Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 16 maggio 2017, n. 12112

Licenziamento - Per giusta causa - Direttore della RSA - Omessa vigilanza sul corretto svolgimento dell'attività lavorativa - Grave inadempimento

Fatti di causa

1. Con la sentenza n. 1108/2015 la Corte di appello di Milano ha confermato la pronuncia n. 429/2015 del Tribunale di Milano con la quale, in accoglimento dell'opposizione all'ordinanza emessa in sede sommaria ex lege 92/2012, era stato dichiarato legittimo il licenziamento intimato a S.B., ritenendo sussistente una giusta causa di recesso consistita nel grave inadempimento per omessa vigilanza sul corretto svolgimento dell'attività e, quindi, sul regolare svolgimento del servizio nei termini fissati dal capitolato, quale direttore della RSA di Bollate.

2. A fondamento della decisione i giudici di seconde cure hanno precisato che: a) dalle risultanze istruttorie si evinceva la condivisibilità del giudizio espresso dal primo giudice circa il grave inadempimento con riferimento agli obblighi di vigilanza sulla corretta esecuzione dell'appalto; b) le contestazioni riproposte con l'atto di appello riguardavano documentazione in parte prodotta per la prima volta con l'atto di appello e, in parte, di formazione successiva ai fatti di causa; c) l'eccezione di carenza del requisito dell'immediatezza andava disattesa in considerazione dei tempi resisi necessari per effettuare verifiche e controlli complessi; d) analogamente non era fondata la riproposta eccezione di non proporzionalità della sanzione: nel caso in esame, infatti, sussisteva sia un evidente danno economico sia un danno complessivo derivante dalle carenze nel servizio; e) in mancanza della deduzione di un licenziamento discriminatorio e/o ritorsivo e/o per motivo illecito determinante, era da ritenersi corretta la decisione del Tribunale circa la mancata ammissione delle prove orali relative ad una dedotta condotta dequalificante e mobbizzante.

3. Per la cassazione propone ricorso S.B. affidato a due motivi.

4. Resiste con controricorso la G. Servizi di utilità Sociale srl.

 

Ragioni della decisione

 

1. Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14.9.2016, la redazione della motivazione in forma semplificata.

2. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ex art. 360 n. 4 cpc, la violazione dell'art. 2697 cc in relazione all'art. 5 legge 604/1966 e all'art. 2119 cc nonché la violazione dell'art. 7 legge 300/1970.

Denuncia la violazione della ripartizione dell'onere probatorio ex art. 2697 cc, posto dall'art. 5 legge n. 604/1966 a carico del datore di lavoro, perché la Corte territoriale aveva recepito integralmente le mere allegazioni della G. srl e, di contro, aveva negato a vario titolo la rilevanza e la attendibilità degli elementi istruttori assunti ad iniziativa del lavoratore, violando, quindi, palesemente le norme in tema di onere della prova; obietta, poi, che il richiamo in motivazione dell'episodio del 12.10.2015, non oggetto di specifica contestazione nella raccomandata del 6.12.2013, costituiva palese violazione dell'art. 7 legge n. 300/1970.

3. Con il secondo motivo si censura, in relazione all'art. 360 n. 5 cpc, l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, costituito dal "riepilogo ore" depositato il 29.1.2015 da esso ricorrente che smentiva i conteggi prodotti dalla G. srl, nonché dalla circostanza che pendevano giudizi, promossi dalla Cooperativa C. nei confronti della G. SUS, ove si rivendicavano diritti di credito in forza degli intercorsi rapporti contrattuali, che confermava l'inesistenza di alcun inadempimento del personale della citata Cooperativa soggetta al controllo dell'odierno ricorrente.

4. Il primo motivo è inammissibile.

5. In primo luogo deve evidenziarsi che è inconferente il riferimento al vizio di cui all'art. 360 n. 4 cpc perché le norme poste dal codice civile in materia di onere della prova e di ammissibilità ed efficacia dei vari mezzi probatori attengono al diritto sostanziale, sicché la loro violazione integra un error in judicando e non in procedendo (Cass. 19.3.2014 n. 6332).

6. In secondo luogo, va osservato che la doglianza si risolve, in sostanza, nella richiesta di revisione del "ragionamento decisorio" ossia dell'opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata che, in quanto sindacato di un accertamento di fatto, è precluso in sede di legittimità (tra le altre Cass. 5.3.2002 n. 3161).

7. Il secondo motivo è, parimenti, inammissibile.

8. Nella fattispecie in esame si verte in ipotesi di cd. "doppia conforme" in fatto (appello depositato il 20.3.2015 e sentenza di II grado depositata l'1.12.2015) per cui il vizio ex art. 360 n. 5 cpc non può essere proposto ex art. 348 ter cpc a meno che la motivazione sia affetta da vizi giuridici o manchi del tutto oppure sia articolata su espressioni ed argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, perplessi o obiettivamente incomprensibili: vizi, questi, non ravvisabili nella gravata sentenza che con motivazione congrua e logica ha indicato compiutamente gli elementi in fatto e in diritto posti a base della decisione.

9. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

10. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.