Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 16 ottobre 2017, n. 24348

Agente di commercio - lncompleto pagamento delle provvigioni - Aliquota inferiore a quella dovuta

Svolgimento del processo

 

La Corte di Appello di Reggio Calabria, con sentenza depositata il 21 aprile 2011, accogliendo il gravame interposto da Salumificio F.S. S.p.A. avverso la pronunzia emessa dal Tribunale della stessa sede, nei confronti di F.R., in riforma della sentenza di prime cure, rigettava le originarie domande del F., condannando quest'ultimo alla restituzione delle somme erogategli dall'appellante in esecuzione della sentenza del primo giudice. Il F., in qualità di agente di commercio per conto della società, lamentava l'incompleto pagamento delle provvigioni, essendo stata, a suo parere, applicata a diversi affari, un'aliquota inferiore a quella dovuta. Aveva quindi chiesto la condanna della società al pagamento delle differenze provvigionali nonché dei maggiori importi sulle spettanze di fine rapporto conseguenti all'aumento del monte provvigioni..

Per la cassazione della sentenza ricorre il F. articolando tre motivi, cui resiste con controricorso la S.p.A. Salumificio F.S. che spiega, a sua volta, ricorso incidentale condizionato.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce che la motivazione risulta resa in violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dell'AEC di settore, poiché i giudici di merito avrebbero erroneamente valorizzato la mera condotta delle parti nell'esecuzione del contratto senza tenere in alcun conto la normativa di legge e di contrattazione collettiva, nonché le pattuizioni del contratto individuale disciplinanti la forma del contratto di agenzia e delle eventuali modifiche allo stesso.

1.1. Il motivo non è fondato.

Va innanzitutto premesso che il ricorrente non indica espressamente in quali errori logico-giuridici sarebbe incorsa la Corte di merito né quali siano state le pretese violazioni di legge o di A.E.C. invocate, essendosi lo stesso limitato a sostenere che l'esatta interpretazione delle clausole contrattuali sarebbe stata fornita dal giudice di prima istanza (favorevoli al F.) e che a quella interpretazione la Corte d'Appello avrebbe dovuto uniformarsi.

Orbene, in ordine all'interpretazione del contratto, basti ricordare i consolidati arresti giurisprudenziali di legittimità (per tutti: Cass. n. 25517/2010), alla stregua dei quali "l'interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata costituisce un'attività riservata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione, qualora la stessa risulti contraria a logica o incongrua, cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione. "Ai fini della violazione dei canoni ermeneutici non è peraltro sufficiente l'astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato. In particolare, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte che aveva proposto l'interpretazione disattesa dal giudice di dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un'altra". E. nel caso di specie, il ricorrente si è limitato a proporre considerazioni di merito, senza assolvere agli oneri che allo stesso incombevano, ben riassunti nella massima sopra riportata.

La Corte di merito, peraltro, ha pienamente rispettato, con argomentazioni logico-giuridiche del tutto ineccepibili, i canoni che presiedono all'interpretazione del contratto (si veda, in particolare, l'ultima parte della sentenza) ed ha altresì correttamente osservato che "l'art. 7 del contratto prevede espressamente che le provvigioni fossero calcolate nella misura minima per le vendite ai clienti con listino ingrosso. media per quelle ai clienti con listino supermercato e massima per quelle ai clienti con listino a dettaglio" e che "la lettera del contratto è dunque assolutamente chiara nell'operare il distinguo sulla base della natura non del cliente, ma del listino".

Pertanto, nessuna violazione o travisamento della norma contrattuale può ravvisarvi nella sussunzione operata dalla Corte distrettuale.

2. Con il secondo motivo il F. deduce che la motivazione della sentenza impugnata risulta omessa o, comunque insufficiente circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, poiché la Corte di merito non avrebbe motivato sulla tipologia di listino applicato dalla società mandante e consegnato al ricorrente per promuovere le vendite.

2.2. Il motivo è inammissibile, poiché attiene a valutazioni di fatto sulla esistenza o meno di listini differenziati, su cui, peraltro, i giudici di seconda istanza hanno compiutamente argomentato a pag. 4 della sentenza oggetto del presente giudizio.

Inoltre, tale motivo, che denuncia il vizio motivazionale, non indica con precisione il fatto storico (Cass. n. 10551 del 2016), con carattere di decisività, che sarebbe stato oggetto di discussione tra le parti e che la Corte di Appello avrebbe omesso di esaminare o rispetto al quale sussisterebbe insufficienza e contraddittorietà della motivazione, posto che l'art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.. nella formulazione che risulta dalle modifiche apportate dal d.l.gvo n. 40/2006, applicabile alla fattispecie ratione temporis, prevede "l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione" con riferimento ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio", laddove il testo previgente riferiva il medesimo vizio ad un "punto decisivo della controversia". Ed i "fatti" relativamente ai quali assume rilievo il vizio di motivazione sono "i fatti principali", ossia i fatti costitutivi, impeditivi, modificativi o estintivi del diritto controverso come individuati all'art. 2967 c.c., ovvero i fatti secondari" (Cass. n. 10551 del 2016, cit.); ma, in ogni caso, non può ritenersi che il "fatto" sia equivalente ad una questione o argomentazione, perché queste ultime non attengono ad un preciso accadimento o ad una circostanza precisa "da intendersi in senso storiconaturalistico" e, dunque, appaiono irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate al riguardo.

3. Con il terzo motivo si denuncia la violazione dell'art. 112 c.p.c., in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 4, per omessa motivazione sulla eccezione di mancata prova, da parte del mandante, sulla tipologia di listino applicato dalla stessa sulla scorta del quale l'agente promuoveva le vendite.

3.3. Il motivo è assorbito alla stregua di quanto innanzi argomentato.

Il ricorso principale deve, pertanto, essere respinto.

4. Con l'unico motivo articolato nel ricorso incidentale condizionato si lamenta la omessa e/o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., in ordine al mancato accoglimento dell'eccezione di improponibilità della domanda per intervenuta transazione e/o rinuncia o comunque acquiescenza, nonché, in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 1965, 1966, 1967, 1236, 2113 c.c.

4.4. Tale motivo risulta assorbito, essendo stato rigettato il ricorso principale.

Le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso principale; assorbito il ricorso incidentale; condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese del giudizio di legittimità. Liquidate in Euro 4.100.00, di cui Euro 100.00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.