Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 15 gennaio 2019, n. 777

Imposte dirette - IRPEF - Accertamento - Reddito d’impresa - Dichiarazioni fiscali - Parametri

Rilevato che

1. l'Ufficio di Messina dell' Agenzia delle Entrate ha notificato a F.D.B., esercente l'attività di commercio al dettaglio di pasticceria e dolciumi, in avviso di accertamento - materia di Irpef, e correlate sanzioni, relativa all'anno d'imposta 1996 - con il quale ha rettificato, ai sensi degli artt. 39 e 41- bis d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, il reddito d'impresa dello stesso contribuente, a seguito del controllo della dichiarazione mod. 740/1997 presentata da quest'ultimo, il quale, nel corso del contraddittorio preventivo, non ha fornito, secondo l'Amministrazione, giustificazioni in ordine al riscontrato scostamento, per difetto, tra i ricavi dichiarati e quelli determinati applicando i parametri di cui all'art. 3, comma 181, I. 28 dicembre 1995, n. 549;

2. il contribuente ha impugnato il predetto avviso di accertamento, chiedendone l'annullamento, presso la CTP di Messina che, costituitasi l’Agenzia delle Entrate resistente, ha accolto il ricorso;

3. l'Agenzia delle Entrate ha quindi proposto appello, presso la CTR della Sicilia- Sezione staccata di Messina, avverso la decisione di primo grado, assumendo che il Giudice di prime cure aveva errato nella motivazione della decisione impugnata e nell'escludere la legittimità dell'accertamento, emesso invece a norma dell'art. 39, comma 1, d.P.R. n. 600/1973, ed in applicazione dei parametri di cui all'art. 3, comma 181, I. n. 549/1995;

4. costituitosi l'appellato, la CTR della Sicilia ha accolto l'appello, confermando l'accertamento de quo, con la decisione indicata in epigrafe avverso la quale il contribuente propone ricorso per la cassazione, formulando i seguenti motivi:

I. violazione e falsa applicazione dell'art. 3, commi 181 e 189, I. n. 549/1995 e dell'art. 39, comma 1, d.P.R. n. 600/1973, in relazione agli artt. 2727 e 2729 cod. civ.;

II. violazione e falsa applicazione dell'art. 53, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione agli artt. 112, 342 e 346 cod. proc. civ. ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia;

5. Il contribuente resiste con controricorso;

 

Considerato che

1. ragioni di ordine logico impongono di trattare preventivamente il secondo motivo, il quale , a prescindere dalla rubrica attribuitagli nel ricorso, si sostanzia esclusivamente nella denuncia di un asserito error in procedendo, che il Giudice a quo avrebbe commesso estendendo la riforma della decisione di primo grado anche alla parte nella quale quest'ultima (così come riportata nel ricorso qui sub iudice) aveva ritenuto che «il contribuente ha provato mediante la produzione di fatture e la correzione del codice di aver esercitato un'attività diversa da quella indicata, e pertanto il codice inerente le attività di commercio all'ingrosso di zucchero andava utilizzato per il calcolo dei parametri, e non quello di commercio al minuto di prodotti di pasticceria, che se pure erroneamente indicato dal contribuente, non è quello reale...», benché l'Ufficio appellante non avesse formulato alcun motivo specifico d'appello in ordine alla mancanza di prova dell'attività effettivamente svolta dal contribuente , diversa da quella corrispondente al codice indicato da quest'ultimo e considerata nell'accertamento;

2. il motivo è infondato, in quanto l'effetto devolutivo dell'appello entro i limiti dei motivi d'impugnazione preclude al giudice del gravame esclusivamente di estendere le sue statuizioni a punti che non siano compresi, neanche implicitamente, nel tema del dibattito esposto nei motivi d'impugnazione, mentre non viola il principio del "tantum devolutum quantum appellatum" il giudice di appello che fondi la decisione su ragioni che, pur non specificamente fatte valere dall'appellante, tuttavia appaiano, nell'ambito della censura proposta, in rapporto di diretta connessione con quelle espressamente dedotte nei motivi stessi, costituendone necessario antecedente logico e giuridico. Nel giudizio d'appello, infatti, il giudice può riesaminare l'intera vicenda nel complesso dei suoi aspetti, purchè tale indagine non travalichi i margini della richiesta, coinvolgendo punti decisivi della statuizione impugnata suscettibili di acquisire forza di giudicato interno in assenza di contestazione, e decidere, con pronunzia che ha natura ed effetto sostitutivo di quella gravata, anche sulla base di ragioni diverse da quelle svolte nei motivi d'impugnazione. (Cass., 13 aprile 2018, n. 9202: nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che aveva ritenuto non "espressamente censurato" dal motivo d'appello il profilo inerente la quantificazione dell'indennizzo dovuto per polizza vita, nonostante ia prospettata non debenza fosse argomentata non dall'insussistenza o dall'estinzione dell'obbligo contrattuale bensì da considerazioni legate proprio ai criteri di calcolo del dovuto).

Nel caso sub iudice l'appello dell'Ufficio (così come riprodotto in parte nel ricorso), censurando la motivazione della decisione di primo grado per il suo contrasto con le risultanze degli atti, e contestandola nella parte in cui essa aveva ritenuto che il contribuente avesse giustificato con valide argomentazioni lo scostamento del reddito dichiarato da quello determinato applicando il parametro di cui all'accertamento, necessariamente attingeva anche la questione, già controversa, dell'attività commerciale effettivamente esercitata dal contribuente, costituendo quest'ultima un necessario antecedente logico, giuridico e fattuale dell’individuazione del parametro concretamente applicabile al caso di specie e quindi ponendosi in rapporto di diretta connessione con le ragioni espressamente dedotte dall'appellante. Ovvero, in sintesi, la classificazione dell'attività esercitata costituiva il necessario presupposto dell'individuazione del parametro dei ricavi applicabile e della verifica dello scostamento da quest'ultimo della dichiarazione dal contribuente. Pertanto, esaminando la relativa questione, il Giudice a quo non ha violato i limiti dell'effetto devolutivo circoscritti dai motivi del gravame sul quale si è pronunciato;

3. anche il primo motivo con il quale il ricorrente assume la pretesa violazione e falsa applicazione dell'art. 3, commi 181 e 189, I. n. 549/1995 e dell'art. 39, comma 1, d.P.R. n. 600/1973, in relazione agli artt. 2727 e 2729 cod. civ., è infondato. Invero la censura in questione è duplice, contestando innanzitutto la decisione impugnata nella parte in cui ha ritenuto che il disallineamento, per difetto, dei ricavi dichiarati dal contribuente, in regime di contabilità semplificata, rispetto a quelli ricavabili dai parametri previsti dall'art. 3, commi 181 e 184, I. n. 549/1995 e dal d.P.C.m. 29 gennaio 1996, possa integrare - all'esito del contraddittorio preventivo airemissione dei conseguente accertamento, nel quale lo stesso contribuente non abbia provato la differente specifica realtà della sua attività economica nel periodo di tempo in esame - una presunzione grave, precisa e concordante, come richiesto dall'art. 2729 cod. civ. , in ordine all'esistenza di componenti attive del reddito non dichiarate;

4. la decisione della CTR risulta invero conforme all'orientamento di questa Corte, richiamato nello stesso ricorso, ed al quale si intende dare qui continuità, secondo cui la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l'applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è "ex lege" determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sé considerati meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività - ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell'accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest'ultimo ha l'onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l'esclusione dell'impresa dall'area dei soggetti cui possono essere applicati gli "standards" o la specifica realtà dell'attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell'atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell'applicabilità in concreto dello "standard" prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L'esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l'impugnabilità dell'accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l'applicabilità degli "standards" al caso concreto, da dimostrarsi dall'ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso ii ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all'invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte. In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento in quanto l'Ufficio può motivare l'accertamento sulla sola base dell'applicazione degli "standards", dando conto dell'impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all'invito (Cass., Sez. U., 18 dicembre 2009, n. 26635. Nello stesso senso, ex plurimis, Cass., 21 maggio 2010, n. 12558; Cass. 18.7.2012, n. 12428; Cass. 26 luglio 2013, n. 18177. Sul valore presuntivo dei parametri si veda altresì Cass., 26 aprile 2017, n. 10242, per la quale l'ufficio che procede ad accertamento dell’imposta sui redditi ai sensi dell’articolo 39, comma 1, lettera d), del d.P.R. n. 600 del 1973, avvalendosi, ai sensi dell'art. 3, comma 181, della I. n. 549 del 1995, dei parametri per la determinazione presuntiva dei ricavi, dei compensi e del volume d'affari previsti dal successivo comma 184, e poi specificati dal D.P.C.M. 29 gennaio 1996, non deve apportare alcun elemento atto a confortare il proprio diverso accertamento, perché quelli considerati nell'elaborazione dei parametri stessi e l'applicazione di questi ai dati esposti dal singolo contribuente hanno già i caratteri della presunzione legale, quali richiesti dal comma 1 dell'art. 2728 c.c., e sono, di per sé, idonei a fondare un corrispondente accertamento, restando comunque consentito al contribuente di provare, anche con presunzioni, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice, l'inapplicabilità dei parametri alla sua posizione reddituale);

5. è pertanto esente dal dedotto errore in diritto la decisione impugnata, che ha preso atto del discostamento dei ricavi dichiarati dal contribuente da quelli determinati dal parametro applicabile all'attività corrispondente al codice da quest'ultimo indicato e - dopo aver escluso che nel contraddittorio preventivo all'accertamento, e nei due gradi di giudizio di merito, l'appellante avesse fornito la prova di aver esercitato in fatto una diversa attività commerciale, o comunque altra prova che giustificasse i contestati scostamenti dal parametro applicatogli- ha ritenuto sussistenti i maggiori ricavi di cui all'accertamento;

6. il medesimo primo motivo censura contestualmente anche le affermazioni del Giudice a quo secondo le quali, a differenza di quanto ritenuto nella sentenza di primo grado, non risulta che il contribuente abbia prodotto, né nella fase endoprocedimentale, né nel corso dei due giudizi di merito, le fatture relative alla sua attività commerciale , al fine di concorrere a dimostrarne l'effettiva natura - di commercio all'ingrosso di zucchero, piuttosto che di commercio al minuto di prodotti di pasticceria, che il contribuente assume di aver solo erroneamente indicato- e ,quindi , al fine di invocare l'applicazione dei parametri ad essa pertinenti, in luogo di quelli considerati nell'accertamento;

7. al riguardo, occorre tuttavia considerare che , in tema di contenzioso tributario, il ricorrente, pur non essendo tenuto a produrre nuovamente i documenti, in ragione dell'indisponibilità del fascicolo di parte che resta acquisito, ai sensi dell'art. 25, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, al fascicolo d'ufficio del giudizio svoltosi dinanzi alla commissione tributaria, di cui è sufficiente la richiesta di trasmissione ex art. 369, comma 3, c.p.c., deve rispettare, a pena di inammissibilità del ricorso, il diverso onere di cui all'art. 366, n. 6, c.p.c., di specifica indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, nonché dei dati necessari all'individuazione della loro collocazione quanto al momento della produzione nei gradi dei giudizi di merito (Cass., 18 novembre 2015, n. 23575). Nel caso di specie, il ricorrente non solo non ha prodotto in questa sede, né inserito nel corpo del ricorso, le fatture e la documentazione comprovante l'avvenuta correzione del codice delle attività, solo genericamente richiamate nello stesso ricorso; ma neppure ha fornito alcun dato utiie ad individuare puntualmente il momento processuale della loro produzione nei gradi precedenti e la loro collocazione, così precludendo la verifica della loro pregressa acquisizione, negata dalla sentenza impugnata;

8. resta, infine, comunque escluso che in questa sede di legittimità il giudizio possa attingere il merito della valutazione della CTR in ordine all'assolvimento dell'onere probatorio gravante sulle parti,

una volta che, come già verificato nel caso di specie, il giudice a quo lo abbia distribuito tra queste in conformità alla normativa da applicarsi al caso concreto;

9. le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore dell'Agenzia delle entrate, delle spese di questo giudizio, che liquida in € 4.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed oltre alle spese prenotate a debito.