Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 16 febbraio 2017, n. 4112

Principio di specificità dei motivi di ricorso per Cassazione - Principio del tantum devolutum quantum appellatum

Svolgimento del processo

 

Con ricorso al Tribunale di Nicosia, la società A. s.n.c., agente generale della Unipol, chiedeva l'accertamento della responsabilità del sub agente M. Z. per aver comunicato in ritardo (ossia il 13.7.2004) l'incasso del premio relativo ad assicurazione obbligatoria per circolazione di veicoli, premio regolarmente riscosso dal subagente alla scadenza del contratto (ossia l'1.6.2004); chiedeva, pertanto, che il sub agente, in ragione dell'inadempimento dell'obbligo contrattualmente assunto, fosse condannato al pagamento delle somme corrisposte al terzo danneggiato a seguito del sinistro stradale verificatosi il 6.7.2004, oltre ai danni non patrimoniali per il discredito subito nei confronti della Unipol.

Il Tribunale respingeva il ricorso e respingeva altresì le domande riconvenzionali proposte dal sub agente Z.

La Corte di appello di Caltanissetta, con sentenza depositata il 17.2.2011, ha respinto l'appello principale della A. e l'appello incidentale della Z., confermando la sentenza del giudice di prime cure. Il giudice del gravame ha ritenuto che, trattandosi di ipotesi di ritardo nel versamento del premio incassato (e non di mancata copertura assicurativa del sinistro, non essendo in contestazione la tempestività del pagamento del premio da parte dell'assicurato), il comportamento omissivo del sub agente non aveva inciso sull'obbligo dell'assicuratore né aveva provocato alcun rischio di revoca del mandato affidato dalla Unipol all'agente generale. La Corte ha, inoltre, confermato il rigetto delle domande riconvenzionali proposte dal sub agente in ordine all'indennità di mancato preavviso, al risarcimento del danno e all'indennità di fine rapporto trascrivendo i capi della sentenza di primo grado che avevano respinto le domande e rilevando la carenza di censure alla decisione impugnata.

Avverso la sentenza, la società A. propone ricorso per Cassazione, affidato a due motivi. La Z. resiste con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale affidato a sei motivi, illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c., cui resiste l'A. con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo la società ricorrente denunzia violazione falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366 c.c. con riguardo agli artt. 3, 11 e 12 del contratto di sub agenzia e degli artt. 1218, 1223, 1710, 1746, 1747, 1901 c.c. nonché vizio di motivazione (in relazione all'art. 360, primo comma, nn. 3 e 5 c.p.c.) avendo, la Corte territoriale, contraddittoriamente, dichiarato l'inadempimento del sub agente agli obblighi di tempestiva comunicazione e registrazione degli incassi relativi alle polizze assicurative ma successivamente negato il risarcimento dei danni sofferti dalla società. La garanzia assicurativa doveva ritenersi sospesa in difetto di comunicazione dell'avvenuto incasso del premio da parte del sub agente all'agenzia generale e da quest'ultima alla compagnia Unipol.

2. Con il secondo motivo la società ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 416 c.p.c.nonché vizio di motivazione (in relazione all'art. 360, primo comma, nn. 3, 4 e 5 c.p.c.) avendo, la Corte territoriale, rilevato la mancata allegazione delle clausole del contratto di agenzia intercorrente tra A. e Unipol che ponevano espressamente a carico dell'agente il costo di un eventuale sinistro in caso di ritardata contabilizzazione del pagamento del premio nonostante tale deduzione fosse contenuta nel ricorso introduttivo del giudizio e non fosse stata contestata nella memoria di costituzione del sub agente.

3. Con il primo motivo di ricorso incidentale la Z. ha denunciato violazione dell'art. 132 c.p.c. (in relazione all'art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c.) per aver, la Corte territoriale, riportato acriticamente i capi della sentenza di primo grado di rigetto delle domande riconvenzionali.

4. Con gli ulteriori cinque motivi di ricorso incidentale la Z. ha denunciato: violazione dell'art. 414 c.p.c. dovendosi rinvenire la nullità del ricorso introduttivo del giudizio per indeterminatezza dei danni richiesti; violazione dell'art. 1751 c.c. per ingiustificata revoca del mandato di sub agenzia e, in ogni caso, mancata corresponsione dell'indennità di fine rapporto e dell'indennità di mancato preavviso (stante l'assenza di giusta causa); violazione dell'art. 96 c.p.c. per instaurazione di una lite temeraria nonché degli artt. 91 e ss c.p.c. per omessa condanna dell'A. alle spese di lite (tutti in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c.).

5. I motivi del ricorso principale, che per la loro stretta connessione sono esaminati congiuntamente, non sono fondati.

La Corte territoriale ha osservato che era pacifico che la copertura assicurativa era operativa in quanto l'assicurato, avendo versato il premio alla scadenza, era in possesso della quietanza di pagamento e del contrassegno assicurativo; che la polizza era stata emessa dal sub agente l'1.6.1990 e corrisposto il premio in data 1.6.2004, essendo scaduta il 31.5.2004, sebbene comunicata all'agente generale il 13.7.2004, a fronte dell'incidente stradale verificatosi il 2.7.2004; che - dovendosi distinguere i diversi rapporti negoziali (tra assicuratore e terzo danneggiato, tra assicurato ed assicuratore e tra agente e compagnia di assicurazione) - si era trattato di ipotesi assimilabile al ritardato versamento del premio (art. 1901, comma 2, c.c.) e la condotta omissiva del sub agente non aveva inciso sull'obbligo dell’assicuratore in considerazione del valido rilascio del contrassegno assicurativo; che, inoltre, il rifiuto di ritenere attiva la polizza assicurativa da parte della compagnia assicuratrice avrebbe integrato un comportamento contrario a buona fede, visto che il premio era stato tempestivamente pagato dall'assicurato; che la (mera) ritardata contabilizzazione non poteva impedire l'operatività della polizza; che non era stato dedotto che il contratto di agenzia stipulato tra A. e Unipol conteneva una clausola di rivalsa della compagnia nei confronti dell'agente in caso di ritardata contabilizzazione del pagamento del premio. La Corte ha trascritto gli artt. 11 e 12 del contratto stipulato tra l'agenzia generale A. e Z. nei quali, in particolare, si prevedeva l'invio giornaliero delle distinte, con corrispondente documentazione, delle operazioni di cassa relative a ciascuna giornata e la decorrenza della copertura assicurativa dalle 24:00 della data in cui veniva effettuata la registrazione a terminale dell'agenzia.

La giurisprudenza costante di questa Corte è concorde nel ritenere che, in forza del combinato disposto dell'art. 7 della legge 24 dicembre 1969, n. 990 (attuale art. 127 del d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209) e dell'art. 1901 cod. civ., il rilascio del contrassegno assicurativo da parte dell'assicuratore della responsabilità civile degli autoveicoli vincola quest'ultimo a risarcire i danni causati dalla circolazione del veicolo, quand'anche il premio assicurativo non sia stato pagato, ovvero il contratto di assicurazione non sia efficace, giacché, nei confronti del danneggiato, ai fini della promovibilità dell'azione diretta nei confronti dell'assicuratore del responsabile, rileva l'autenticità del contrassegno e non la validità del rapporto assicurativo (cfr. Cass. n. 25130/2010, n. 18307/2014, n. 20374/2015). Ciò con riguardo ai rapporti esterni tra compagnia di assicurazione e danneggiato, in applicazione dell'art. 7 della legge n. 990.

Nel caso di specie la polizza assicurativa era stata rinnovata l'1.6.2004 e in quella occasione era stato rilasciato all'assicurato l'apposito contrassegno, pur se la compagnia assicuratrice Unipol non aveva ricevuto la comunicazione del contratto né la riscossione del premio.

La situazione controversa, quindi, non è assimilabile né a quella della mancata stipulazione del contratto di assicurazione (nella specie regolarmente concluso) né a quella dell'omesso pagamento dei premi successivi al primo, ipotesi nelle quali la compagnia assicuratrice può opporre al terzo danneggiato la mancanza della copertura assicurativa in base ai principi generali e alla regola di cui all'art. 1901, secondo comma, cod. civ. la cui disposizione è espressamente richiamata e fatta salva nella sua portata precettiva dall'art. 7, secondo comma, della legge n. 990 del 1969 cit.

Essa integra la diversa ipotesi in cui sia stata sottoscritta la polizza di assicurazione e sia stato rilasciato all'assicurato l'apposito certificato, indicativo di una certa decorrenza e durata della garanzia (con conseguente obbligo della compagnia assicuratrice di indennizzare il danneggiato), ma l'assicurazione - come previsto dall'art. 1901, primo comma, cod. civ. - sia sospesa per non essere stato ancora pagato il premio (o la prima rata di premio) stabilito nel contratto.

Nel caso di specie, inoltre, l'art. 12 del contratto stipulato tra A. e la Z. prevedeva espressamente che la copertura assicurativa decorreva dalle ore 24.00 della data in cui veniva effettuata la registrazione al terminale da parte dell'agente A., registrazione che era stata, invece, impedita dalla mancanza di comunicazione - a carico della Z. - della regolare stipula della polizza. Peraltro, la suddetta disposizione non conteneva alcun criterio di determinazione dell'eventuale danno conseguente.

Come già affermato da questa Corte (cfr. Cass. n. 9693/1998) le ragioni di tutela dell’assicuratore, cui è (esclusivamente) finalizzata la sospensione della garanzia, sono identiche nel caso in cui l'assicurato non abbia pagato il premio (o la prima rata di esso) e nel caso in cui dell'avvenuto pagamento l'assicuratore preponente non abbia avuto conoscenza per causa a lui non imputatile (e addebitatile invece, nel caso concreto, al comportamento del sub agente il quale ha omesso di dare tempestiva comunicazione dell'avvenuta conclusione del contratto di assicurazione alla compagnia di assicurazione).

La riconduzione all'ipotesi di cui all'art. 1901, primo comma, cod. civ. comporta che la mancanza della copertura assicurativa e la relativa sospensione della garanzia non erano opponibili dalla compagnia Unipol al terzo danneggiato, non avendo l'art. 7 della legge n. 990 del 1969 previsto anche questa ipotesi, oltre quella descritta nel secondo comma dello stesso art. 1901 cod. civ., come causa di esclusione dell'obbligo dell'assicuratore di risarcire il danno. La particolarità della disciplina dell'art. 7 - che concreta una deroga legale (in favore del terzo danneggiato) alla regola della sospensione della garanzia assicurativa per il caso di mancato pagamento del premio - si spiega con il fatto che, relativamente al mancato pagamento del premio iniziale o della prima rata del premio iniziale l'assicuratore (anche per il fatto del suo agente) è in colpa di fronte ai terzi per avere rilasciato il certificato assicurativo sul quale essi hanno diritto di fare affidamento in quanto, a norma dello stesso art. 7, comma primo, il detto certificato attesta che sono già stati pagati il premio o la rata di premio (vedi, in motivazione, su questo punto: Cass. n. 7396/1990).

Può dunque esprimersi il seguente principio di diritto: ove sia stata sottoscritta una polizza di assicurazione r.c. auto e sia stato rilasciato all'assicurato l'apposito contrassegno (indicativo di una certa decorrenza e durata della garanzia) ma la compagnia assicurativa non abbia ricevuto il premio (o la prima rata di premio) stabilito nel contratto a causa del ritardato versamento da parte dell'agente, l'assicurazione - come previsto dall'art. 1901, primo comma, cod. civ. - è sospesa ma l'assicuratore è obbligato a risarcire i danni al terzo danneggiato in virtù del principio della rilevanza dell'autenticità del contrassegno rilasciato all’assicurato e del pagamento del premio nei modi e nei termini previsti dalla legge e dal contratto.

La Corte di merito si è uniformata a tale principio rilevando che la compagnia assicuratrice era in ogni caso tenuta al risarcimento del sinistro in considerazione del pagamento tempestivo del premio da parte dell'assicurato; di conseguenza, non poteva ritenersi sussistente un nesso di causalità tra comportamento omissivo del subagente (quanto alla comunicazione del regolare pagamento del premio da parte dell'assicurato) e responsabilità della compagnia per i danni cagionati.

Inoltre, la Corte di appello ha rilevato che, pur a fronte dell'inadempimento del subagente, non era stato dedotto che il contratto stipulato tra compagnia assicurativa e agente generale prevedesse l'equiparazione del danno da ritardata contabilizzazione del pagamento del premio al costo del sinistro subito dal terzo.

Nella specie, la censura di cui al secondo motivo, è prospettata con modalità non conformi al principio di specificità dei motivi di ricorso per Cassazione, secondo cui parte ricorrente avrebbe dovuto, quantomeno, trascrivere (anche parzialmente) nel ricorso il contenuto del contratto stipulato con la compagnia assicuratrice, fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l'individuazione e il reperimento negli atti processuali, potendosi solo così ritenere assolto il duplice onere, rispettivamente previsto a presidio del suddetto principio dall'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dall'art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (Cass. 12 febbraio 2014, n. 3224; Cass. SU 11 aprile 2012, n. 5698; Cass. SU 3 novembre 2011, n. 22726). Invero, laddove, come nel caso di specie, l'error in procedendo denunciato inerisca alla falsa applicazione del principio tantum devolutum quantum appellatum, l'autosufficienza del ricorso per Cassazione impone che, nel ricorso stesso, siano esattamente riportati sia i passi del ricorso introduttivo con i quali la questione controversa è stata dedotta in giudizio, sia quelli del ricorso d'appello con cui le censure ritenute inammissibili per la loro novità sono state formulate.

Tali oneri non sono stati ottemperati nel caso di specie dal ricorrente, che si è limitato a rappresentare l'oggetto della propria originaria domanda senza trascriverla negli esatti termini del loro svolgimento, ma riportandosi alla sintesi che della medesima era stata fatta nel ricorso introduttivo del giudizio. Parte ricorrente si è limitata a riportare un breve stralcio di argomentazione (e non il testo delle clausole contrattuali) attinenti al contratto stipulato con il sub agente (e non al contratto stipulato tra agente e compagnia assicurativa) e, inoltre, non ha trascritto il motivo di appello concernente la questione della determinazione del danno richiesto.

In conclusione, i due motivi del ricorso principale vanno rigettati.

6. I motivi del ricorso incidentale vanno dichiarati inammissibili.

La Corte territoriale ha rilevato che le censure proposte dalla Z. in qualità di appellante in via incidentale e relative alla nullità del ricorso introduttivo del giudizio, al diritto al pagamento dell'indennità di mancato preavviso, al risarcimento del danno e all'indennità di fine rapporto "ripropongono le medesime argomentazioni in ordine alle quali II primo giudice ha dato ampia risposta, senza che l’appellante, come sarebbe stato suo onere, abbia contrapposto una specifica confutazione".

Ebbene, nel nostro ordinamento non è ammessa l'impugnazione generica, che affidi al giudice del grado superiore il compito di rifare il giudizio e di riesaminare nuovamente il materiale probatorio raccolto e deciso in prime cure, senza una richiesta di sottoposizione della materia giudicata al vaglio di un secondo esame, che sia specifica e circoscritta a precise ragioni di critica. Il tema decisionale è strettamente delimitato dai motivi e l'appellante deve prospettare tutte le ragioni di censura con l'appello, senza poter nel corso del giudizio di secondo grado aggiungere alcunché, consumandosi il diritto di impugnazione con lo stesso atto di appello, il quale fissa i limiti della devoluzione della controversia in sede di gravame. Il principio tantum devolutum quantum appellatum, di cui all'art. 342 c.p.c., ha la funzione non solo di delimitare il campo del riesame della decisione impugnata, ma anche di identificare, attraverso il contenuto e la portata delle censure, i punti investiti dell'impugnazione e le ragioni per le quali si invoca la riforma della pronuncia. Con la conseguenza, pertanto, che è preclusa la precisazione, nel corso dell'ulteriore attività processuale, di censure esposte in maniera del tutto vaga nell'atto di appello così come non è consentito nel successivo grado di giudizio in sede di legittimità, dolersi che il giudice di appello non abbia riesaminato e rivalutato determinate risultanze probatorie, la cui valutazione, sotto il profilo della rilevanza ai fini della decisione da parte del giudice di primo grado, non era stata oggetto di specifica critica nell'atto di appello (cfr., da ultimo, Cass, sez. IlI, n. 27/02/2014, n. 4704, Cass., sez. Ili, 23/10/2014, n. 22502). Se è vero che l'art. 342 c.p.c. non richiede né l'indicazione espressa delle norme di diritto che sarebbero state violate (non ponendo l'art. 342 c.p.c. una regola corrispondente a quella contenuta nell'art. 366 c.p.c., n. 4) nè una rigorosa e formalistica enunciazione delle ragioni invocate a sostegno dell'impugnazione, peraltro l’appello - e si tratta del rilievo decisivo - deve consentire al giudice del gravame di percepire con certezza il contenuto delle censure, identificando esattamente i punti da esaminare, ed alle controparti di poter svolgere senza alcun concreto pregiudizio la propria attività difensiva in relazione alle ragioni di fatto e di diritto per le quali era stato proposto gravame.

Il ricorso è, inoltre, confezionato con modalità non conformi al principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, secondo cui parte ricorrente avrebbe dovuto, quantomeno, trascrivere nel ricorso il contenuto delle argomentazioni esposte nell'atto di appello (con specifico riferimento ai motivi proposti in via incidentale), fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l'individuazione e il reperimento negli atti processuali, potendosi solo così ritenere assolto il duplice onere, rispettivamente previsto a presidio del suddetto principio dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dall'art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (Cass. 12 febbraio 2014, n. 3224; Cass. SU 11 aprile 2012, n. 5698; Cass. SU 3 novembre 2011, n. 22726).

7. In conclusione, vanno respinti sia il ricorso principale sia il ricorso incidentale. Le spese di lite sono compensate tra le parti in conseguenza della reciproca soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta entrambi i ricorsi. Compensa tra le parti del spese di lite.