Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 21 giugno 2019, n. 16735

Imposte dirette - IRPEF - Accertamento - Fatture per operazioni inesistenti - Contenzioso tributario

 

Rilevato che

 

1. con ricorso datato 5/03/2013 la S. N. e C. N. & C. Snc, e i soci N. S. e N. C., nonché l'Oleificio C.S.di S. N. & C. Snc e i soci N. S. e N. C., adivano la Commissione tributaria regionale della Puglia, quale giudice dell'ottemperanza ex art. 70, del d.lgs. n. 546/1992, chiedendo l'ottemperanza al giudicato di cui alla sentenza n. 4/02/2005, depositata il 25/02/2005, con cui la CTR pugliese, testualmente, aveva così disposto: "rigetta l'appello dei contribuenti per quanto attiene agli accertamenti in materia di maggior reddito accertato in connessione all'utilizzo di fatture emesse per operazioni inesistenti e, quindi, la maggiore imposta IRPEF dovuta, da liquidarsi in applicazione delle disposizioni vigenti nei periodi d'imposta interessati dagli accertamenti.";

2. occorre precisare che, avverso detta sentenza, i contribuenti avevano proposto ricorso per cassazione, conclusosi con la sentenza di questa Corte (Cass. 22/09/2011, n. 19327) che aveva rigettato il ricorso;

3. nel giudizio d'ottemperanza, i ricorrenti chiedevano il ricalcolo dei maggiori tributi dovuti in relazione agli avvisi di accertamento a suo tempo ricevuti, in forza del disposto della CTR della Puglia che, come suaccennato, li aveva riconosciuti nella misura derivante dall'applicazione della relativa normativa, vigente nell'anno d'imposta oggetto degli accertamenti tributari (1991);

4. la CTR, con la sentenza in epigrafe, ha dichiarato inammissibile il ricorso per l'ottemperanza rilevando che: a) l'intera vicenda scaturiva dagli avvisi di accertamento, diretti alle società e ai soci, per i redditi accertati induttivamente (ai sensi dell'art. 39, del d.P.R. n. 600/1973) a seguito della contestazione dell'utilizzo di fatture inesistenti; b) sui ricorsi dei contribuenti avverso i rispettivi atti impositivi, la CTP di Bari aveva riconosciuto la legittimità degli accertamenti e, per la quantificazione del maggior reddito tassabile, aveva ritenuto "di potere equamente far ricorso alla tabella allegata alla legge 17/2/1985 n. 17, c.d. Visentini ter", con una redditività del 14% dei ricavi dichiarati; c) la CTR, con la sentenza n. 4/02/2005, di cui era chiesta l'ottemperanza, aveva accolto parzialmente l'appello dei contribuenti, rilevando l'inapplicabilità dei coefficienti di redditività della legge Visentini ter, per le annualità in esame, perché previsti solo per il triennio 1985/1987, e aveva rinviato, quindi, all'Amministrazione finanziaria per la quantificazione del maggiore reddito in base alle disposizioni vigenti ratione temporis, senza ulteriori specificazioni, rigettando, implicitamente, la richiesta degli appellanti di ricalcolo del maggiore reddito tassabile in base alle percentuali di redditività ricavabili dalle risultanze di bilancio dei periodi d'imposta successivi; d) la Suprema corte aveva rigettato il ricorso per cassazione dei contribuenti avverso detta sentenza della CTR; e) la richiesta dei ricorrenti in ottemperanza di disporre il ricalcolo dei tributi dovuti sulla base della redditività dell'r/0 dei ricavi, pari a quelli dichiarati negli anni seguenti, non trovava alcuna corrispondenza nel díctum della CTR; f) era condivisibile la tesi erariale, per la quale l'intera controversia riguardante il reddito tassabile era coperta dal giudicato esterno, rappresentato dalle numerose sentenze, intervenute nei contenziosi riguardanti le cartelle di pagamento scaturite dai predetti avvisi di accertamento, che avevano sempre riconosciuto la legittimità delle iscrizioni a ruolo, effettuate in misura pari a quanto accertato;

5. i contribuenti ricorrono per la cassazione di questa sentenza della CTR, sulla base di un unico motivo, mentre l'Agenzia resiste con controricorso;

 

Considerato che

 

1. con l'unico motivo del ricorso, denunciando "l’inosservanza delle norma sul procedimento ex art. 70 d.lgs. n. 546/1992 per la violazione dei principi di cui agli artt. 97 Cost. e n. 112 c.p.c.", i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per avere vanificato le finalità del giudizio d'ottemperanza;

assumono che tale decisione non si sarebbe conformata alla statuizione di questa Corte che, con la detta sentenza n. 19327/2011, aveva testualmente affermato: «la Commissione regionale ha rigettato i ricorsi con riguardo alla sussistenza della pretesa dell'ufficio, e non anche in ordine al quantum della pretesa stessa, nei limiti indicati, sicché ha accolto sul punto la domanda dei contribuenti che, sostenendo l'inapplicabilità del calcolo della redditività in base alla legge n. 17 del 1985, avevano richiesto in via subordinata l'applicazione di una diversa redditività, pari a quella adottata per attività commerciali similari.»;

rilevano, inoltre, che la sentenza della CTR è censurabile anche per avere ravvisato un giudicato esterno, derivante dalle pronunce della CTP di Bari, relative a tre cartelle di pagamento (scaturite dagli accertamenti fiscali in esame), posto che, da un lato, una sola di esse era stata impugnata e aveva dato origine ad una controversia definita da una sentenza passata in giudicato; dall'altro, si trattava di cartelle emesse sulla base di un ruolo provvisorio, in attesa della definizione della presente controversia;

1.1. il motivo è infondato;

la giurisprudenza consolidata di questa Corte (Cass. 19/10/2018, n. 26433), è ferma nel ritenere che: «il giudizio di ottemperanza agli obblighi derivanti dalle sentenze delle Commissioni Tributarie, regolato dall'art. 70 del d.lgs.n.546 del 1992 è ammissibile ogni qualvolta debba farsi valere l'inerzia della pubblica amministrazione rispetto al giudicato, ovvero la difformità dell'atto posto in essere dalla medesima, in ottemperanza al giudicato, rispetto al contenuto della sentenza da eseguire. Esso presenta connotati diversi rispetto al corrispondente e, per alcuni versi, concorrente giudizio esecutivo civile dal quale si differenzia, perché il suo scopo non è quello di ottenere l'esecuzione coattiva del comando contenuto nel giudicato, ma di rendere effettivo quel comando anche, e specificamente, se privo dei caratteri di puntualità e precisione tipici del titolo esecutivo (Cass. n. 646/2012; id. n. 20202/2010); ne discende che se, per un verso non può che essere esercitato entro i confini invalicabili posti dall'oggetto della controversia definita con il giudicato, non potendo essere attribuiti alle parti diritti nuovi e ulteriori rispetto a quelli riconosciuti con la sentenza da eseguire (c.d. carattere chiuso del giudizio di ottemperanza); per altro verso, può - e deve - essere enucleato e precisato da quel giudice il contenuto degli obblighi scaturenti dalla sentenza da eseguire, chiarendosene il reale significato (v. Cass. n. 15827/2016); è stato, altresì, chiarito (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 28286 del 18/12/2013) che in tema di contenzioso tributario, il giudizio di ottemperanza agli obblighi derivanti dalle sentenze delle commissioni tributarie, disciplinato dall'art. 70 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, è consentito unicamente in presenza di una sentenza esecutiva, che, decidendo nel merito una controversia tra contribuente ed erario, abbia impartito specifiche prescrizioni da eseguire.»;

nella specie, la CTR, adita quale giudice dell'ottemperanza, non è incorsa nella violazione delle norme di legge (artt. 97 Cost, 112 cod. proc. civ.) genericamente prospettata dai ricorrenti e, anzi, si è conformata a questi princìpi di diritto nel dichiarare l'inammissibilità del ricorso;

invero, nella sostanza, la pretesa processuale dei contribuenti non era rivolta all'ottemperanza di un giudicato di condanna nei confronti dell'Amministrazione finanziaria, bensì, in modo non consentito, all'ottemperanza di un giudicato, favorevole all'erario, di rigetto dell'impugnazione proposta dai contribuenti contro gli atti impositivi ad essi diretti che, in punto di quantum debeatur, si premurava di chiarire il criterio di liquidazione del credito tributario, nel rispetto delle disposizioni vigenti nei periodi d'imposta accertati;

2. da ciò discende il rigetto del ricorso;

3. le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso, condanna i ricorrenti, in solido, a corrispondere all'Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.000,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13.