Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 02 dicembre 2016, n. 24683

Demansionamento - Menomazione dell'immagine professionale - Reintegrazione nelle mansioni precedenti o equivalenti - Risarcimento

Fatto

 

Con sentenza 15 marzo 2010, la Corte d'appello di Roma rigettava le domande di R.D.A. di condanna del datore Fondo di Previdenza per i Dirigenti di Aziende Commerciali e di Spedizione e di Trasporto Mario Negri alla reintegrazione nelle mansioni precedenti o equivalenti e al risarcimento del danno da demansionamento e da menomazione dell'immagine professionale: così riformando la sentenza del primo giudice, che, dato atto della sua rinuncia alla domanda di reintegrazione nelle mansioni per pensionamento, aveva condannato il Fondo al pagamento, in favore del lavoratore, della somma di € 48.066,20 (anziché di quella maggiore di € 200.000,00 richiesta).

In esito a scrutinio delle risultanze istruttorie, la Corte territoriale escludeva il denunciato demansionamento, per il mantenimento al lavoratore delle mansioni di responsabile degli uffici di gestione e manutenzione del patrimonio immobiliare e della qualifica di quadro in qualità di assistente, con una contrazione tuttavia delle sue attività e conseguente riduzione del personale a lui sottoposto, a seguito di una documentata (né contestata) legittima riorganizzazione aziendale, comportante un accorpamento delle funzioni in tre macroaree, per effetto di una drastica dismissione del patrimonio immobiliare.

Essa riteneva pertanto una giustificata limitazione quantitativa, non anche qualitativa, delle mansioni del lavoratore, senza perdita di professionalità né di immagine, per il mantenimento del livello di quadro e del relativo trattamento retributivo nell'insindacabile mutato assetto organizzativo aziendale; pure negando, infine, che egli fosse rimasto sostanzialmente inoperoso.

Con atto notificato l'11 marzo 2011, R.D.A. ricorre per cassazione con tre motivi, cui resiste il Fondo di Previdenza Mario Negri con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

Il collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata.

Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 2103 c.c., ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per erronea configurabilità di una dequalificazione per "giustificato motivo oggettivo" connessa ad esigenze organizzative e produttive del Fondo di previdenza Mario Negri (in difetto di alcun collegamento a licenziamenti collettivi né individuali, tanto meno per giustificato motivo oggettivo) e insufficiente e incongrua motivazione, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., giustificante la sussistenza di un c.d. "patto di demansionamento".

Con il secondo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 2103 c.c., ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per erronea attribuzione al lavoratore dell'onere probatorio della dequalificazione professionale subita e omessa e carente motivazione, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., in ordine alle posizioni processuali delle parti e ai fatti dimostrati.

Con il terzo, il ricorrente deduce vizio di contraddittoria motivazione, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., nell'esclusa violazione datoriale dell'art. 2103 c.c., nonostante la ravvisata sussistenza di indici rivelatori della dequalificazione professionale del lavoratore.

I tre motivi illustrati, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono infondati.

Nella comune convergenza dei profili di denuncia nella doglianza di dequalificazione professionale del lavoratore, essi non colgono la reale portata decisoria della sentenza impugnata.

Ed infatti, premessa l'incontestata ricostruzione in fatto della vicenda (dall'ultimo capoverso di pg. 5 al quinto di pg. 6 della sentenza), la Corte territoriale ha chiaramente e nettamente escluso il demansionamento di R.D.A. per il suo mantenimento delle mansioni originarie, del livello di inquadramento e del trattamento retributivo (così al terzultimo capoverso di pg. 6, al penultimo di pg. 8 e ancora al penultimo di pg. 11 della sentenza).

In esito ad argomentato e critico esame delle risultanze istruttorie, esente da alcun vizio logico né giuridico (tanto meno di contraddittorietà), la Corte capitolina ha ritenuto una mera contrazione quantitativa (depotenziamento) e non qualitativa di mansioni, senza riflessi negativi sulla professionalità specifica del lavoratore (così in particolare al primo e secondo capoverso di pg. 8 e al terzultimo di pg. 9 della sentenza): in esatta applicazione dei principi regolanti il controllo giudiziale sul corretto esercizio dello ius variandi datoriale (per le ragioni esposte dall'ultimo capoverso di pg. 8 al primo di pg. 9 della sentenza). E ciò sulla base dell'accertato (e neppure contestato) processo di riorganizzazione aziendale (essenzialmente consistito nell'accorpamento dei vari settori in tre macro aree anche per effetto della drastica dismissione del patrimonio immobiliare del Fondo previdenziale, ridotto da 2.000 a 380 immobili e della parimenti significativa contrazione dei contratti di locazione da 1.500 a 300): insindacabile dal giudice sotto i profili della razionalità né dell'adeguatezza economica, non potendo il controllo giudiziale essere dilatato fino a comprendere il merito della scelta imprenditoriale (Cass. 18 aprile 2007, n. 9263; Cass. 28 aprile 2009, n. 9921; Cass. 2 marzo 2011, n. 5099; Cass. 30 maggio 2016, n. 11126)

Sicché, l'accertamento in fatto compiuto è insindacabile in sede di legittimità, per la devoluzione ivi del solo controllo, sotto i profili di correttezza giuridica e di coerenza logico-formale, delle argomentazioni del giudice di merito, non equivalendo il sindacato di logicità del giudizio di fatto a revisione del ragionamento decisorio (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694).

Dalle superiori discende allora coerente il rigetto del ricorso, con la regolazione delle spese secondo il regime di soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna R.D.A. alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 100,00 per esborsi e € 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge.