Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 20 maggio 2019, n. 13530

Somme indebitamente erogate ai lavoratori dipendenti - Sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva, riformata in appello - Restituzione delle somme al lordo delle ritenute versate all’Erario in qualità di sostituto d’imposta - Non sussiste - Somme mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente - Legittimazione a richiedere all'Amministrazione finanziaria il rimborso da parte sia del "sostituto di imposta" che del percipiente

Rilevato che

 

1. con sentenza in data 10 dicembre 2012, la Corte di Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza resa in giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, ha condannato gli attuali intimati al pagamento, in favore dell'INPDAP (datore di lavoro), delle somme indebitamente erogate ai lavoratori dipendenti in forza di sentenza di condanna, riformata in appello e confermata in Cassazione (Cass, n. 7579 del 2006), al netto delle ritenute fiscali, previdenziali e assistenziali;

2. il giudice di primo grado aveva accolto l’opposizione, proposta dai dipendenti degli Istituti di previdenza presso il Ministero del tesoro, avverso il decreto ingiuntivo ottenuto dall'INPDAP (succeduto ex lege al datore di lavoro) e condannato gli attuali intimati alla restituzione della somma di euro 153.770,66 ed euro 171.523,73 (in favore rispettivamente di P. e S.), a titolo di retribuzioni al lordo di contributi previdenziali e ritenute fiscali dovute in restituzione per effetto della riforma della sentenza che aveva riconosciuto tali retribuzioni in favore dei dipendenti;

3. la Corte territoriale, ritenuta l'accessorietà dell'obbligazione per interessi, riteneva la contestazione sull'entità della somma capitale comprensiva anche degli accessori e infondata la pretesa dell'INPDAP di ottenere la restituzione delle somme versate all'Erario, quale sostituto d'imposta, incontestato in giudizio che il datore di lavoro avesse operato le prescritte trattenute fiscali sulle somme corrisposte in esecuzione della sentenza provvisoriamente esecutiva;

4. avverso tale sentenza l'INPS, successore ex lege dell'INPDAP, ha proposto ricorso, affidato a tre motivi, al quale hanno opposto difese P. L. e S. S., con controricorso;

 

Considerato che

 

5. deducendo, per tutti i motivi, violazione dell'art. 111, settimo comma, Cost e art. 6 CEDU e, in particolare, violazione degli artt. 820, 1224, 1282 cod.civ. e 99, 112, 434 cod.proc.civ., la parte ricorrente si duole che la Corte di merito, constatata la sussistenza di somme oggetto di ingiunzione a titolo di interessi avverso le quali non era stato formulato alcuno specifico motivo di opposizione, non ne abbia dichiarato l'autonomia rispetto all'obbligazione principale confermata dalla sentenza n. 7579 del 2006 della Corte di cassazione (primo motivo); deducendo violazione degli artt. 2033 cod.civ. e 38 d.P.R. n. 602 del 1973, ripropone il motivo di appello incidentale con il quale era stata dedotta l'erroneità della sentenza impugnata che aveva escluso, dall'obbligo di restituzione, gli importi versati all'erario dal datore di lavoro come sostituto d'imposta, e assume che la Corte di merito avrebbe dovuto ritenere i lavoratori sostituiti i soggetti legittimati a richiedere la restituzione, quindi gli attuali intimati che ben possono agire nei confronti dell'amministrazione finanziaria sulla base della decurtazione avvenuta in busta paga (secondo motivo); infine, omesso esame di un fatto decisivo, per avere la Corte di merito attribuito un significato fuori dal comune all'accertamento e alla valutazione della contestazione in ordine agli importi dovuti a titolo di interessi e alla facoltà datoriale di richiedere all'erario la restituzione delle somme dovute, dando in tal modo luogo ad un esame carente nella correttezza giuridica e nella coerenza logico formale (terzo motivo);

6. il ricorso è da rigettare;

7. occorre premettere, in ordine alle vicende processuali antecedenti e per fare chiarezza, che Cass., Sez.U., n. 7579 del 2006, ha rigettato il ricorso, per difetto di giurisdizione, avverso la declinatoria della giurisdizione pronunciata dalla sentenza n. 5115 del 2003 della Corte territoriale;

8. occorre ancora anteporre alla delibazione dei motivi che essi sono ammissibili atteso che la censura attinente alla mancanza del quesito di diritto non si conforma alla relativa abrogazione dal codice di rito, applicabile, al ricorso all'esame, ratione temporis;

9. tanto premesso il primo motivo è infondato;

10. per consolidata giurisprudenza, l’opposizione a decreto ingiuntivo instaura un ordinario giudizio di cognizione, nel quale il giudice non deve limitarsi ad esaminare se l’ingiunzione sia stata legittimamente emessa, ma deve procedere ad un'autonoma valutazione di tutti gli elementi offerti, sia dal creditore, per dimostrare la fondatezza della pretesa fatta valere con il ricorso, sia dall'opponente per contestarla e, a tal fine, non è necessario che la parte che chieda l'ingiunzione formuli una specifica ed espressa domanda per ottenere una pronuncia sul merito della propria pretesa creditoria, essendo, invece, sufficiente, che resista alla proposta opposizione e chieda la conferma del decreto opposto (cfr., fra le tante, Cass. 27 settembre 2013, n. 22281 ed i precedenti ivi richiamati);

11. una volta proposta, con il ricorso per decreto ingiuntivo, la domanda volta ad ottenere gli interessi sulla sorte capitale, la sentenza che revochi il decreto ingiuntivo, condannando l'opponente al pagamento di una somma minore di quella portata dal decreto ingiuntivo, deve pronunciare anche sulla domanda relativa agli interessi, con riferimento alla minor somma oggetto di condanna, pur in difetto di una specifica riproposizione della domanda stessa;

12. non coglie nel segno, pertanto, il motivo che ripropone la questione dell’accessorietà degli interessi rispetto all'obbligazione principale portata dal decreto ingiuntivo e non investita da specifica contestazione con i motivi di opposizione, atteso che la statuizione del primo giudice, confermata in sede di gravame, ha avuto per oggetto la somma come rideterminata in sede di cognizione dall'ausiliare officiato in giudizio;

13. anche il secondo motivo è infondato valendo, al riguardo, i consolidati e condivisi principi, validi in tema di lavoro privato e lavoro pubblico, affermati dalla Corte di Cassazione e dal Consiglio di Stato;

14. questa Corte (tra le più recenti v. Cass. 16 gennaio 2019, n. 990 ed i numerosi precedenti ivi richiamati) ha affermato che, in tema di rimborso delle imposte sui redditi, ai sensi del d.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, sono legittimati a richiedere all'Amministrazione finanziaria il rimborso delle somme non dovute, e ad impugnare l'eventuale rifiuto dinanzi al giudice tributario, sia il soggetto che ha effettuato il versamento (cd. "sostituto di imposta") sia il percipiente delle somme assoggettate a ritenuta (cd. "sostituito");

15. costituisce, del pari, incontrastato insegnamento che il datore di lavoro non possa pretendere di ripetere somme al lordo delle ritenute fiscali, allorché le stesse non siano mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente (cfr. Cass. 2 febbraio 2012, n. 1464, per il lavoro privato, e Consiglio di Stato, Sez. 6, 2 marzo 2009, n. 1164 per il rapporto di pubblico impiego);

16. nel caso in esame è pacifico che le ritenute fiscali, sulle quali invero si svolge l'illustrazione del mezzo d'impugnazione senza cenno alcuno ai contributi previdenziali ed assistenziali, non siano state versate direttamente ai lavoratori, per cui il datore di lavoro, a prescindere da ogni altra considerazione, non avrebbe potuto ripeterli nei confronti dei dipendenti perché appunto da questi non percepiti;

17. il d.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, nel testo modificato dal d.lgs. n. 143 del 2005, prevede che: «Il soggetto che ha effettuato il versamento diretto può presentare all'intendente di finanza nella cui circoscrizione ha sede il concessionario presso la quale è stato eseguito il versamento, istanza di rimborso, entro il termine di decadenza di quarantotto mesi dalla data del versamento stesso, nel caso di errore materiale, duplicazione ed inesistenza totale o parziale dell'obbligo di versamento». «L'istanza di cui al comma 1, può essere presentata anche dal percipiente delle somme assoggettate a ritenuta entro il termine di decadenza di quarantotto mesi dalla data in cui la ritenuta è stata operata»;

18. la richiamata disciplina prevede, in via principale, che sia il soggetto che ha effettuato il versamento a presentare istanza di rimborso e non solo in caso di errore materiale, ma anche di duplicazione od inesistenza totale o parziale dell'obbligo di versamento;

19. Cass. n. 21699 del 2011 ha ben evidenziato che l'azione di restituzione e riduzione in pristino, proposta a seguito della riforma o cassazione della sentenza contenente il titolo del pagamento, si collega ad un'esigenza di restaurazione della situazione patrimoniale anteriore a detta sentenza, con riferimento a prestazioni eseguite e ricevute nella comune consapevolezza della rescindibilità del titolo e della provvisorietà dei suoi effetti, e quindi giuridicamente di un pagamento non dovuto;

20. il principio affermato da Cass. n. 23886 del 2007 (secondo cui il debitore principale verso il fisco è il percettore del reddito imponibile e non il sostituto che esegua la ritenuta ed il successivo versamento, onde è al medesimo debitore principale che compete il diritto di ripetere quanto eventualmente pagato in eccesso) riguarda i rapporti tra sostituto d'imposta, sostituito e fisco (cfr., in tal senso, Cass. n. 239 del 2006), ma non afferma che al lavoratore sostituito possa essere richiesto quanto versato dal sostituto ad un terzo (l'amministrazione finanziaria);

21. il datore di lavoro, salvi i rapporti col fisco, può ripetere l'indebito nei confronti del lavoratore nei limiti di quanto effettivamente percepito da quest'ultimo, restando esclusa la possibilità di chiedere la restituzione di somme al lordo delle ritenute fiscali mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente;

22. quali che siano i rimedi esperibili dal lavoratore contribuente nei confronti dell'amministrazione finanziaria, è evidente che il solvens non può ripetere dal lavoratore accipiens più di quanto quest'ultimo abbia effettivamente percepito, e cioè quanto versato, sia pure in esecuzione di sentenza provvisoriamente esecutiva, suscettibile di riforma o cassazione nell'ambito degli ordinari mezzi di impugnazione previsti dall'ordinamento, ad un terzo (ente fiscale) (cfr. in tal senso Cons. Stato, sez. 3, n. 3984 del 2011; Consiglio di Stato, Sez. 6, 2 marzo 2009, n. 1164; Cons. di Stato, Sez. IV, 3 novembre 2015, n. 5010; Consiglio di Stato, Sez.2, parere su  ricorso straordinario, 5 aprile 2017, n. 991);

23. risulta infondato anche il terzo motivo con il quale la medesima questione della mancata contestazione e della soluzione giuridica all'indebito fiscale viene svolta secondo il paradigma dell'art. 360, n. 5 cod.proc.civ., risultando così erronea l'invocazione del principio di non contestazione, che in realtà concerne esclusivamente i fatti primari (ossia quelli costitutivi, impeditivi, modificativi od estintivi della pretesa azionata) o, al più anche quelli secondari (vale a dire i fatti dedotti in funzione probatoria da cui ricavare, in via inferenziale, l'esistenza di quelli primari), giammai il tema dell'obbligazione accessoria all'obbligazione principale che attiene, invece, alla corretta applicazione di regole giuridiche;

24. come alla corretta applicazione di regole giuridiche attiene la critica indirizzata alla soluzione giurisprudenziale in tema di indebito fiscale nei rapporti tra datore di lavoro ed erario;

25. conclusivamente, correttamente la sentenza impugnata si è conformata al principio per cui l'Amministrazione, nel procedere al recupero delle somme indebitamente erogate ai propri dipendenti, deve eseguire detto recupero al netto delle ritenute fiscali, previdenziali e assistenziali e non può invece pretendere di ripetere le somme al lordo delle ritenute fiscali (e previdenziali e assistenziali) allorché le stesse non siano mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente;

26. le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza con distrazione in favore dell'avvocato M. S., dichiaratosi antistatario;

27. ai sensi dell'art. 13,comma 1-quater, d.P.R.n. 115 del 2002, sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell'ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex art. 13, comma 1 -bis.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre quindici per cento spese generali e altri accessori di legge, da distrarsi in favore dell'avvocato M. S., dichiaratosi antistatario. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell'ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex art. 13,comma 1 -bis.