Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 17 febbraio 2017, n. 4231

Accertamento - Tributi - Omessa tassazione di crediti

 

Svolgimento del processo

 

L'Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, sulla base di tredici motivi, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia che ne ha rigettato l'appello, accogliendo parzialmente il gravame incidentale della contribuente, nel giudizio introdotto dalla srl P.I. con l'impugnazione dell'avviso di accertamento, per il periodo aprile 2001 - marzo 2002, con il quale, ai fini dell'IRPEG e dell'IRAP, contestate una serie di irregolarità sostanziali nella contabilità, veniva rideterminato il reddito imponibile sulla base di dieci rilievi.

La società contribuente resiste con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

Il primo motivo, con il quale l'amministrazione denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 71 del tuir, si chiude con il seguente quesito di diritto: "se la sentenza della CTR che abbia annullato una ripresa fiscale fondata sull'omessa tassazione di crediti originariamente contabilizzati nel Fondo Svalutazione Crediti di cui all'art. 71 tuir e da esso rimossi, violi il medesimo art. 71, dovendosi al contrario ritenere che non sia legittima una siffatta variazione del Fondo Svalutazione Crediti, che non sia determinata da una perdita sui crediti stessi".

Il motivo è infondato, in quanto non risulta provata in punto di fatto, ovvero si presenta priva del requisito dell'autosufficienza, la censura, che poggia sulla tesi che la contribuente "dopo aver correttamente tassato l'eccedenza ha sottratto dal Fondo Fiscale altra materia imponibile, ma del medesimo importo numerico, senza sottoporla a tassazione".

Nella sentenza impugnata, infatti, "si ritiene di dover condividere integralmente la decisione che esclude la possibilità di una ripresa fiscale dell'importo di euro 469.228 quale utilizzo del fondo per finalità diverse da quelle normativamente previste (secondo l'assunto dell'A.F.), poiché quell'importo è stato già assoggettato a tassazione, come documentato ab initio dalla società ricorrente e non negato dall'ufficio anche nell'atto di appello".

Il secondo motivo, "relativo alla medesima statuizione", con il quale si denuncia "motivazione insufficiente ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c.", è inammissibile perché non conforme alla prescrizione dell'art. 366 bis cod. proc. civ., in quanto privo del momento di sintesi.

Il terzo motivo, con il quale l'amministrazione, con riguardo a due crediti, portati in perdita dalla contribuente, privi dei requisiti della certezza e della definitività, richiesti dagli artt. 71, comma 2, e 66, comma 3, tuir, denuncia la "violazione dell'art. 57 del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all'art. 360 n. 4, cod. proc. civ.", si chiude con il seguente quesito di diritto: "se costituisce eccezione nuova, e come tale inammissibile ai sensi dell'art. 57 d.lgs. n. 546 del 1992, la contestazione del contribuente che introduca, per la prima volta in sede di appello, un'eccezione di duplicazione del rilievo impositivo; dica pertanto la Corte se abbia errato la CTR a pronunciarsi sul merito di una siffatta eccezione nuova, non dichiarandola inammissibile".

Il motivo è infondato, in quanto è, per un verso, difettoso con riguardo al requisito dell'autosufficienza; per altro verso, in esso si riconosce che in primo grado la contribuente aveva comunque "eccepito l'esiguità degli importi, in virtù dei quali è ammessa la possibilità di prescindere da rigorose prove formali di inesigibilità del debitore, ritenendosi consentita la rinuncia agli stessi per ragioni di opportunità economica, come riconosciuto dalla stessa prassi amministrativa". Il giudice d'appello aveva in proposito accertato "la correttezza della contabilizzazione operata, per cui la società ha portato a perdita quei crediti, il cui modesto importo, unitamente alla produzione di documenti che attestano l'inizio di procedure per riscossione, rinunciate per evidenti ragioni di convenienza economica, rende ragione della valutazione di certezza e definitività...".

Il quarto motivo, concernente anch'esso la perdita dei crediti, con il quale si denuncia "motivazione insufficiente ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c.", è inanmissibile perché non conforme alla prescrizione dell'art. 366 bis cod. proc. civ., in quanto privo del momento di sintesi.

Il quinto motivo, concernente l'applicazione del fondo svalutazione crediti fiscali, con il quale si denuncia "motivazione insufficiente ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c.", è del pari inammissibile perché non conforme alla prescrizione dell'art. 366 bis cod. proc. civ., in quanto privo del momento di sintesi.

Il sesto motivo, con il quale si denuncia violazione dell'art. 71, comma 2, tuir, e dell'art. 2424 cod. civ., si chiude con il seguente quesito di diritto: "se un fondo denominato "svalutazione crediti in procedura" non annotato sotto la riga, non menzionato nella nota integrativa, e che incide sulla situazione patrimoniale della società contribuente, possa essere considerato un conto d'ordine, oppure se i crediti che lo compongono, debbano sommarsi a quelli contenuti negli altri conti relativi ai fondi di svalutazione dei crediti ai fini del computo del limite di cui all'art. 71 tuir applicabile pro tempore".

Il motivo è inammissibile, in quanto è, a ben vedere, diretto a contestare l'accertamento di fatto compiuto dal giudice di merito.

Questa Corte ha infatti chiarito come per "il ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all'esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l'aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l'una e l'altra ipotesi - violazione di legge in senso proprio a causa dell'erronea ricognizione dell'astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta - è segnato dal fatto che solo quest'ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa" (Cass., sezioni unite, 5 maggio 2006, n. 10313; Cass. n. 8315 del 2013).

La sentenza impugnata aveva in proposito rilevato corte "l'ufficio, anche nei motivi di appello si dilungava in formalistici appunti alla tenuta della contabilità aziendale ed alla tecnica di redazione del bilancio P. senza tuttavia fornire la prova essenziale della corrispondenza dell'importo a materia imponibile mediante una precisa disamina storica della formazione del Fondo Svalutazione Crediti in procedura che ne evidenzi la analogia funzionale (ergo, la natura meramente specificativa) rispetto al Conto Svalutazione Crediti ex art. 71, co. 1, tuir. In mancanza di chiari elementi indicativi dell'asserito (e fondante la ripresa fiscale) ruolo aggiuntivo del Fondo Svalutazione Crediti in Procedura a quello istituito ex art. 71, co. 1, tuir, la Commissione ritiene logica ed esauriente la diversa spiegazione della natura e funzione del Conto Svalutazione Crediti in procedura resa dalla ricorrente che si tratti cioè di crediti riguardanti clienti assoggettati a procedure concorsuali negli esercizi precedenti, già passati a perdita nei precedenti esercizi, e fiscalmente irrilevanti rispetto al calcolo del rapporto tra le deduzioni anticipate e l'ammontare dei crediti di cui all'art. 71 cit. nell'esercizio in corso, evidenziati solo per memoria in un sottoconto del conto clienti atto alla rappresentazione del valore di tutte le procedure concorsuali non ancora concluse, con contropartita nel Fondo di Svalutazione del passivo".

Con il settimo motivo, l'amministrazione, denunciando insufficiente motivazione, si duole che sia stata trascurata l'eccezione dell'ufficio in merito all'assenza di qualsiasi elemento probatorio diretto a dimostrare l'inerenza ex art. 75 del tuir delle spese per quattro abbonamenti alla stagione della Scala, che erano state dedotte dalla contribuente P. con le spese sostenute "a titolo di sponsorizzazione" del detto Teatro, inerenza che deve essere fondata su elementi concreti che consentano di determinare se, ed in che misura, sussista una effettiva correlazione tra il costo sostenuto ed il reddito dell'impresa stessa; e lamenta che la CRT abbia omesso ogni indicazione in merito agli elementi in virtù dei quali ha ritenuto che i servizi dedotti siano stati effettivamente utilizzati nell'ambito di finalità pubblicitarie della società stessa.

Il motivo è infondato, in quanto il giudice d'appello ha dato conto della reiezione del gravame dell'ufficio sul punto, rilevando che "l'acquisto dì quattro abbonamenti alla stagione lirica e di balletto della Scala appare fatto strumentale alla sponsorizzazione verso l'ente teatrale e connesso strettamente alla funzione di propaganda della stessa, considerata la specificità dei beni commercializzati dalla società (contribuente) e la occasione pubblicitaria dei prodotti offerta proprio dagli spettacoli musicali".

Con l'ottavo motivo censura la sentenza, sotto il profilo dell'insufficiente motivazione, in ordine alla ritenuta inerenza dei costi di revisione, senza constatare se la contribuente si fosse effettivamente avvalsa di quella prestazione richiesta esclusivamente dalla casa madre controllante straniera.

Il motivo è inammissibile perché corredato di un momento di sintesi inidoneo, alla stregua di quanto prescritto dell'art. 366 bis cod. proc. civ. (esso si esprime nei termini di sentenza "sfornita di sufficiente motivazione, per non aver verificato se la contribuente si fosse effettivamente avvalsa della prestazione in esame, richiesta esclusivamente dalla controllante").

Con il nono motivo l'Agenzia delle entrate denuncia l'insufficiente motivazione della sentenza in quanto "non esprime le ragioni per le quali le spese [per consulenza, test e modifiche alle procedure informatiche, e relative alla realizzazione di nuove releases implementate nel sistema Oracle potessero essere spesate interamente nell'esercizio perché] ritenute espressione di una necessità manutentiva-adattativa dei programmi software".

Il motivo, anche a voler trascurare i profili di inammissibilità conseguenti ad un'imperfetta formulazione del memento di sintesi - evidenziata con l'integrazione compiuta con le parti fra parentesi quadre - deve essere disattesa, avendo il giudice d'appello compiuto una valutazione di merito che non viene adeguatamente censurato. Ha infatti rilevato la CTR che il "comportamento del contribuente non possa essere censurato, poiché la descrizione riportata in atti dei servizi in questione:

- spese per consulenza, test e modifiche alle procedure informatiche e spese relative alla realizzazione di nuove releases implementate nel sistema Oracle, non consente di discernere la vocazione di interventi migliorativi-incrementativi del valore del sistema informatico - come affermato dall'ufficio - piuttosto che l'espressione di una necessità manutentiva- adattativa dei programmi software".

I motivi che seguono sono riferiti ai capi della sentenza che hanno accolto l'appello incidentale del contribuente.

Il decimo motivo, con il quale l'amministrazione denuncia "violazione dell'art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all'art. 360, n. 4, c.p.c.", è concluso dal seguente quesito di diritto: "se, ai sensi della disposizione in rubrica sia inammissibile l'appello incidentale che non contenga alcuna specifica censura nei confronti della sentenza impugnata e si limiti a riproporre, in modo pedissequo, le difese svolte in primo grado, dica pertanto la Corte se abbia errato la CTR, disattendendo l'eccezione dell'ufficio, a giudicare nel merito dei motivi di appello incidentale così proposti".

Il motivo è infondato, ove si consideri che questa Corte ha affermato che "nel processo tributario, la riproposizione in appello delle stesse argomentazioni poste a sostegno della domanda disattesa dal giudice di primo grado - in quanto ritenute giuste e idonee al conseguimento della pretesa fatta valere - assolve l'onere di specificità dei motivi di impugnazione imposto dall'art. 53 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ben potendo il dissenso della parte soccombente investire la decisione impugnata nella sua interezza" (Cass. n. 14908 del 2014, n. 16163 del 2016).

Nella specie, poi, il motivo di ricorso è formulato in termini generici.

Con l'undicesimo motivo censura la sentenza per l'omessa motivazione in ordine all'annullamento della ripresa fiscale di maggior reddito per spese - secondo l'ufficio - di rappresentanza indeducibili o da ammortizzare.

Il motivo è inammissibile perché corredato di un momento di sintesi incompleto, e perciò inidoneo, alla stregua di quanto prescritto dell'art. 366 bis cod. proc. civ.

Il dodicesimo motivo, con il quale è denunciata la violazione dell'art. 74, comma 2, del tuir, si conclude con il seguente quesito di diritto: "se, ai sensi dell'art. 74, comma 2, tuir le spese sostenute dall'azienda per riunioni di lavoro debbano qualificarsi come spese di rappresentanza, ravvisata la loro diretta rispondenza a doveri di ospitalità dell'azienda".

Il motivo è inammissibile per inidoneità del quesito di diritto, che si limita a porre una questione giuridica.

Questa Corte ha infatti chiarito che "ai sensi dell'art. 366 bis cod. proc. civ., il quesito inerente ad una censura in diritto - dovendo assolvere alla funzione di integrare il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale - non può essere meramente generico e teorico, ma deve essere calato nella fattispecie concreta, per mettere la Corte in grado di poter comprendere dalla sua sola lettura, l'errore asseritamene compiuto dal giudice di merito e la regola applicabile. Ne consegue che esso non può consistere in una semplice richiesta di accoglimento del motivo ovvero nel mero interpello della Corte in ordine alla fondatezza della propugnata petizione di principio o della censura così come illustrata nello svolgimento del motivo" (Cass. n. 3530 del 2012; Cass. sezioni unite, 23 settembre 2013, n. 21672).

L'ultimo motivo del ricorso, con il quale è denunciata la violazione dell'art. 75, comma 1, e dell'art. 56, comma 3, del tuir, si chiude con il seguente quesito di diritto: "se, ai sensi dell'art. 75, comma 1, e 56, comma 3, del tuir, gli interessi maturati sui crediti verso l'erario concorrono a formare il reddito nell'esercizio di competenza".

Il motivo è inammissibile per inidoneità del quesito di diritto, per le ragioni enunciate in relazione al motivo di ricorso appena esaminato.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in euro 6.500, oltre a spese generali liquidate forfetariamente nella misura del 15% e ad oneri accessori.