delle ferie, per incentivare una razionale programmazione del periodo feriale e favorire comportamenti virtuosi delle parti nel rapporto di lavoro, senza arrecare pregiudizio al lavoratore incolpevole". Ha altresì richiamato la giurisprudenza di legittimità, ordinaria e amministrativa, che riconosce al lavoratore il diritto ad un'indennità per le ferie non godute per causa a lui non imputabile, anche quando difetti un'esplicita previsione negoziale in tal senso, ovvero quando la normativa settoriale formuli il divieto di "monetizzazione". Ha affermato che il diritto inderogabile sarebbe violato se la cessazione dal servizio vanificasse, senza alcuna compensazione economica, il godimento delle ferie compromesso dalla malattia o da altra causa non imputabile al lavoratore (C. cost. n. 95 del 2016).

7. Vale anche richiamare la sentenza n. 13860 del 2000 di questa Corte, menzionata dalla Corte costituzionale nella citata pronuncia, nella quale si è osservato che "... il mancato godimento delle ferie costituisce non solo un fatto negativo, bensì, quale complementare aspetto, un fatto positivo. Ed invero, il godimento delle ferie ha il proprio arco temporale di attuazione (l'anno), nel cui ambito, il mancato godimento delle ferie (alle quali il lavoratore aveva diritto), quando diventa irreversibile, si risolve in un lavoro ininterrottamente protratto. E questo lavoro, che si è svolto in luogo del non lavoro (le ferie), assume (nella dimensione corrispondente alla misura temporale delle ferie) la consistenza di una prestazione che non avrebbe dovuto aver luogo; il fatto negativo, costituito dall'assenza di ferie, letto positivamente è (come lavoro in luogo delle ferie) prestazione contrattualmente non dovuta. Questa prestazione, di per sé (nella sua genesi), non è stata resa in violazione della legge: costituisce un adempimento contrattuale. L'impossibilità dell'obbligazione del datore (obbligazione costituita dal consentire il godimento delle ferie), anche ove egli ne fosse liberato, esigerebbe (ex art. 1463 cod. civ., nei limiti di questa obbligazione) la "restituzione" della prestazione (che il datore ha ricevuto, e che non era dovuta): l'impossibilità di questa "restituzione" (causata dall'irreversibilità della prestazione lavorativa) determina, nei confronti del datore, il sorgere dell'obbligazione al pagamento di una somma che (per gli artt. 1463 e 2037, secondo e terzo comma cod. civ., ivi richiamato) corrisponde, in ogni caso, alla retribuzione della prestazione: l'indennità sostitutiva delle ferie. La relativa obbligazione ha pertanto fondamento e natura contrattuale. E sorge per il solo fatto del mancato godimento delle ferie. Né è esclusa dalla mera non imputabilità del godimento al fatto del datore. È esclusa solo dalla "mora del creditore" (artt. 1207 primo comma è 1217 cod. civ.); ove il datore, nell'ambito del suo potere di "stabilire il tempo di godimento" (art. 2109 cod. civ.), offra il proprio adempimento (il godimento delle ferie) fissando adeguatamente questo tempo, che il lavoratore non "riceva", la sopravvenuta impossibilità della prestazione (l'impossibilità del godimento delle ferie) resta a carico del lavoratore. In questa ipotesi, /'obbligazione datori le (consentire il godimento delle ferie), essendo divenuta impossibile per fatto non imputabile al debitore, si estingue (art. 1256 primo comma cod. civ.); ed il lavoro, ininterrottamente reso nell'arco temporale previsto per le ferie, non assume la natura di prestazione non dovuta: l'obbligazione alla restituzione (ex art. 1463 cod. civ.) non sorge: il diritto all'indennità sostitutiva delle ferie non sussiste. E poiché il godimento delle ferie costituisce un obbligo contrattuale del datore, è il datore che ha l'onere di provare (art. 2697 secondo comma cod. civ.) l'adempimento ovvero l'offerta di adempimento (artt. 1207, 1217 cod. civ.)".

8. Il ricorso va dunque accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio per il riesame del merito della causa, facendo applicazione della disciplina contrattuale in senso conforme alla regula iuris sopra enunciata. Si designa quale giudice di rinvio la Corte di appello di Roma, che provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Roma.