Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 05 ottobre 2016, n. 19922

Licenziamento per giusta causa - Mancata esecuzione della prestazione - Onere probatorio - Controlli difensivi

 

Svolgimento del processo

 

La Corte di appello di Venezia accoglieva parzialmente il reclamo proposto dalla società F. spa avverso la sentenza del Tribunale di Padova del 12.12.2014 che aveva accolto l'opposizione di M. diretta alla dichiarazione di illegittimità del licenziamento intimato al lavoratore per giusta causa per insussistenza dei fatti ed ordinata la reintegrazione nel posto di lavoro delle retribuzioni non percepite; la Corte disponeva la detrazione dal risarcimento dell'aliunde perceptum. Si addebitava al lavoratore di avere registrato nel rapporto di giro alcune ispezioni che in realtà non erano state effettuate perché il veicolo risultava altrove nell'orario indicato come rilevato dal sistema satellitare gps installato nella vettura; in altri casi era stato punzonata una sola posizione mentre i punti da controllare erano più di uno.

La Corte territoriale osservava che non sussisteva la nullità della domanda in ordine alla reintegrazione perché tale domanda era stata formulata nelle conclusioni del ricorso e pertanto la tutela più ampia era stata richiesta. La Corte osservava ancora che per la prova della mancata esecuzione della prestazioni sarebbe stato necessario esaminare le risultanze del sistema gps; entrambi i sistemi gps e patrol manager, che tra loro collegati ed il cui funzionamento veniva ricostruito in sentenza, costituivano il controllo a distanza dei lavoratori e rientravano nell'ambito di applicabilità dell'art. 4 L. n. 300/70. Gli accordi sindacali del 2009 prevedevano espressamente la non utilizzabilità di tali sistemi per il controllo a distanza dei lavoratori. Neppure si poteva ritenere che i controlli potessero essere considerati legittimi come "difensivi" in quanto la ditta "R.C.", tra i clienti della F., non aveva mai segnalato comportamenti illegittimi del lavoratore tali da giustificare un controllo così pervasivo e sistematico; comunque per tale cliente le omissioni erano state pochissime.

Alla luce della giurisprudenza di legittimità non potevano comunque essere considerati controlli difensivi in quanto finalizzati ad accertare l'inadempimento delle ordinarie obbligazioni contrattuali. L'uso di tali strumenti li rendeva inutilizzabili come fonti di prova, salvo forse proprio la ricordata situazione relativa al cliente "R.C." ma le infrazioni connesse a tale riguardo non comportavano il licenziamento ma ai sensi del CCNL solo la sospensione. Non erano emersi fatti tali da legittimare il recesso una volta escluse le fonti di prova raggiunte con l'utilizzazione di mezzi di controllo a distanza: i testi avevano solo confermato quanto emergeva per aver visionato i dati del sistema GPS e patrol manager.

Per la cassazione di tale decisione propone ricorso la F. con cinque motivi; resiste controparte con ricorso che ha proposto ricorso incidentale condizionato affidato ad un motivo cui resiste con controricorso la società. Entrambe le parti hanno depositato memoria difensiva.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo si allega la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 414 n. 1 c.p.c.: non vi era stata alcuna corrispondenza tra chiesto e pronunciato ossia tra petitum (reintegrazione e risarcimento pari alle mensilità corrisposte) e causa petendi (tardività, violazione dell'art. 4 L. n. 300/70 e sproporzione della sanzione; la novella di cui alle legge n. 92/2012 prevede vari tipi di licenziamento e per ognuno di questi una specifica sanzione.

Con il secondo motivo si allega la nullità della sentenza per violazione degli artt. 99 (principio della domanda) e art. 112 c.p.c. (principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato. Il ricorrente non aveva chiesto l'applicazione dell'art. 18 comma quarto e dell'art. 4 L. n. 300/70.

I due motivi vanno esaminati congiuntamente ed appaiono infondati. La Corte di appello ha già osservato che nel ricorso originarlo ed in quello di opposizione era stata dedotta l'illegittimità del licenziamento per violazione dell'art. 4 L. n. 300/1970 e comunque in quanto sproporzionato con richiesta di dichiarazione di illegittimità dello stesso. La Corte ha anche osservato che con la richiesta di applicazione dell'art. 18 e di condanna alla reintegrazione ed al pagamento delle retribuzioni dal recesso alla reintegrazione in effetti il lavoratore non avesse limitato la domanda alle ipotesi di cui al primo e secondo comma del novellato art. 18 ma avesse chiesto solo la tutela più forte ed incisiva: ben poteva il Giudice valutare esattamente quale delle ipotesi previste dall'art. 18 L. n. 300/70 dovesse applicarsi posto che non vi sarebbe stata alcuna alterazione degli elementi di identificazione del petitum e della causa petendi chiaramente indicati. Ritiene questo Collegio che vada condivisa in tototale motivazione in quanto emerge dalla sentenza impugnata (mentre i motivi sul punto sono carenti in quanto non riportano e nemmeno ricostruiscono gli atti di controparte indicati) che i fatti e le richieste sono stati specificati dal ricorrente e che quindi ben poteva la domanda essere interpretata e qualificata dal Giudice rapportandola ad una delle ipotesi previste all'art. 18, come novellato nel 2012.

Con il terzo motivo si allega la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 4 L. n. 300/1970. Si trattava di un controllo difensivo diretto ad accertare comportamenti illeciti dei lavoratori o lesivi del patrimonio e dell'immagine aziendale. Sussistevano tutti gli elementi controllo attraverso il sistema satellitare GPS un controllo difensivo e cioè rivolto ad accertare l'illiceità della condotta del lavoratore, la verifica del comportamento ex post, a seguito cioè di fondati sospetti di una condotta compiuta/e la funzionalizzazione del controllo alla tutela di beni estranei al rapporto di lavoro come il patrimonio e l'immagine dell'azienda, ciò valeva anche per il sistema patrol manager che sostituiva il tradizionale bigliettino e serviva a verificare il corretto adempimento delle obbligazioni assunte dalla F. nei confronti dei clienti. La cliente "R.C." aveva verificato l'inadempimento del lavoratore e l'omissione di alcune visite: attraverso l'incrocio con i dati del GPS era risultato che la vettura in uso al lavoratore era altrove. L'azione illecita del lavoratore aveva esposto la società alle richieste di risarcimento danni dei clienti coinvolti.

Il motivo non appare fondato per tre, concomitanti, ragioni che escludono che si possa ritenere legittimo i controlli effettuati in quanto "a carattere difensivo". In primo luogo perché il sistema di controllo attraverso gps istallato sulle vetture in uso ai dipendenti della F. è stato predisposto ex ante ed in via generale ben prima che si potessero avere sospetti su una eventuale violazione da parte del lavoratore M.; sì tratta invece di un meccanismo generalizzato di controllo, come emerge anche dal ricorso, che unitamente al sistema patrol manager che era in uso nell'azienda indipendentemente da sospetti o reclami di clienti; i sindacati avevano autorizzato tale sistema per ragioni di sicurezza in quanto richiesto dalla Questura di Rovigo presumibilmente anche nell'Interesse dell'incolumità dei lavoratori, ma si era escluso che lo stesso potesse essere utilizzato per controllare la loro attività lavorativa. In secondo luogo questa Corte ha già affermato il principio che si condivide e cui si intende dare continuità secondo il quale "l'effettività del divieto di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori richiede che anche per in cosiddetti controlli difensivi trovino applicazione le garanzie dell'art. 4 secondo comma legge n. 300/70; ne consegue che, se per l'esigenza di evitare attività illecite o per motivi organizzativi o produttivi, il datore di lavoro può installare impianti o apparecchi di controllo che rilevino anche dati relativi alla attività lavorativa dei dipendenti, tali dati non possono essere utilizzati per provare l'inadempimento contrattuale dei lavoratori medesimi" (Cass. n. 16622/2012; cfr. nonché in senso conforme Cass. n. 4375/2010). In terzo luogo appare evidente che il controllo permesso dal sistema gps sulle autovetture della società permetteva un controllo a distanza dell’ordinaria prestazione lavorativa, non la tutela di beni estranei al rapporto di lavoro; non si può, infatti accedere, alla tesi per cui fossero in gioco il patrimonio e l'immagine dell'azienda posto che eventuali pregiudizi agli stessi sarebbero in realtà derivati solo dalla non corretta esecuzione degli obblighi contrattuali e non già da una condotta specifica quale appropriazioni indebite del patrimonio aziendale , furti lesione della riservatezza di dati societari etc.

Diversamente opinando si finirebbe per estendere senza ogni ragionevole limite il concetto di controlli " difensivi" perché quasi sempre la violazione degli obblighi contrattuali dei dipendenti può generare danni alla società (ed alla sua reputazione) che però costituiscono il " rischio naturale " correlato all'attività imprenditoriale che la legge non consente di limitare attraverso sistemi invasivi della dignità dei lavoratori e comunque senza autorizzazione sindacale.

Con il quarto motivo si allega l'omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio e cioè l'avvenuta segnalazione di una condotta illecita del cliente "R.C." e l'omessa valutazione della testimonianza del teste R.A..

Il motivo appare infondato per quanto sopra indicato in relazione al terzo motivo: non possono considerarsi "difensivi" meccanismi di controllo generalizzati e controlli che sono stati predisposti prima ancora dell'emergere di qualsiasi sospetto; inoltre i controlli sono stati effettuati sulla prestazione lavorativa in sé. Il motivo peraltro non è coerente con la nuova formulazione dell'art. 360 n. 5 c.p.c. che autorizza a denunciare un vizio di motivazione solo allorché un "fatto" decisivo per decidere la controversia nella sua globalità non sia stato esaminato, mentre le ragioni del controllo operato su la prestazione lavorativa della parte intimata sono già state compiutamente esaminate nella sentenza impugnata (cfr. Cass. SSUU n. 8053/2014).

Con l'ultimo motivo si allega la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2119 c.c. nonché dell'art. 3 L. n. 604/66: i fatti contestati, anche solo quelli relativi ai cliente "R.C." era molto grave e tale da determinare la rottura del vincolo fiduciario tra le parti.

Il motivo appare infondato in quanto la Corte di appello ha escluso che sussistesse la prova dei fatti contestati al dipendente posto che tale prova era stata raggiunta attraverso meccanismi illeciti di controllo a distanza sull'attività lavorativa e quindi in violazione dell'art. 4 L. n. 300; solo nel caso del cliente "R.C.", ipotizzando un controllo difensivo, si poteva dirsi raggiunta la prova delle infrazioni relative a tate specifica situazione che però apparivano non particolarmente gravi e tali da poter essere sanzionate con l'applicazione dell'art. 101 CCNL (omissione parziale della prestazione richiesta) che non prevede una sanzione espulsiva. Pertanto la gravità del comportamento così come provato è stata valutata dalla Corte di appello con motivazione congrua, logicamente coerente ed ancorata agli elementi processuali emersi; mentre le censure appaiono di merito e dirette ad una "rivalutazione del fatto" (mirate cioè a sostituire la valutazione di parte ricorrente a quelle dei Giudici di appello), non coerenti con la nuova formulazione dell'art. 360 n. 5 c.p.c. ed anche finalizzate a rimettere in gioco considerazioni sulla liceità dei controlli effettuato che deve escludersi per quanto prima esposto.

Il motivo proposto con ricorso incidentale espressamente definito "condizionato" all'accoglimento del ricorso principale deve intendersi assorbito.

Si deve quindi rigettare il proposto ricorso e dichiarare assorbito quello incidentate. Le spese di lite - liquidate come al dispositivo - seguono la soccombenza.

La Corte ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente in via principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale e condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in euro 5.100,00 di cui euro 100,00 per esborsi nonché spese generali al 15% ed accessori come per legge.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente in via principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.