Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 17 ottobre 2018, n. 26016

Lavoro - Docente di discipline giuridiche ed economiche - Concessione dell'autorizzazione allo svolgimento dell'attività libero-professionale - Divieto di patrocinare cause a favore o contro l'amministrazione di appartenenza

 

Fatti di causa

 

La Corte d'Appello di L'Aquila, in riforma della pronuncia di prime cure, ha accolto la domanda di M. C., docente di discipline giuridiche ed economiche presso l'Istituto di istruzione superiore Ottavio Colecchi di L'Aquila, volta a sentir dichiarare il suo pieno diritto ad esercitare la professione di avvocato. L'appellante aveva chiesto al Giudice di disapplicare il provvedimento del 3 novembre 2009, con cui il Dirigente scolastico aveva vincolato la concessione dell'autorizzazione allo svolgimento dell'attività libero-professionale per l'anno scolastico 2009-2010 al divieto di patrocinare cause a favore o contro l'amministrazione di appartenenza. Aveva sostenuto l'illegittimità di un siffatto limite, per l'esistenza di una normativa speciale (art. 3 R.d.l. n. 1578/1933), il cui contenuto era stato preservato dai provvedimenti successivi (I. n. 662/1996 e sue modifiche ed integrazioni e I. n. 339/2003) la quale, trattando il regime dell'incompatibilità dell'esercizio delle libere professioni - e di quella forense in modo specifico - con il rapporto di pubblico impiego, aveva escluso dal divieto la categoria dei ' professori delle scuole superiori.

Nell'accogliere la domanda, la Corte territoriale ha statuito che la normativa speciale sulla scuola (e la peculiare natura dell'attività d'insegnamento) ha lasciato inalterata la possibilità in capo al docente di scuola superiore di svolgere la professione forense, senza altri limiti e condizioni, se non quelli espressamente previsti dall'art. 508, co. 15, del d.lgs. 16 aprile 1994, n. 297 (cd. Testo Unico in materia d'istruzione). Ha, pertanto, concluso, che il diniego di autorizzazione imposto a M. C., limitatamente al patrocinio in giudizi in cui fosse parte l'Amministrazione scolastica, si poneva in contrasto con la lex specialis che conferisce ai docenti di materie giuridiche ed economiche delle scuole la facoltà di svolgere la professione forense, previa autorizzazione, non ravvisando in ciò un contrasto con lo status giuridico della dipendente.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il Miur affidandosi a una censura. M. C. resiste con tempestivo controricorso.

Nell'unica censura, formulata ai sensi dell'art. 360, co.l, n.3 cod. proc. civ., il Ministero ricorrente contesta "Violazione e falsa applicazione dell'art. 97 della Costituzione; della I. 339/2003; dell'art. 58 bis L. 23/12/1996 n.662; del R.D.L. 27/11/1933 n. 1578, convertito, con modificazioni, dalla L. 22/1/1934 n. 36 e successive modificazioni; del Codice deontologico forense; degli artt. 2 e 6 del codice di comportamento dei pubblici dipendenti - allegato 2 al vigente CCNL scuola del 29/11/2007; dell'art. 508 del d.lgs. 297/94". Afferma che la motivazione della Corte d'Appello contrasta con la normativa richiamata in epigrafe. Si richiama alla necessità di evitare potenziali conflitti d'interesse nell'esplicazione dell'attività professionale, in quanto: "Nel caso di specie il conflitto e l'interferenza sono quanto mai concreti, perché risulta che molti avvocati-professori delle scuole hanno assunto il patrocinio in ricorsi proposti ai Giudici del lavoro ed amministrativi dal personale scolastico e di frequente accade che il Dirigente scolastico, autorizzato alla difesa in giudizio ex art. 417 bis cod. proc. civ., trova in Tribunale il professore in servizio nella scuola che dirige, in posizione avversa a quella che egli è chiamato a difendere" (p. 6 ric.). Propone, pertanto, un'interpretazione del R.D.L. 27/11/1933 n. 1578, convertito, con modificazioni, dalla L. 22/1/1934 n. 36 e successive modificazioni, che ritiene maggiormente coerente con i valori costituzionali d'imparzialità e buona amministrazione, nonché con i principi di fedeltà e di esclusività dei pubblici dipendenti alla Nazione (artt. 97 e 98) a cui tutte le norme vigenti sono destinate ad uniformarsi. In quest'ottica la censura prospetta che anche la disciplina di cui all'art. 508 del d.lgs. n. 297/1994, che ha confermato il regime speciale della compatibilità tra status di docente delle scuole superiori pubbliche ed esercizio della professione legale, debba essere contemperata con le altre norme di legge che prevedono per tutti i pubblici dipendenti, nessuno escluso, il generale divieto di operare in conflitto d'interessi con le amministrazioni presso cui prestano servizio.

La censura è fondata.

La Corte territoriale ha basato il suo convincimento su un'esegesi dell'art. 508, del d.lgs. n. 297/1994 (Testo Unico in materia d'istruzione), rimasto in vigore per effetto del richiamo contenuto nell'art. 53 del d.lgs. n. 165/2001 in tema d'incompatibilità, cumulo d'impieghi ed incarichi dei dipendenti pubblici ("restano ferme le disposizioni dell'art. 508 del d.lgs. n. 297/1994").

L'art. 508 del d. Igs. n. 297 subordina l'esercizio delle libere professioni da parte dei docenti delle scuole pubbliche: a) all'autorizzazione del dirigente scolastico o del preside; b) all'assenza di pregiudizio per l'attività d'insegnamento; c) alla condizione della compatibilità tra libera professione e orario di servizio, comprensivo delle ore dedicate ad attività propedeutiche e collaterali all'insegnamento.

La Corte ha, così, ritenuto che l'art. 508, non contenendo nessun'altra limitazione a carico del docente, non ponesse limiti, nello specifico, all'assunzione del patrocinio in controversie nelle quali fosse parte l'Amministrazione scolastica.

Il R.D.I. n. 1578/1933, convertito in legge n.234/1936, nel sancire l'incompatibilità tra la libera professione e il rapporto d'impiego pubblico aveva posto un'espressa deroga per i professori e gli assistenti delle università, e degli istituti scolastici secondari statali, a tutela della libertà d'insegnamento. Tale diverso trattamento, mantenuto da tutte le riforme intervenute in seguito, si giustifica, secondo i Giudici dell'Appello, per il fatto stesso che un conflitto d'interessi non sarebbe neppure ipotizzabile, in ragione della peculiare natura dell'attività svolta dai docenti (p.3 sent.), consistente nell'attribuzione agli stessi non già (o, meglio, non solo) del compito di realizzare i fini particolari dell'amministrazione di appartenenza, ma di concorrere alla più ampia formazione culturale dei cittadini nei vari campi del sapere, in condizioni d'indipendenza (art. 33 Cost.).

Lungo tale linea interpretativa la Corte territoriale ha escluso che l'attività forense possa mai arrecare pregiudizio all'amministrazione scolastica qualora quest'ultima sia parte in causa, sul presupposto che l'affermazione della legalità costituisce un fine al quale la p.a. aspira primariamente.

Con la successiva I. n. 662/1996 (art. 1, commi 56, 56 bis, 57, 58, 58 bis, 59 e 60), il legislatore, tornando in argomento, ha introdotto una parziale liberalizzazione delle diverse attività libero professionali per i dipendenti pubblici, ponendo come condizione la trasformazione del rapporto d'impiego da full time a pari time.

Per i docenti delle scuole statali, tuttavia, il regime eccezionale di deroga era rimasto invariato, tant'è che, come affermato dalla Corte territoriale, a carico degli stessi la legge non aveva nemmeno posto l'obbligo della trasformazione del rapporto in part time, essendo, l'attività libero professionale, compatibile anche con un insegnamento a tempo pieno.

Là dove la ratio decidendi della sentenza gravata è censurabile, è nell'aver omesso di correlare la fin qui richiamata disciplina con l'art. 1 della I. n. 339/2003, che ha introdotto nuove norme in tema d'incompatibilità dell'esercizio della professione forense.

Con tale provvedimento (art. 1co. 1) il legislatore ha ripristinato il divieto originariamente previsto in capo ai dipendenti pubblici richiamando i limiti sanciti dal R.D. n. 1578/1933 ("...restano fermi i limiti e i divieti di cui al regio decreto - legge 27 novembre 1933, n. 1578, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, e successive modificazioni"); ha disapplicato l'art. 1 commi 56, 56 bis e 57 della I. n. 662/1996 che ammettevano la compatibilità tra la professione forense e lo status di pubblico dipendente, a condizione della trasformazione del rapporto d'impiego in part time ("Le disposizioni di cui all'articolo 1, commi 56, 56 bis, e 57 della legge 23 dicembre 1996, n. 662, non si applicano all'iscrizione agli albi degli avvocati..."); ha mantenuto la deroga in favore dei docenti delle scuole superiori.

Il punto dirimente degli effetti disapplicativi dell'art. 1, co. 1 della I. n. 339/2003, sulla condizione dei "professori - avvocati", che la Corte d'Appello ha mancato di considerare, è, tuttavia, la mancata disapplicazione del comma 58 bis dell'art. 1 del d.lgs. n. 662/1996, aggiunto all'originario provvedimento dalla I. n. 140/1997, il quale dispone che, ferma restando la valutazione in concreto dei singoli casi di conflitto d'interesse, alle amministrazioni compete indicare tutte quelle attività che in ragione dell'interferenza con i compiti istituzionali, non sono consentite ai dipendenti.

Il fatto che l'art. 1 della I. n. 339/2003 abbia mantenuto in vita il solo comma 58 bis della legge n. 662/1996, disapplicando i restanti commi, induce a ritenere che, nei residui casi in cui tuttora la legge consente l'esercizio della professione forense, ossia nel caso dei docenti delle università, degli istituti superiori e delle scuole secondarie, il legislatore abbia inteso conservare in capo alle amministrazioni di appartenenza un margine di discrezionalità nella valutazione della possibile interferenza tra l'attività professionale e lo status di pubblico dipendente.

La previsione di tale limite di carattere generale contraddice, tuttavia, la conclusione, cui è erroneamente pervenuta la Corte territoriale, secondo la quale, l'eccezionale previsione di compatibilità per i docenti, che ha resistito a ogni riforma limitativa intervenuta in materia, implicherebbe l'esclusione di qual si voglia limitazione, anche qualora l'attività forense si eserciti in giudizi di cui sia parte l'amministrazione scolastica. Tale statuizione non si concilia, infatti, con il dettato dell'art. 1, co. 58 bis della I. n. 662/1996, mantenuto in vigore dalla I. n. 339/2003, a norma del quale permane, in capo agli organi scolastici, oltre che la valutazione in concreto dei singoli casi di conflitto d'interesse, altresì la facoltà di indicare le attività che interferiscono con i compiti istituzionali del docente.

In conclusione, alla generale incompatibilità del rapporto di pubblico impiego con le libere professioni, si contrappone la norma speciale di cui al R.D.L. n. 1578/1933, conv. in L. n.234/1936 e successive modificazioni, richiamata dall'art. 1 co. 1 della I. n. 339/2003, che consente l'esercizio della professione forense a poche specifiche categorie, tra cui i professori degli istituti scolastici secondari statali. La legge affida, tuttavia, la garanzia del legittimo svolgimento dell'attività forense all'osservanza di poche regole, tra cui quella di richiedere l'autorizzazione al dirigente scolastico o al preside, di non arrecare pregiudizio all'insegnamento e di svolgere la libera attività nel rispetto dell'orario di servizio (art. 508 del d.lgs. n. 297 del 1994, richiamato dall'art. 53, del d.lgs. n. 165 del 2001).

Non è dato ritenere, pertanto, che non sussista in capo all'amministrazione scolastica alcun margine per valutare la legittimità dell'assunzione del patrocinio legale da parte del docente-avvocato, così com'è confermato dall'evolversi della disciplina sulle incompatibilità di cui alla I. n. 339 del 2003, la quale, nel ripristinare il generale divieto di svolgimento delle libere professioni in capo ai dipendenti pubblici, anche con rapporto d'impiego part time, ha mantenuto in vita la facoltà per i docenti delle scuole superiori di svolgere la professione forense, ferma restando la possibilità in capo alle amministrazioni scolastiche, di valutare in concreto singoli casi di conflitto d'interesse o comunque d'interferenza con i compiti istituzionali del docente.

Dal quadro normativo, così come sopra ricostruito, deve trarsi il seguente principio di diritto: "Per effetto della mancata disapplicazione del co. 58 bis dell'art. 1, del d.lgs. n. 662/1997 (ndr. del co. 58 bis dell'art. 1, del d.lgs. n. 662/1996) (introdotto con la I. n. 140/1997) da parte dell'art. 1, co.l della I. n.339/2003, all'amministrazione scolastica compete la valutazione in concreto della legittimità dell'assunzione del patrocinio legale, da parte dell'insegnante che ivi presti servizio, nonché l'individuazione delle attività che, in ragione dell'interferenza con i compiti istituzionali, non sono consentite ai dipendenti, con particolare riferimento all'assunzione di difese in controversie di cui la stessa amministrazione scolastica è parte."

In definitiva, essendo l'unica censura fondata, il ricorso va accolto. La sentenza va cassata e la causa va decisa nel merito, con rigetto dell'originaria domanda. Le spese dell'intero processo sono compensate in ragione dell'esito alterno dei giudizi di merito.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l'originaria domanda. Compensa le spese dell'intero processo.