Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 05 ottobre 2016, n. 19919

Dirigente - Licenziamento per giusta causa - Carattere discriminatorio - Prova - Domanda cautelare per la reintegrazione

 

Svolgimento del processo

 

Con ricorso al Tribunale di Messina, depositato il 4.10.13, R.G. funzionario e dirigente della società T. s.p.a., premetteva che con atto dell'8.3.11 era stato licenziato per giusta causa, e che contro il recesso aveva già proposto altro ricorso, cautelare e di merito, depositato il 25.3.11 (con il quale aveva dedotto la illegittimità del licenziamento, ed aveva avanzato contestualmente domanda cautelare per la reintegrazione); che adiva nuovamente il giudice del lavoro prospettando che il licenziamento avesse carattere discriminatorio; insisteva preliminarmente nella riunione con il giudizio pendente sulla illegittimità del licenziamento e chiedeva la condanna del datore di lavoro alla reintegrazione e al risarcimento dei danni.

T. si costituiva eccependo l'inammissibilità della domanda, sia per l'inapplicabilità del "rito Fornero" ai sensi dell'art. 1, comma 47, L. n. 92\12, sia per illegittima reiterazione dell'azione già proposta; nel merito si opponeva alla domanda, evidenziando la carenza di allegazione sul carattere discriminatorio del licenziamento e sull'assenza di giusta causa, il Tribunale, con ordinanza del 18 marzo 2014, disattendendo le eccezioni preliminari sollevate da T. e l'istanza di riunione avanzata dal R., rigettò la domanda per carenza di allegazione e di prova sul carattere discriminatorio del licenziamento.

L’opposizione proposta dal R. venne rigettata con sentenza del 12 dicembre 2014, accogliendo il giudice l'eccezione di decadenza ai sensi dell’art. 6, comma 2, L. n. 604\66, novellato dalla L. n. 183\10, in relazione al termine (di 270 giorni, applicabile ratione temporis) per il deposito del ricorso introduttivo del giudizio.

Avverso tale sentenza proponeva reclamo il R., contestando che fosse incorso nella decadenza dall'impugnazione, atteso che egli, prima di depositare il ricorso introduttivo del presente giudizio, aveva chiesto, anche in via cautelare, la reintegrazione nell'altro giudizio, sicché non poteva essere incorso in decadenza; contestava inoltre la tempestività dell’eccezione di decadenza, sollevata dalla società T. solo con la memoria di costituzione nella fase di opposizione, non potendosi ammettere la possibilità di formulare eccezioni in tale sede, chiedendo il riconoscimento del carattere discriminatorio del recesso, insistendo nelle domande originariamente formulate.

T. s.p.a. si costituiva contestando i motivi di gravame e chiedendone il rigetto.

Con sentenza depositata il 1 aprile 2015, la Corte d'appello di Messina respingeva il reclamo, compensando le spese. Riteneva la Corte che la decadenza dall'impugnativa (per il mancato deposito del ricorso entro 270 giorni dall’impugnativa stragiudiziale, ex art. 6 L. n. 604\66, come modificato dalla L. n. 183\10) non era stata impedita dalla precedente proposizione del ricorso cautelare.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il R., affidato a quattro motivi.

Resiste T. s.p.a. con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

 

Motivi della decisione

 

1. - Ragioni di priorità logica impongono di esaminare dapprima il quarto motivo di ricorso con cui il R. denuncia la violazione dell'art. 1, commi 48 e segg., L. n. 92\12.

Lamenta che la sentenza impugnata ritenne erroneamente che l'eccezione di decadenza, sollevata dalla società solo in sede di opposizione ex art. 1, comma 51, L. n. 92\12, dovesse considerarsi ammissibile e tempestiva.

Il motivo è infondato, avendo questa Corte più volte affermato, ex aliis, Cass. n. 25046\15, che nel rito di cui all'art. 1, commi 48 e segg., della I. n. 92 del 2012, l'eccezione di decadenza dall'impugnativa del licenziamento può essere proposta per la prima volta nella fase di opposizione, che non ha natura impugnatoria ma si pone in rapporto di prosecuzione, nel medesimo grado di giudizio, con la fase sommaria, tanto che il ricorso che la introduce deve contenere gli elementi indicati dall'art. 414 c.p.c., ossia quelli idonei a delimitare il tema della decisione nel giudizio di cognizione ordinaria.

2. - Seguendo quindi l'ordine dei restanti motivi, si osserva.

Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e\o falsa applicazione dell'art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale; dell'art. 6, commi 1 e 2, L. n. 604\66, poi modificato dall'art. 32, comma 1, L. n. 183\10 e 2, comma 54, d.l. n. 225\10, conv. in L. n. 10\11; art. 1, commi 38 e 39 L. n. 92\12. Violazione e falsa applicazione dell'art. 1442 c.c. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Lamenta che, essendo stato licenziato in data 8.3.2011 ed avendo, senza effettuare alcuna impugnazione stragiudiziale, depositato in data 25.3.11 un primo ricorso giudiziale ex art. 700 c.p.c. con contestuali domande di merito (RG 1860\11), avente ad oggetto la reintegrazione nel posto di lavoro quale pseudo-dirigente, il ricorrente aveva pienamente soddisfatto il paradigma previsto dall'articolo 6 della L. n. 604\66, secondo la originaria formulazione, e quindi nessuna decadenza dal termine per impugnare poteva essere dichiarata per il presente ricordo, in origine distinto col n.r.g. 5635\13. Invero, la modifica al detto articolo 6, apportata dapprima dall'art. 32 della legge n. 183\10 e successivamente, proprio quanto all’entrata in vigore, dall'art. 2, comma 54, del D.L. 29 dicembre 2010, n. 225 (convertito in L. 26 febbraio 2011 n.10), non poteva determinare la decadenza del ricorrente dal termine per impugnare in quanto egli, antecedentemente al 31.12.11, aveva pienamente soddisfatto la condizione per evitarla, costituita dalla sola generica impugnazione stragiudiziale, tramite la proposizione del ricorso cautelare r.g.n. 1860\11.

3. - Il motivo è infondato.

3.1 - Va premesso che la dedotta qualifica dirigenziale del R. non influisce sull'esito della presente controversia essendosi già affermato che l'art. 6 della I. n. 604 del 1966, come modificato dall'art. 32 della I. n.183 del 2010, che prevede il termine di decadenza di sessanta giorni per l’impugnazione stragiudiziale del licenziamento, cui deve seguire a pena di inefficacia il deposito del ricorso giurisdizionale nei successivi centottanta giorni, si applica, in forza del comma 2, del citato art. 32, senza che assuma rilievo la categoria legale di appartenenza del lavoratore e, dunque, anche ai dirigenti, dovendosi individuare la "ratio" della disciplina introdotta dalla I. 183 del 2010 nell'esigenza di garantire la speditezza dei processi, attraverso l'introduzione di termini di decadenza ed inefficacia in precedenza non previsti, in aderenza con l’art. 111 Cost., operando un non irragionevole bilanciamento tra la necessità di tutela della certezza delle situazioni giuridiche e il diritto di difesa del lavoratore (Cass. n. 22627 del 05/11/2015).

3.2- Quanto alla idoneità della proposizione di un ricorso cautelare ad evitare la decadenza di cui al secondo comma dell'art. 6 L. n. 604\66, come novellato dall'art. 32 L. n. 183\2010 (e successivamente dalla L. n. 92\2012), deve osservarsi che la questione è stata recentemente esaminata da questa Corte, con esito opposto a quello sostenuto dal ricorrente.

La questione riguarda l’interpretazione del denunciato art. 6, comma 2°, della legge n. 604 del 1966, nel testo modificato dall'art. 1 comma 38, della legge n. 92 del 2012 ed in particolare la risposta al quesito se, ai fini della conservazione dell’efficacia dell’impugnazione stragiudiziale del licenziamento, nelle ipotesi regolate dall'articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, può valere anche il ricorso ex art. 700 c.p.c., ovvero è necessario comunque e, nel termine ivi previsto, che sia proposto ricorso secondo il c.d. rito Fornero (art. 1, comma 48, della legge n. 92 del 2012).

Nella sentenza 14.7.2016 n. 14390 si è affermato che i commi 37, 47 e 48 dell’art. 1 della legge n. 92 del 2012 devono essere necessariamente interpretati in maniera coordinata poiché la regola della conservazione dell’efficacia della impugnazione stragiudiziale del licenziamento stabilita dal novellato art. 6 della legge n. 604 del 1966 trova applicazione anche con riferimento alla c.d. tutela reale per la quale è sancito che l'impugnativa giudiziale deve essere proposta secondo il c.d. rito Fornero regolato, appunto, dai commi 48 e seguenti dell'art. 1 della menzionata L. n. 92\12.

Si tratta, come sottolineato dalle Sezioni Unite (Cass. S.U. 18 settembre 2014 n. 19674), di un nuovo speciale rito finalizzato all'accelerazione dei tempi del processo, che si caratterizza per l'articolazione del giudizio di primo grado in due fasi: una fase a cognizione semplificata (o sommaria) e l’altra, definita di opposizione, a cognizione piena nello stesso grado. Mentre la prima fase è caratterizzata, ancorché il ricorso debba avere i requisiti di cui all’art. 125 c.p.c., dalla mancanza di formalità, poiché rispetto al rito ordinario delle controversie di lavoro non è previsto il rigido meccanismo delle decadenze e delle preclusioni di cui agli artt. 414 e 416 c.p.c. e l'istruttoria, semplificata, è limitata agli "atti di istruzione indispensabili", la seconda fase è invece introdotta con un atto di opposizione proposto con ricorso. Tale opposizione, come precisato dalle Sezioni Unite nella citata pronuncia, "non è una revisio prioris istantiae, ma una prosecuzione del giudizio di primo grado, ricondotto in linea di massima al modello ordinario, con cognizione piena a mezzo di tutti gli "atti di istruzione ammissibili e rilevanti". In sostanza "dopo una fase iniziale concentrata e deformalizzata -mirata a riconoscere, sussistendone i presupposti, al lavoratore ricorrente una tutela rapida ed immediata e ad assegnargli un vantaggio processuale (da parte ricorrente a parte eventualmente opposta), ove il fondamento della sua domanda risulti prima facie sussistere alla luce dei soli "atti di istruzione indispensabili"- il procedimento si riespande, nella fase dell'opposizione, alla dimensione ordinaria della cognizione piena con accesso per le parti a tutti gli "atti di istruzione ammissibili e rilevanti". L'esigenza di "evitare che la durata del processo ordinario si risolva in un pregiudizio per la parte che intende far valere le proprie ragioni" (Corte cost. 28 gennaio 2010 n. 26) va coniugata sempre con l'effettività e pienezza della tutela. La diversità e peculiarità della materia giustificano un binario accelerato nei limiti in cui - come ha avvertito la Corte costituzionale con riferimento a moduli processuali speciali finalizzati ad accelerare la definizione delle controversie (Corte cost. 10 novembre 1999 n. 42) - "non sia pregiudicato lo scopo e la funzione del processo e non sia compromessa l'effettività della tutela giurisdizionale (...)". Ne consegue che la prima fase del giudizio di primo grado è semplificata e sommaria e la sommarietà riguarda le caratteristiche dell'istruttoria, e non una sommarietà della cognizione del giudice, né l'instabilità del provvedimento finale. L'idoneità al giudicato è espressamente prevista per la sentenza resa all’esito dell'opposizione ma, come rileva la Corte nella citata pronuncia, non può essere esclusa per l'ordinanza conclusiva della fase sommaria, irrevocabile fino alla conclusione di quella di opposizione (cfr. in termini Cass. 20 novembre 2014 n. 24790).

Stante, quanto ai contenuto del ricorso introduttivo della prima fase del rito in parola, il richiamo all'art. 125 c.p.c. consegue che detto atto introduttivo deve necessariamente indicare la causa petendi ed il petitum.

Tale prescrizione non è, tuttavia, prevista dall'art. 669 bis c.p.c. relativamente al ricorso con il quale si attiva la richiesta del provvedimento di urgenza ex art. 700 c.p.c. Questa sostanziale diversità induce a ritenere che il legislatore del 2012, nell'ipotesi in esame, ha inteso riferirsi, ai fini della conservazione dell'efficacia dell'impugnazione stragiudiziale del licenziamento, esclusivamente al ricorso introduttivo dello speciale rito regolato dei commi 48 e seguenti dell'art. 1 della legge n. 92 del 2012 con esclusione, quindi, del ricorso ex art. 700 c.p.c.

Né può sottacersi la eloquenza della formula dell'art. 6 comma 2 della legge 604 del 1966, là dove equipara - in termini di idoneità ad escludere la decadenza - al ricorso depositato presso la cancelleria del giudice del lavoro la comunicazione del tentativo di conciliazione o di arbitrato e poi laddove reitera la previsione dell'atto dovuto a pena di decadenza, indicandolo nel deposito del ricorso al giudice del lavoro entro sessanta giorni dalla chiusura infruttuosa di quel tentativo, in tal modo rendendo palese che quell'atto ultimo da depositare, che non può essere che il ricorso ordinario, è quello stesso atto previsto ab initio come modalità alternativa per escludere la decadenza.

Si deve pertanto affermare il seguente principio di diritto: l’art. 6, comma 2°, della legge n. 604 del 1966, nel testo modificato dall’art. 1, comma 38, della legge n. 92 del 2012 deve essere interpretato, nel caso d'impugnativa del licenziamento nelle ipotesi regolate dall'articolo 18 della legge 20 maggio 1970 n. 300 e successive modificazioni, nel senso che, ai fini della conservazione dell'efficacia dell'impugnazione stragiudiziale del licenziamento, è necessario che, nel termine previsto, venga proposto ricorso secondo il rito di cui ai commi 48 e seguenti dell'art. 1 della predetta legge n. 92 del 2012.

Da tale condivisibile principio questa Corte non ha ragioni di discostarsi.

4. -Resta così assorbito il secondo motivo con cui il R. denuncia, all'esito dell'accoglimento del primo motivo, la violazione e falsa applicazione degli artt. 4 L. n. 604\66, 15 L. n. 300\70, come modificato dall'art.13 L. n. 903\77; 18 L. n. 300\70; violazione e falsa applicazione degli artt. 1, commi 42, 47 e 48, L. n. 92\12, oltre che dell'art. 112 c.p.c.

5. - Parimenti assorbito risulta il terzo motivo, con cui il ricorrente denuncia la violazione e\o falsa applicazione degli artt. 1344, 1345, 1346, 1418 e 1421 c.c.; 4 L. n. 604\66 e 18 L. n. 300\70; violazione dell'art. 1, commi 42, 47 e 48 L. n. 92\12; dell'art. 1421 c.c., oltre che dell'art. 112 c.p.c., lamentando il mancato esame delle altre causa di nullità del licenziamento.

6. - Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115\02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in €.100,00 per esborsi, €. 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e c.p.a.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115\02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.