L'accertamento in sede giudiziaria della finalità ritorsiva del licenziamento

Il licenziamento per essere considerato ritorsivo deve costituire ingiusta e arbitraria reazione ad un comportamento legittimo del lavoratore, mentre quest’ultimo ha l'onere di indicare e provare i profili specifici da cui desumere l'intento ritorsivo quale motivo unico e determinante del recesso (Corte di Cassazione, ordinanza 17 gennaio 2019, n. 1195).

Una Corte di appello territoriale, confermando la sentenza del tribunale di prime cure, aveva ritenuto legittimo il licenziamento intimato ad un lavoratore; in particolare, la Corte territoriale, dopo aver esaminato l’articolata vicenda giudiziaria che aveva riguardato le parti, aveva ritenuto che alcuna finalità ritorsiva era presente nel recesso oggetto del giudizio, determinato dalla ingiustificata e prolungata assenza del lavoratore (dall'agosto 2013 al gennaio 2014), poiché il rifiuto dello stesso a prestare attività lavorativa nella sede assegnata a seguito del subentro nell'appalto a cui era preposto, non era giustificato. Dal canto suo, invece, il lavoratore aveva giustificato la circostanza del proprio rifiuto ad eseguire la propria prestazione quale legittima reazione all'inadempimento del datore di lavoro, concretizzatosi nella variazione di sede, a seguito dell’esecuzione di un provvedimento di reintegra in relazione a un altro giudizio che aveva riguardato un suo precedente licenziamento. Tuttavia, secondo le argomentazioni della Corte di merito, non era condivisibile la sua ricostruzione in quanto nelle more del primo giudizio si era determinata la cessazione dell'appalto cui era addetto il lavoratore e l’ordinanza di reintegrazione era stata notificata alla società in un momento in cui questa non poteva più disporre la collocazione del dipendente nel predetto cantiere.
Avverso detta decisione, il lavoratore propone ricorso in Cassazione lamentando che la sentenza impugnata avesse valutato solo la data di notifica della predetta sentenza contenente l'ordine di reintegrazione, al fine di individuare l'avvenuta conoscenza da parte della società.
Per la Suprema Corte il ricorso non è fondato. Secondo l’orientamento costante, infatti, il licenziamento per ritorsione, diretta o indiretta, assimilabile a quello discriminatorio vietato dagli artt. 4 della L. n. 604/1966, 15 della L. n. 300/1970 e 3 della L. n. 108/1990, costituisce l'ingiusta e arbitraria reazione ad un comportamento legittimo del lavoratore colpito o di altra persona ad esso legata e pertanto accomunata nella reazione, con conseguente nullità del licenziamento, quando il motivo ritorsivo sia stato l'unico determinante e sempre che il lavoratore ne abbia fornito prova, anche con presunzioni (Corte di Cassazione, sentenza n. 17087/2011). Al riguardo, il lavoratore deve indicare e provare i profili specifici da cui desumere l'intento ritorsivo quale motivo unico e determinante del recesso, atteso che in tal caso la doglianza ha per oggetto il fatto impeditivo del diritto del datore di lavoro di avvalersi di una giusta causa o di un giustificato motivo, pur formalmente apparenti (Corte di Cassazione, sentenza n. 20742/2018). Infine, ai fini della nullità del licenziamento, affinché resti escluso il carattere unico e determinante del motivo illecito, non basta che il datore di lavoro alleghi l'esistenza di un giustificato motivo oggettivo, ma è necessario che quest'ultimo risulti comprovato e che possa da solo sorreggere il licenziamento (Corte di Cassazione, sentenza n. 27325/2017).
Ciò premesso, riguardo al fatto concreto, pur superando il profilo inerente la natura di valutazione di merito svolta dal tribunale, non più ripetibile in sede di legittimità (che già farebbe propendere per la inammissibilità del motivo), la mancata prestazione lavorativa del lavoratore per circa sei mesi, in assenza di un provvedimento giurisdizionale di accoglimento della domanda volta proprio a far valere l'illegittimità del trasferimento, rende sostanziale ed effettiva la ragione del recesso datoriale (assenza ingiustificata) ed esclude comunque ogni rilievo di altri profili di ritorsività eventuale che non costituirebbero comunque "motivo unico e determinante del recesso".