Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 21 giugno 2018, n. 16473

Tributi - Accertamento - Redditi di partecipazione - Operazioni inesistenti - Onere della prova del contribuente

 

Rilevato che

 

1. In controversia relativa ad impugnazione di avvisi di accertamento ai fini IVA ed IRAP a carico della società ed ai fini IRPEF a carico dei soci per ì redditi di partecipazione ex art. 5 d.P.R. n. 917 del 1986, con o riferimento all’anno di imposta 2009, che l’Agenzia delle entrate aveva emesso sulla scorta delle risultanze di un p.v.c. della G.d.F. da cui emergeva l’indebita deduzione di costi riferiti ad operazioni ritenute oggettivamente inesistenti, la predetta società ed i soci ricorrono per cassazione, sulla base di due motivi, cui non replica l’intimata con atto scritto, avverso la sentenza in epigrafe indicata con la quale la CTR, accoglieva l’appello proposto dell’amministrazione finanziaria avverso la sfavorevole sentenza di primo grado, ritenendo che l’Agenzia delle entrate aveva fornito validi elementi presuntivi di inesistenza delle operazioni, non superati dalla prova, fornita dai contribuenti, della regolarità contabile di quelle operazioni e «dalla semplice dichiarazione di ricezione pagamento sottoscritta dal legale rappresentante della società emittente».

2. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis cod. proc. civ., risulta regolarmente costituito il contraddittorio, all’esito del quale i ricorrenti hanno depositato memoria.

3. Il Collegio ha disposto la redazione dell’ordinanza con motivazione semplificata.

 

Considerato che

 

1. Con il primo plurimo motivo di ricorso, i ricorrenti, deducendo che la CTR era incorsa nella violazione e falsa applicazione degli artt. 109 TUIR (d.P.R. n. 917 del 1986) e 2697 cod. civ., sostengono, per un verso, che è onere dell’amministrazione finanziaria dimostrare i fatti costitutivi della pretesa fiscale, e quindi l’inesistenza oggettiva delle operazioni contestate e «la consapevole volontà degli odierni ricorrenti di inserirsi in un ampio progetto di evasione», e per altro verso che gli elementi indiziari posti a base dell’accertamento e valorizzati dai giudici di appello, non sono né gravi, né precisi, né concordanti.

2. La censura prospettata con riferimento alla violazione dell’art. 2697 cod. civ. è palesemente infondata atteso che nelle ipotesi, come quella di specie, di operazioni oggettivamente inesistenti, «ove la fattura costituisce in tutto o in parte mera espressione cartolare di operazioni commerciali mai poste in essere da alcuno, l'amministrazione ha l'onere di fornire elementi probatori, anche in forma indiziaria e presuntiva (Cass. nn. 21953/07, 9784/10, 9108/12, 15741/12, 23560/12; 27718/13, 20059/2014, 26486/14, 9363/15; nello stesso senso C. Giust. 6 luglio 2006, C-439/04; 21 febbraio 2006, C-255/02; 21 giugno 2012, C-80/11; 6 dicembre 2012, C-285/11; 31 novembre 2013, C-642/11), del fatto che l'operazione fatturata non è stata effettuata, dopo di che spetta al contribuente l'onere di dimostrare l'effettiva esistenza delle operazioni contestate; tale prova, tuttavia, non può consistere nella esibizione della fattura o nella dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento, poiché questi sono facilmente falsificabili e vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un'operazione fittizia (Cass. nn. 5406/16, 28683/15, 428/15, 12802/11, 15228/01); e comunque, una volta accertata l'assenza dell'operazione, è escluso che possa configurarsi la buona fede del cessionario o committente [rilevante invece nella diversa ipotesi di operazioni soggettivamente inesistenti], il quale ovviamente sa bene se ed in quale misura ha effettivamente ricevuto il bene o la prestazione per la quale ha versato il prezzo o corrispettivo» (Cass. n. 18118 del 2016, in motivazione).

3. Il motivo in esame, là dove censura la statuizione impugnata per avere erroneamente ritenuto gravi, precise e concordanti, gli elementi presuntivi addotti dall’amministrazione finanziaria a fondamento della ritenuta inesistenza oggettiva delle operazioni commerciali, che invece tali requisiti non possedevano, è invece inammissibile prima ancora che infondato, per difetto di autosufficienza del ricorso.

3.1. Al riguardo occorre premettere che l’erronea sussunzione, sotto i tre caratteri individuatori della presunzione (gravità, precisione e concordanza), di fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei requisiti, che si assume essere stato commesso dal giudice di merito, sia censurabile in base all'art. 360, n. 3, c.p.c. (Cass. n. 175315 del 2008 e n. 19485 del 2017); si è quindi affermato (Cass. n. 10973 del 2017) che «se è sicuramente devoluto al monopolio del giudice di merito la valutazione della ricorrenza dei requisiti enucleabili dagli artt. 2727 e 2729 cod. civ. per valorizzare clementi di fatto come fonti di presunzione, tale giudizio, tuttavia, non può sottrarsi al controllo in sede di legittimità, ai sensi dell'invocato art. 360 n. 3 cod. proc. civ., se, violando i succitati criteri giuridici in tema di formazione della prova critica, il giudice si sia limitato a negare valore indiziarlo a singoli elementi acquisiti in giudizio, senza accertarne la capacità di assumere rilievo in tal senso, ove valutati nella loro sintesi (Cass. 9760/2015 e 19894/2005)» (così Sez. 5, sentenza n. 17183 del 2015)» oppure ne abbia attribuito ad elementi presuntivi che quei requisiti non possedevano.

4. Nella specie la Commissione tributaria regionale ha fatto corretta applicazione dell’indicata disposizione civilistica, risultando, da un lato, corretta l’attribuzione agli elementi presuntivi utilizzati ai fini della decisione, dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, in una valutazione peraltro compiuta nel rispetto dei noti criteri enucleati da questa Corte (cfr. Cass. n. 5374 del 2017), là dove le censure sollevate dai ricorrenti con riferimento a ciascuno di quegli elementi, di natura documentale, per un verso (quanto al contenuto descrittivo delle operazioni riportato nelle fatture contestate e ai documenti prodotti in sede di verifica fiscale, «attestanti l’effettiva esecuzione da parte delle ditte fornitrici delle prestazioni» contestate - v. pag. 13 del ricorso - e la «struttura attrezzate» delle stesse - v. pag. 14 del ricorso) sono prive di autosufficienza, non essendo stato riprodotto il loro contenuto essenziale e, peraltro, neppure specificata la natura dei documenti da ultimo indicati, così impedendo a questa Corte di effettuare il necessario vaglio di fondatezza della censura. Per altro verso le censure sono infondate, non potendosi disconoscere natura qualificata alle presunzioni utilizzate dalla CTR, quali, nella specie: a) la genericità delle prestazioni descritte nelle fatture contestate e la loro «non chiara tipologia»; b) le quietanze di pagamento costituite da dichiarazioni dei rappresentanti legali delle società emittenti le fatture, prive di data certa ed in alcuni casi apposta da A.S., fratello del ricorrente F.S., peraltro entrambi soci di una delle società fornitrici; c) la dichiarazione di tale V.J.S., legale rappresentante di altra ditta emittente le fatture (V.S. s.a.s.), che ha dichiarato di aver mantenuto l’Ufficio aperto solo pochi mesi e di non essere mai riuscita a svolgere l’attività principale della società (disbrigo pratiche auto) e di non aver mai sottoscritto contratti o avuto rapporti commerciali con la ditta ricorrente; d) l’assenza di sede e di dipendenti delle ditte fornitrici; e) l’irreperibilità del titolare di una delle ditte fornitrici, tale E.A., che neppure aveva sottoscritto il contratto stipulato con i ricorrenti.

5. Con il secondo motivo di ricorso i ricorrenti deducono l’omessa motivazione della sentenza impugnata sulla circostanza che il p.v.c. redatto dalla G.d.F. e posto a base degli avvisi di accertamento, era stato redatto a cinque anni di distanza dai fatti contestati e sulle dichiarazioni rese da A.S. alla G.d.F.

6. Il motivo è inammissibile. Con riferimento alla prima censura, richiamando quanto detto sopra, i ricorrenti omettono di riprodurre, ed addirittura anche di specificare, la natura dei documenti prodotti in sede di verifica fiscale dai quali si dovrebbe evincere che le società fornitrici all’epoca dei fatti - e non a quella di redazione del p.v.c. - avevano «una struttura attrezzata»; con riferimento, invece, alla seconda censura, il fatto che i ricorrenti indicano essere stato pretermesso dalla CTR è del tutto privo di decisività.

7. In estrema sintesi e sul rilievo che le argomentazioni svolte nella memoria non sono tali da consentire di pervenire a diversa soluzione, il ricorso va rigettato, nessun provvedimento dovendosi adottare sulle spese in mancanza di costituzione dell’intimata.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 - bis, dello stesso articolo 13.