Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 23 gennaio 2017, n. 3082

Reati - Amministratore di società - artt. 81 cpv. cod. pen.e 4 d.lgs. 10 marzo 2000 n. 74

 

Ritenuto in fatto

 

1. G. T. ricorre per cassazione impugnando la sentenza indicata in epigrafe con la quale la Corte di appello di Caltanissetta, in parziale riforma della pronuncia resa dal tribunale di Gela, ha confermato la condanna inflitta nei suoi confronti in ordine ai capi 1) e 2) dell'imputazione (esclusa, per il capo 1, la contestazione relativa alla dichiarazione dei redditi per l'anno 2006 concernente il periodo di imposta 2005 e, con riferimento a tale fatto, ha dichiarato il reato estinto per intervenuta prescrizione), riducendo la pena ad anni uno e mesi uno di reclusione per i residui reati di cui agli artt. 81 cpv. cod. pen.e 4 d.lgs. 10 marzo 2000 n. 74 poiché, ponendo in essere più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in qualità di amministratore prò tempore (dal 15/5/2003 al 14/4/2009) della società "A.GE.CO. s.r.l." - con sede in Gela, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, relativamente agli anni d’imposta 2005, 2006 e 2007, indicava elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo mediante indicazione di elementi passivi fittizi.

In particolare:

- nella dichiarazione Unico 2006 relativa al periodo d'imposta 2005, indicava costi indebitamente dedotti pari ad € 1.367.120,00 ed un'Iva indebitamente detratta pari ad € 173.674,00 superiore dunque alla soglia di tolleranza stabilita all'epoca del fatto dalla legge;

- nella dichiarazione Unico 2007 relativa al periodo d’imposta 2006, indicava costi indebitamente dedotti pari ad € 2.108.026,00 ed un'Iva indebitamente detratta pari ad € 246.831,00 superiore dunque alla soglia di tolleranza stabilita all'epoca del fatto dalla legge;

- nella dichiarazione Unico 2008 relativa al periodo d'imposta 2007, indicava costi indebitamente dedotti pari ad € 1.573.775,00 ed un'Iva indebitamente detratta pari ad € 126.154,00 superiore dunque alla soglia di tolleranza stabilita all'epoca del fatto dalla legg. In Gela, 11/10/2006 (data di presentazione del modello Unico 2006 - anno d’imposta 2005), in data 19/9/2007 (data di presentazione del modello Unico 2007 - anno d’imposta 2006), in data 17/9/2008 (data di presentazione del modello Unico 2008 - anno d’imposta 2007) nonché per il reato di cui agli artt. 110 cod. pen. e 5 d.lgs. 10 marzo 2000 n. 74 perché, agendo in concorso con A. D., il primo in qualità di amministratore prò tempore (dal 15/5/2003 al 14/4/2009) mentre il secondo (A. D.) quale amministratore unico (dal 15/4/2009) della società "A.Ge.Co." s.r.l. - con sede in Gela, omettevano di versare le prescritte dichiarazioni annuali ai fini delle imposte dirette e dell'I.V.A. per l'anno d'imposta 2008, in tal modo sottraendo alla tassazione elementi positivi di reddito pari ad un ammontare complessivo di € 629.064,03, con imposta sui redditi evasa (in aliquota del 27,5%) pari ad € 172.992,61 e superiore alla soglia di tolleranza stabilita dalla legge in € 77.468,53. In Gela, 30/9/2009.

2. Per l'annullamento dell'impugnata sentenza il ricorrente articola, tramite il difensore, i seguenti quattro motivi di gravame, qui enunciati ai sensi dell'articolo 173 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura penale nei limiti strettamente necessari per la motivazione.

2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione in ordine alla omessa valutazione della documentazione prodotta dalla difesa nel corso del giudizio di primo grado ed attestante la veridicità degli elementi passivi indicati in dichiarazione (art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.), sul rilievo che lacunosamente il primo giudice - nonostante avesse avuto a sua disposizione la documentazione dalla quale emergeva la regolarità della contabilità tenuta dalla società - non la aveva debitamente valutata al fine dell'accertamento della sussistenza del reato, lacuna non colmata dalla Corte di appello.

In particolare, il ricorrente sostiene di aver - nel corso del dibattimento - prodotto copia dei bilanci, delle fatture, dei libri paga e matricola dell'A.GE.CO, proprio in relazione agli anni 2005-2007; erano stati inoltre acquisiti anche i "mastrini di sottoconto" (schede contabili che riassumevano i dati del fornitore, la merce consegnata, il prezzo concordato, la data e le modalità dell'avvenuto pagamento).

La Corte di appello, al pari del tribunale, non avrebbe tenuto conto di ciò, incorrendo pertanto nel vizio di motivazione denunciato.

2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione in ordine alla mancata valutazione della documentazione acquisita, ai sensi dell'art. 603 cod. proc. pen., nella fase del giudizio di appello ed attestante la veridicità degli elementi passivi indicati in dichiarazione, nonché la effettività della cessione delle quote societarie trasmesse al nuovo acquirente (art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen.), sul rilievo che la Corte di appello, pur avendo accolto la richiesta della difesa ed ammesso i documenti allegati agli scritti difensivi, non avrebbe adeguatamente motivato sulla rilevanza degli stessi affermando apoditticamente che la documentazione acquisita non avesse alcuna influenza nel giudizio e neppure motivando sulle obiezioni formulate con i motivi aggiunti all'affermazione contenuta nella sentenza di primo grado circa la natura fittizia della cessione della società al D..

2.3. Con il terzo motivo, che investe esclusivamente il capo 1), il ricorrente deduce l'omessa motivazione in ordine alla mancata valutazione di un punto decisivo per il giudizio relativo all'esatta quantificazione della imposta evasa, nonché l'inosservanza e l'erronea applicazione del disposto dell'art. 4 del D.Lgs. n. 74/2000, in ordine alla soglia minima di punibilità (art. 606, comma 1, lettere b) ed e), cod. proc. pen.).

2.4. Con il quarto motivo il ricorrente segnala la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione in ordine alle ragioni addotte a sostegno del diniego delle circostanze attenuanti generiche di cui all'art. 62-bis cod. pen. (art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen.).

Assume il ricorrente di essersi doluto del fatto che il Tribunale aveva ritenuto di doverle negare - nonostante l'incensuratezza dell'imputato - alla luce della gravità della condotta, "deliberatamente e reiteratamente evasiva".

La Corte di appello non avrebbe tuttavia fornito alcuna risposta alla doglianza sollevata circa il fatto che non fosse stato dato alcun rilievo alla condotta processuale dell'imputato, il quale - sia nel corso delle indagini che in sede dibattimentale - si era mostrato collaborativo, producendo tutta la documentazione in suo possesso e sottoponendosi ad interrogatorio.

 

Considerato in diritto

 

1. Il ricorso è fondato per quanto di ragione, risultando inammissibile nel resto nei limiti e sulla base delle considerazioni che seguono.

2. Va ribadito, in premessa, il principio già affermato da questa Sezione secondo il quale, il reato di dichiarazione infedele, di cui all'art. 4 del D.Lgs. n. 74 del 2000, come delineato a seguito delle modifiche introdotte dall'art. 4, comma primo, lett. a), D.Lgs. n. 158 del 2015, si pone in continuità normativa con la fattispecie previgente ed è più favorevole all'imputato, avendo la nuova disciplina innalzato le soglie di punibilità (Sez. 3, n. 40317 del 26/04/2016, Merlo, Rv. 267789).

Infatti l'art. 4, d.lgs. n. 74 del 2000, richiede ai fini della punibilità del reato di dichiarazione infedele, il superamento della doppia soglia indicata dal comma primo, ossia richiede congiuntamente che: a) l'imposta evasa sia superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro centocinquantamila; e che, b) l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi inesistenti, sia superiore al dieci per cento dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, superiore a euro tre milioni, con la conseguenza che, da un lato, la soglia di punibilità correlata all'imposta evasa è stata portata da 50.000,00 a 150.000,00 euro e, dall'altro, la soglia del valore degli elementi attivi sottratti all'imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi inesistenti, è stata innalzata da due a tre milioni di euro.

Ne consegue che, ai fini dell'integrazione della fattispecie incriminatrice, la responsabilità penale può ritenersi accertata solo quando, in relazione ad ogni singola imposta evasa, siano superate entrambe le soglie di punibilità, previste congiuntamente come elemento costitutivo del reato, cosicché, nel caso di evasione di imposte diverse, il superamento, relativamente ad entrambe, della soglia quantitativa e della soglia percentuale (o di chiusura quando, limitatamente alla soglia percentuale, il valore degli elementi attivi sottratti all'imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi inesistenti, superi i tre milioni di euro) dà luogo ad un concorso di reati.

Nel caso di specie, con riferimento alla dichiarazione dei redditi per l'anno 2008, relativa al periodo di imposta 2007, non risulta integrata, a seguito dello ius superveniens, la soglia di punibilità quantitativa (posto che l'imposta evasa è pari ad 126.154,00 Euro e quindi inferiore a 150.000,00 Euro), con la conseguenza che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.

Non manifestamente infondato il terzo motivo riguardante il lamentato difetto di motivazione circa la determinazione dell'imposta evasa per il periodo relativo all'anno 2006 in relazione alla dichiarazione dei redditi per l'anno 2007, il reato, in mancanza di cause di proscioglimento nel merito di immediata evidenza, deve ritenersi estinto per intervenuta prescrizione, maturata dopo l'emanazione della sentenza di appello e peraltro anche eccepita in sede di discussione dal ricorrente.

Mette conto di rilevare che era stata già dichiarata dalla Corte di appello l'estinzione del reato per prescrizione anche con riferimento alla dichiarazione dei redditi del 2006, relativa al periodo di imposta 2005, cosicché alcuna conseguenza penale resta a carico del ricorrente con specifico riferimento al capo 1) dell'imputazione.

3. Residua pertanto la valutazione del capo 2) dell'imputazione, con riferimento al quale i primi due motivi di ricorso, laddove censurano la decisione impugnata in parte qua, possono essere congiuntamente esaminati, essendo tra loro strettamente collegati.

Essi sono manifestamente infondati, aspecifici e, in massima parte, non consentiti, laddove si attardano nello svolgimento di censure di merito, estranee al perimetro tracciato per il sindacato di legittimità.

Con adeguata motivazione, immune da vizi di manifesta illogicità, la Corte territoriale ha tenuto conto del fatto che, alla data della scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione annuale ai fini dell'IVA e delle imposte dirette, il ricorrente aveva cessato dalla carica di amministratore della società, carica assunta dal coimputato, D., ma ha chiarito come la responsabilità del ricorrente fosse attribuibile a titolo di concorso per la condotta di agevolazione realizzata, con ciò stesso logicamente depotenziando il contenuto della certificazione della Camera di commercio, a torto invocata dal ricorrente sul rilievo che il "bilancio abbreviato di esercizio ai 31-12-2008" era stato redatto dal ricorrente in data 25-03-2009, subito dopo l'avvenuta cessione delle quote al coimputato, ma prima della materiale consegna della documentazione al D..

La Corte di appello ha invece affermato, senza che sul punto il ricorrente abbia preso una specifica posizione, come l'atto di cessione del T. presentasse profili peculiari, in quanto veniva sostanzialmente venduta al D. una società che era una sorta di "scatola vuota", senza alcun attivo e, per di più, in presenza di un cospicuo debito (circa 200.000,00 Euro).

Infatti, in relazione a detta cessione e in concomitanza con la stipulazione dell'atto, risultavano versate, da parte del D., le somme di € 5.100,00 sul conto di G. T. ed € 4.900,00 sul conto di D. T., quale compenso per la cessione.

Da ciò i giudici del merito hanno tratto logico argomento per ritenere la natura fittizia della cessione, rilevando che, in relazione all'omessa dichiarazione, il reato, pur consumandosi nel 2009, riguardava i redditi del 2008, quando cioè il T. ricopriva pieno iure l'incarico di amministratore della società.

Dal testimoniale è inoltre risultato, come si desume dal testo della sentenza impugnata, che le quote sociali dei fratelli T. (G. e D.) erano state cedute al D. nei primi mesi del 2009; il passaggio di proprietà era palesemente fittizio, non essendo provata nemmeno la qualità di imprenditore del cessionario, che peraltro acquistava, in quel momento, una società senza alcun immobile e con un rilevante debito, oltre ad un contenzioso in atto relativo alla vendita di terreni.

Alla stregua di ciò, la documentazione postuma fornita dal ricorrente - a fronte di quella ufficiale non rinvenuta, che si sarebbe dovuta conservare e che, al momento della cessione della società, il cedente avrebbe dovuto trasmettere al cessionario - è stata logicamente ritenuta del tutto inattendibile, posto che lo stesso ricorrente ha allegato al ricorso il verbale delle operazioni compiute dal Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza nei confronti del dottor Ennio Di Pietro, depositario delle scritture contabili e che invece ha messo a disposizione degli inquirenti, anziché la contabilità ufficiale e i libri contabili previsti dalla legge, alcuni "file" contenente presunti bilanci dal 2007 al 2009 e mastrini del 2007 e del 2008, risultando perciò privo di consistenza anche il rilievo secondo il quale la Corte del merito avrebbe acquisito la documentazione prodotta dal ricorrente, ai sensi dell'art. 603 cod. proc. pen., senza tuttavia tenerne conto, laddove invece la produzione è stata motivatamente svalutata del suo contenuto, con l'ulteriore conseguenza che perciò è stato stimato del tutto corretto l'accertamento operato dalla Guardia di finanza, anche ai fini, per tale anno di imposta, dell'integrazione della soglia di punibilità.

Nel pervenire a tali conclusioni, la Corte distrettuale si è attenuta al principio di diritto secondo il quale il reato di omessa dichiarazione dei redditi o Iva, pur essendo un delitto omissivo proprio, che può essere commesso solo da chi, secondo la legislazione fiscale, è obbligato alla relativa presentazione, non si sottrae alle regole generali che disciplinano il concorso di persone nel reato, con la conseguenza che, quando colui che vi è obbligato abbia omesso di presentare la dichiarazione perché istigato o rafforzato nelle sue intenzioni o in attuazione di un accordo intercorso con il concorrente, anche quest'ultimo, benché privo della qualifica soggettiva richiesta per l'integrazione della fattispecie incriminatrice, risponde del medesimo reato (Sez. 3, n. 43809 del 24/10/2014, dep. 2015, Gabbana, Rv. 265121).

4. Anche il quarto motivo è inammissibile per manifesta infondatezza.

La Corte territoriale ha infatti negato la concessione delle attenuanti generiche escludendo proprio la linearità e la correttezza del comportamento processuale tenuto dall'imputato, sul rilievo che la documentazione prodotta è stata ritenuta, in massima parte e siccome sottratta all'ispezione, di dubbia provenienza in ordine all'effettività degli elementi passivi e dei costi dedotti, giungendo a tale convincimento attraverso un accertamento di fatto che, in quanto logicamente ed adeguatamente motivato, si sottrae al controllo di legittimità.

5. Va pertanto dichiarato inammissibile il ricorso con riferimento al reato di cui al capo 2) dell'imputazione, con la conseguenza che la sentenza impugnata va annullata con rinvio ad altra sezione della corte di appello di Caltanissetta per la rideterminazione della pena.

 

P.Q.M.

 

Annulla, senza rinvio, la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui all'articolo 4 d.Lvo 74/2000 (capo 1) perché il fatto non sussiste in relazione alla dichiarazione 2008 e perché il reato è estinto per prescrizione in ordine alla dichiarazione del 2007.

Dichiara inammissibile nel resto il ricorso e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Caltanissetta per la rideterminazione della pena in ordine al residuo reato di cui al capo 2).