Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 17 ottobre 2018, n. 26044

Gestione commercianti - Attività di commercio all'ingrosso - Carattere dell'abitualità, continuità e prevalenza - Obbligo contributivo - Accertamento

 

Considerato in fatto

 

1. La Corte d'appello di Venezia , in riforma della sentenza del Tribunale di Rovigo, ha respinto l'opposizione di C.M. , amministratore unico della F.S. srl, avverso la cartella esattoriale emessa su istanza dell'Inps per il pagamento dei contributi relativi alla gestione commercianti dal 2001 al 2006 da essa dovuti esercitando, con il carattere dell'abitualità, continuità e prevalenza attività di commercio all'ingrosso di prodotti ortofrutticoli.

La Corte territoriale ha ritenuto infondata l'eccezione di decadenza ex art. 25 Dlgs n 46/1999 per tardiva iscrizione a ruolo (il verbale ispettivo era del 20/7/2005 cui era seguita l'iscrizione a ruolo il 30/11/2007) rilevando che la controversia introdotta dall'opposizione a ruolo per crediti previdenziali non si risolveva nella mera verifica circa la regolarità formale del titolo esecutivo ma comportava inerendo all'an della relativa pretesa, alla stregua di un ordinario giudizio di cognizione, l'accertamento in ordine alla sussistenza dei presupposti costitutivi del credito fatto valere dall'Ente impositore e che, pur in mancanza di una specifica domanda riconvenzionale da parte dell'istituto, il giudice era tenuto ad accertare la sussistenza dell'obbligo contributivo, a prescindere dal rispetto dei termini di cui all'art. 25 citato, dovendosi, altresì, sottolineare che la decadenza non aveva comunque natura sostanziale.

Nel merito la Corte ha richiamato le dichiarazioni rese dalla M. agli ispettori da cui risultava provata l'attività della M. quale socio lavoratore e dunque l'obbligo dell'iscrizione alla gestione del commercio anche se già iscritta alla gestione autonoma, quale amministratore della società.

2. Avverso la sentenza ricorre C.M. con tre motivi. L'Inps ha rilasciato delega in calce.

 

Ritenuto in diritto

 

3. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione dell'art. 25, comma 1, d.lgs. n. 46/1999 e la decadenza ivi prevista di natura sostanziale ; con il secondo motivo lamenta la violazione dell'art. 112 cpc per essere la Corte incorsa in vizio di ultrapetizione non avendo tenuto conto che l'Inps non aveva mai chiesto la condanna della M. al pagamento di somme, avendo concluso semplicemente per il rigetto dell'opposizione; con il terzo motivo lamenta vizio di motivazione avendo interpretato erroneamente le dichiarazioni rese dalla M. agli ispettori.

4. I motivi sono infondati.

5. In ordine alla natura ed alla funzione della decadenza prevista dall'art. 25 d.lgs. n. 46 del 1999, all'interno del complessivo sistema di riscossione dei crediti contributivi previdenziali, questa Corte di cassazione (da ultimo vd. Cass n. 5963/2018, Cass. n. 19708 del 2017; 15211 del 2017) ha affermato, con orientamento consolidato, che:

- l'iscrizione a ruolo è solo uno dei meccanismi che la legge accorda all'INPS per il recupero dei crediti contributivi, ferma restando la possibilità che l'istituto agisca nelle forme ordinarie (su tale alternativa, per l'analoga posizione dell'INAIL, v. anche Cass. 6 agosto 2012 n. 14149);

- coerentemente, un eventuale vizio formale della cartella o il mancato rispetto del termine di decadenza previsto ai fini dell'iscrizione a ruolo comporta soltanto l'impossibilità, per l'istituto, di avvalersi del titolo esecutivo, ma non lo fa decadere dal diritto di chiedere l'accertamento in sede giudiziaria dell'esistenza e dell'ammontare del proprio credito;

- l'art. 25 cit. d.lgs. n. 46 del 1999 prevede in sostanza una decadenza processuale e non sostanziale e ciò è dimostrato: dal tenore testuale della norma, che parla di decadenza dall'iscrizione a ruolo del credito e non di decadenza dal diritto di credito o dalla possibilità di azionarlo nelle forme ordinarie; dall'impossibilità di estendere in via analogica una decadenza dal piano processuale anche a quello sostanziale (per principio generale le norme in tema di decadenza sono di stretta interpretazione: cfr., ad esempio, Cass. 25 maggio 2012 n. 8350); dalla non conformità all'art. 24 Cost. di un'opzione interpretativa che negasse all'istituto la possibilità di agire in giudizio nelle forme ordinarie; dalla ratio dell'introduzione del meccanismo di riscossione coattiva dei crediti previdenziali a mezzo iscrizione a ruolo, intesa a fornire all'ente un più agile strumento di realizzazione dei crediti (v. Corte cost. ord., n. 111/07), non già a renderne più difficoltosa l'esazione imponendo brevi termini di decadenza; dal rilievo che la scissione fra titolarità del credito previdenziale e titolarità della relativa azione esecutiva (quest'ultima in capo all'agente della riscossione) mal si concilierebbe con un'ipotesi di decadenza sostanziale.

Non sussiste, pertanto, la denunciata decadenza dell'Istituto dal diritto di pretendere il pagamento dei contributi e ciò a prescindere dalla formulazione di una domanda riconvenzionale di condanna/ atteso che una tale richiesta è implicita nella emissione della cartella.

6. Nel merito il ricorso è infondato.

La disciplina relativa alla gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali e del terziario è stata, come noto, modificata dall’art. 1, comma 203, I. n. 662/1996, il quale, nel riformulare l’art. 29, comma 1°, I. n. 160/1975, ha previsto che l’obbligo di iscrizione nella gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali di cui alla legge n. 613/1966 sussiste per i soggetti che siano in possesso dei seguenti requisiti: a) siano titolari o gestori in proprio di imprese che, a prescindere dal numero dei dipendenti, siano organizzate e/o dirette prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti la famiglia, ivi compresi i parenti e gli affini entro il terzo grado, ovvero siano familiari coadiutori preposti al punto di vendita; b) abbiano la piena responsabilità dell'impresa ed assumano tutti gli oneri ed i rischi relativi alla sua gestione (ancorché tale requisito non sia richiesto per i familiari coadiutori preposti al punto di vendita nonché per i soci di società a responsabilità limitata); c) partecipino personalmente al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza; d) siano in possesso, ove previsto da leggi o regolamenti, di licenze o autorizzazioni e/o siano iscritti in albi, registri e ruoli. Presupposto imprescindibile per l'iscrizione alla gestione commercianti è dunque pur sempre la prestazione di un'attività lavorativa abituale all'interno dell'impresa, sia essa gestita in forma individuale che societaria: e ciò perché - come a suo tempo rimarcato da Cass. S.U n. 3240 del 2010 - l'assicurazione obbligatoria non intende proteggere l'elemento imprenditoriale del lavoro autonomo, ma piuttosto accomunare commercianti, coltivatori diretti e artigiani ai lavoratori dipendenti in ragione dell'espletamento di attività lavorativa abituale e prevalente all'interno dell'impresa.

Nella fattispecie la Corte territoriale, con valutazione in fatto congruamente motivata, ha affermato che l'attività della M. doveva essere assoggettata alla contribuzione presso la gestione commercianti dell'Inps. In particolare la Corte d'appello ha esaminato le dichiarazioni rese dalla M. agli ispettori e dalle stesse ha tratto il convincimento che l'attività abituale e prevalente della stessa si svolgesse all'interno della società.

Si consideri, inoltre, quanto alla censura di cui al terzo motivo, che la sentenza impugnata è stata depositata dopo rii settembre del 2012 e pertanto al ricorso per cassazione è applicabile, quanto all'anomalia motivazionale, l'art. 360 c.p.c., n. 5, nella formulazione introdotta con il D.L. n. 83 del 2012, conv. con L. n. 134 del 2012.

In questo contesto, il nuovo testo dell'art. 360 c.p.c., n. 5, introduce nell'ordinamento un vizio specifico che concerne l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che la ricostruzione del fatto operata dai giudici del merito è ormai sindacabile in sede di legittimità soltanto ove la motivazione al riguardo sia affetta da vizi giuridici, oppure se manchi del tutto, oppure se sia articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi, oppure obiettivamente incomprensibili; mentre non si configura un omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, ove quest'ultimo sia stato comunque valutato dal giudice, sebbene la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie e quindi anche di quel particolare fatto storico, se la motivazione resta scevra dai gravissimi vizi appena detti. E a dir poco evidente che, nella fattispecie, una ricostruzione del fatto pienamente sussiste e che la decisione non è affetta dai vizi appena indicati come soli ormai rilevanti ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5, nell'attuale formulazione.

7. Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato. Non si deve provvedere sulle spese non avendo l'Inps svolto attività nel presente giudizio.

Avuto riguardo all'esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui all'art. 13, comma 1 quater, dpr n. 115/2002.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater del dpr n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.