Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 21 giugno 2019, n. 16730

Imposte dirette - IRPEF - Fondi previdenziali integrativi - Prestazioni erogate in forma di capitale - Trattamento tributario

 

Ritenuto che

 

U.M., ex dirigente ENEL fino al gennaio 2003, impugnò il silenzio rifiuto opposto dall'Amministrazione finanziaria avverso la sua istanza di rimborso Irpef, a suo dire indebitamente ritenuta alla fonte, sull'importo erogato nell'anno 2000, a titolo di corresponsione anticipata della pensione integrativa prevista dall'accordo nazionale del 16 maggio 1985.

La Commissione Tributaria Provinciale di Venezia (di seguito, per brevità, CTP), rigettava il ricorso del contribuente ritenendo la legittimità dell'assoggettamento a tassazione separata, trattandosi di emolumenti, di natura non assicurativa.

Tale decisione, appellata dal contribuente, veniva riformata parzialmente dalla Commissione Tributaria Regionale del Veneto (di seguito, per brevità, CTR) che richiamando i principi di cui alla sentenza delle S.U. n. 13642 del 2011, applicava la ritenuta del 12,50% di cui all'art. 6 della legge 482 del 1985 e valutava come probanti le risultanze di cui alla certificazione Enel per i rendimenti conseguiti dall'iscrizione al fondo.

Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione l'Agenzia delle entrate affidandosi a due motivi.

Resiste con controricorso U.M..

 

Considerato che

 

Con il primo motivo d'impugnazione, la difesa erariale lamenta, in relazione, all'art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 17, 19, 20 e 52 del d.p.r. 22/12/1986 n. 917 del d.lgs. n. 252 del 2005 e n. 124 del 1993, per aver erroneamente interpretato i principi espressi da Cass. S.U. n. 13642 del 2003, non ha considerato che vi sono diversi regimi tributari per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000 e che l'applicazione della ritenuta nella misura ridotta del 12,50% prevista per i redditi di capitali trova applicazione sugli importi corrisposti dal Fondo del capitale accantonato che ne costituiscano il rendimento in  quanto sono tali somme sono assimilabili, anche sotto il profilo fiscale, redditi di capitale. Con il secondo, deduce la violazione e la falsa applicazione dell'art. 44 del d.P.R. n. 602 del 1973 per aver riconosciuto gli interessi di legge, mentre in virtù della citata disposizione, in caso di rimborso, non spettano interessi nella misura legale ma in quella del 2,5% per ognuno dei semestri interi.

I due motivi, strettamente connessi possono trattarsi congiuntamente.

Occorre anzitutto rammentare che, a decorrere dal 1 gennaio 1986 (in base all'art. 12, comma 4 del CCNL del 16 maggio 1985, recepito dall'Enel), venne prevista a favore dei dirigenti Enel la stipula di un'assicurazione sulla vita con la previsione contrattuale dell'erogazione di una prestazione al momento del collocamento a riposo.

Successivamente, sempre nel 1986 (16 aprile 1986), a seguito di apposita richiesta delle rappresentanze sindacali dei dirigenti, tale previsione venne modificata con l'accordo tra l'Enel e la Federazione nazionale dirigenti di aziende industriali (Fndai), in virtù del quale venne sostituito il trattamento assicurativo di cui sopra con un rapporto di previdenza pensionistica integrativa (c.d. P.I.A., ovvero Previdenza Integrativa Aziendale) con prestazioni da erogare in forma di trattamento periodico (ciò peraltro con efficacia retroattiva al 1 gennaio 1986, da ciò potendosi desumere che la disposizione che prevedeva la stipula di polizze vita di fatto non venne mai applicata).

Tale forma di previdenza venne però dismessa nel 1998 e i fondi accumulati trasferiti a Fondenel, Fondo di Previdenza integrativa esterno, chiamato a gestire una forma di previdenza complementare a capitalizzazione individuale, con diritto degli aderenti alla liquidazione dell'intero capitale in luogo della rendita vitalizia.

Risulta dalla sentenza della CTR veneta - nonché dal principio di diritto enunciato da Cass. n. 13642 del 2011 riportato nella sentenza in epigrafe - che U.M. si è iscritto al Fondo anteriormente al 1993.

Ciò posto, secondo i principi di questa Corte consolidatisi proprio a seguito della sentenza delle Sez. U. 22 giugno 2011, n. 13642, in tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma di capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all'entrata in vigore del d.lgs. 21 aprile 1993, n. 124, ad un fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, la prestazione è assoggettata al regime di tassazione separata di cui agli artt. 16, comma 1, lett. a), e 17 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, solo per quanto riguarda la "sorte capitale", corrispondente all'attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme provenienti dalla liquidazione del cd. rendimento si applica la ritenuta del 12,50%, prevista dall'art. 6 della I. 26 settembre 1985, n. 482; b) per gli importi maturati a decorrere dall'1 gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui agli artt. 16, comma 1, lett. a) e 17 del d.P.R. n. 917 cit.

E' altresì principio consolidato, che il trattamento tributario dei "vecchi" iscritti, quindi prima del 21 aprile 1993, dipende dalla "composizione strutturale delle prestazioni", che sono appunto composte da una "sorte capitale", costituita dagli accantonamenti imputabili ai contributi versati dal datore di lavoro (e in notevole misura dal lavoratore) e da un "rendimento netto", imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato.

Sul punto la successiva ed attuale giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. 26 aprile 2017 n. 10285; Cass., 18 ottobre 2017, n. 24525; Cass., 7 marzo 2018, n. 5436; Cass., n. 4941 del 2018) si è già attestata, con numerose pronunce, di gran lunga prevalenti su quelli di segno diverso, su una lettura del principio affermato dalle Sezioni Unite secondo la quale il più favorevole criterio impositivo può trovare applicazione limitatamente alle somme rivenienti dall'effettivo investimento, da parte del fondo, sul mercato del capitale accantonato e che ne costituiscono il rendimento.

Pertanto, l'applicazione del più favorevole meccanismo impositivo di cui all'art. 6 della legge n. 482 del 1985 (con aliquota del 12,50%), si giustifica in ragione della "equiparazione" tra i capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita e (quelli corrisposti in dipendenza di contratti) di capitalizzazione posta dall'art. 41 (ora 44), comma 1, lett. g-quater), e art. 42 (ora 45), comma 4, t.u.i.r., con applicazione analogica dell'art. 6 suddetto ai capitali corrisposti in dipendenza di contratti di capitalizzazione.

Solo se e in quanto, dunque, nei capitali corrisposti possano identificarsi "redditi di capitali derivanti da contratti di capitalizzazione" può giustificarsi l'applicazione del meccanismo impositivo di cui all'art. 6 della legge n. 482 del 1985, senza possibilità di operare alcuna distinzione tra P.I.A. e Fondenel.

Resta dunque confermato che sono tassabili con l'aliquota del 12,50% ai sensi dell'art. 6 della legge n. 482 del 1985 i capitali maturati anteriormente al 1 gennaio 2001 dai soggetti iscritti al fondo di previdenza integrativa di che trattasi (P.I.A., poi Fondenel) prima dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 124 del 1993, limitatamente a quella parte di essi costituita dal rendimento netto, derivante dalla gestione sul mercato da parte del fondo del capitale accantonato, con la realizzazione di un rendimento.

La CTR non ha fatto, dunque, buon governo dei principi esposti, nella parte in cui ha omnicomprensivamente applicato l'aliquota agevolata del 12,50%, senza distinguere tra sorte capitale e rendimento netto e soprattutto senza individuare la parte di fondo costituita dal rendimento netto, quale parte derivante dalla gestione sul mercato da parte del fondo del capitale accantonato, con la realizzazione di un rendimento.

Peraltro, senza indicare gli elementi di fatto caratterizzanti la fattispecie, ha ritenuto che la certificazione Enel costituisse la prova di un impiego sul mercato di capitali accontonati, assoggettabili ad un'aliquota minore.

Ed invero, posto che grava sul contribuente che impugna un'istanza di rimborso l'onere di provare quale sia la parte dell'indennità ricevuta ascrivibile a rendimenti frutto d'investimento sui mercati finanziari di riferimento, quanto alla certificazione Enel, questa Corte ha più volte chiarito che «tale documentazione non è idonea ad assolvere l'onere probatorio gravante sul contribuente che agisca per ottenere l'accertamento del suo diritto al rimborso poiché, non contiene alcuna specificazione dei criteri utilizzati per la quantificazione della voce rendimento, così da chiarire se si tratta effettivamente di incremento della quota individuale del fondo attribuita al dipendente in forza di investimenti effettuati dal gestore sul mercato» (ex plurimis, cfr. Cass. 21/12/2016 n. 270 richiamata, recentemente, da Cass. n. 9246 del 2019).

L'accoglimento del primo motivo, assorbe l'esame del secondo afferente all'applicabilità degli interessi sulle somme rimborsate.

La sentenza impugnata va dunque cassata, con rinvio della controversia alla CTR del Veneto, in diversa composizione, la quale provvederà, oltre che sulle spese del presente giudizio, uniformandosi ai principi di diritti innanzi esposti secondo cui il fondo previdenziale Enel (P.I.A.) è sottoposto all'aliquota più favorevole del 12,50% prevista per i redditi di capitali solo per la parte di fondo impiegata sul mercato, con l'onere probatorio gravante esclusivamente sul contribuente che chiede il rimborso.

 

P.Q.M.

 

Accolto il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla CTR del Veneto, in diversa composizione, la quale provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio.