Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 20 aprile 2018, n. 9900

Badante e collaboratrice domestica - Prestazione resa in favore di un soggetto diverso dalla pretesa datrice di lavoro - Materiale probatorio

Fatti di causa

 

1.1. Con ricorso al Tribunale del lavoro di Catania, G.C. conveniva in giudizio E.C. e M.C. (rispettivamente in qualità di datrice di lavoro e beneficiaria della prestazione) per ottenere il pagamento di spettanze in relazione all'attività di badante e collaboratrice domestica svolta presso l'abitazione di M.C.. Il Tribunale rigettava il ricorso.

1.2. La Corte di appello di Catania respingeva l'impugnazione proposta dalla C.

Ad avviso della Corte territoriale andava confermata la pronuncia di rigetto nei confronti di M. C., avendo la stessa ricorrente manifestamente escluso la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato con tale convenuta, definita solo "beneficiaria della prestazione" ed essendo irrilevante la richiesta di condanna solidale avanzata dalla C.. Quanto alla posizione di E. C., condivideva il giudizio espresso dal Tribunale circa la mancanza di prova del preteso rapporto di lavoro alle dipendenze della stessa.

2. Per la Cassazione della sentenza ricorre G. C. con due motivi.

3. E. C. e M. C. sono rimaste intimate.

4. Non sono state depositate memorie.

 

Ragioni della decisione

 

1.1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione dell'art. 1411 cod. civ., ai sensi dell'art. 360, n. 3, cod. proc. civ..

Lamenta che la Corte territoriale, nel valutare la posizione di E. C., non abbia tenuto conto del fatto che la situazione fattuale desumibile dalla stessa prospettazione di cui al ricorso fosse quella del contratto a favore del terzo e che nello specifico sussistesse un interesse di E. C. alla stipula di un tale contratto atteso che la medesima era tutto il giorno impegnata per lavoro ed aveva necessità di qualcuno che potesse assistere personalmente la propria sorella disabile. Il giudizio di estraneità di E. C. al rapporto di lavoro sarebbe stato pertanto fuorviato dalla mancata applicazione (censurabile in virtù del principio iura novità curia) di tale disposizione.

1.2. Il motivo è irrilevante rispetto alle ragioni della decisione.

La Corte territoriale non ha ritenuto l'estraneità di E.C. relativamente ad un rapporto di lavoro intercorso con altro soggetto ma, dopo aver escluso la sussistenza di un rapporto di lavoro con M.C., in conformità con la stessa prospettazione di cui al ricorso, ha considerato non sufficienti le risultanze di causa a fornire la prova del preteso rapporto di lavoro subordinato con E.C.. Rispetto al complesso degli elementi istruttori raccolti, non univoci e basati su circostanze apprese de relato, alla mancanza di riscontri circa la soggezione della C. al potere gerarchico e disciplinare della predetta, lo svolgimento dell'attività presso il domicilio di M.C. (peraltro considerata dalla stessa Corte di appello, proprio con riguardo alla valutazione della domanda proposta nei confronti di tale convenuta, come mera beneficiaria della prestazione) non assurge ad elemento tale da consentire di pervenire ad una valutazione difforme, pur partendo da una impostazione giuridica nel senso auspicato dalla ricorrente.

In sostanza la Corte d'appello ha escluso la sussistenza della subordinazione prescindendo dalla circostanza che la prestazione fosse stata resa in favore di un soggetto estraneo all'accordo e diverso dalla pretesa datrice di lavoro (circostanza, questa, incidentalmente considerata al fine della valutazione di inattendibilità del teste P. G., il quale aveva riferito che presso il luogo di domicilio di M. C. abitasse anche E. C.) e solo valorizzando la mancata prova dei sopra indicati indici rivelatori del vincolo di soggezione personale della C. al potere organizzativo, direttivo e disciplinare da parte di E. C..

Tale mancata prova, anche muovendo da una premessa giuridica come quella prospettata nel motivo, resta risolutiva ed intangibile. La ricorrente, infatti, senza peraltro isolare ulteriore specifica censura, si limita a contestare il giudizio di inattendibilità formulato con riguardo al suddetto teste P. G. e l'operata svalutazione della relativa deposizione oltre che di quella della teste F. P. laddove, com'è noto, a norma dell'art. 116 cod. proc. civ., rientra nel potere discrezionale - insindacabile - del giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, apprezzare all'uopo le prove, controllarne l'attendibilità, l'affidabilità e la concludenza e scegliere, tra le varie risultanze istruttorie, quelle ritenute idonee e rilevanti, con l'unico limite di supportare con congrua e logica motivazione l'accertamento eseguito (v., ex aliis, Cass. 11 giugno 1998, n. 5802; Cass. 4 febbraio 2004, n. 2090; Cass. 25 gennaio 2006, n. 1380).

2.1. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell'art. 2094 cod. civ. (art. 360, n. 3, cod. proc. civ.).

Lamenta l'erroneità della decisione nella parte in cui ha escluso la sussistenza della subordinazione in contrasto non solo con le risultanze istruttorie ma anche con la posizione assunta dalla stessa M. C. che aveva ammesso l'esistenza di un rapporto intercorso con la ricorrente pur senza vincolo di orario e di subordinazione e con la corresponsione, per l'acquisto di generi alimentari e la preparazione di pasti, di somme di denaro.

2.2. Il motivo presenta innanzitutto profili di inammissibilità nella parte in cui la ricorrente si limita ad fare riferimento alle "risultanze probatorie acquisite" ed a trascrivere riassuntivamente il contenuto di atti processuali (ciò sia quanto alla memoria di costituzione di M. C. sia quanto agli stralci delle deposizioni testimoniali riportati nell'ambito del primo motivo di ricorso, ove in ipotesi implicitamente richiamati) senza depositarli in uno con il ricorso per cassazione e senza indicare con precisione la sede del giudizio di merito in cui tali atti (nei quali troverebbe rispondenza l'indiretta sommaria Sintesi contenuta in ricorso) ebbero a formarsi o erano stati prodotti.

Per il resto si osserva che la denunciata violazione di legge postula l'erronea sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta regolata dalla disposizione di legge, mediante specificazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l'interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina: così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla Corte regolatrice di adempiere al proprio compito istituzionale di verifica del fondamento della violazione denunziata (Cass. 26 giugno 2016, n. 16038; Cass. 28 febbraio 2012, n. 3010; Cass. 31 maggio 2006, n. 12984).

Ed allora il motivo che, come nella specie, pretenda di desumere tale violazione dall'erronea valutazione del materiale probatorio e delle altre emergenze di causa è già in contrasto con le suddette indicazioni.

Peraltro, la qualificazione giuridica del rapporto di lavoro è censurabile in sede di legittimità soltanto limitatamente alla scelta dei parametri normativi di individuazione della natura subordinata o autonoma del rapporto, mentre l'accertamento degli elementi, che rivelino l'effettiva presenza del parametro stesso nel caso concreto attraverso la valutazione delle risultanze processuali e che sono idonei a ricondurre le prestazioni ad uno dei modelli, costituisce apprezzamento di fatto che, se immune da vizi giuridici e adeguatamente motivato, resta insindacabile in Cassazione (v. Cass. 27 luglio 2007, n. 16681; Cass. 23 giugno 2014, n. 14160).

3. Conclusivamente il ricorso va rigettato.

4. La circostanza che la ricorrente risulti ammessa a beneficiare del gratuito patrocinio la esonera, allo stato, dal versamento dell'ulteriore somma dovuta ai sensi del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater a titolo di contributo unificato (cfr. Cass. 25 novembre 2014, n. 25005 e Cass. 2 settembre 2014, n. 18523).

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della non sussistenza, allo stato, dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.