Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 07 luglio 2017, n. 16834

Lavoro - Dipendente Inps - Trattamento pensionistico supplementare - Cumulo tra pensione e retribuzione

 

Fatti di causa

 

P. S. chiese al giudice del lavoro del Tribunale di Lecce di dichiarare non dovuta all'Inps la somma di € 55.177,95, pretesa a titolo di recupero di indebito originato dal cumulo, in relazione al periodo novembre 1994 - giugno 1999, della pensione da esso ricorrente goduta dal 19.12.1978, dopo che era stato collocato in quiescenza a carico di un fondo esclusivo presso il Banco di Napoli - a quell'epoca istituto di credito di diritto pubblico - col reddito percepito successivamente.

In effetti, dal mese di gennaio del 1979 a quello di giugno del 1999 il P. aveva svolto attività lavorativa alle dipendenze di un altro istituto, con conseguente percezione di altro trattamento pensionistico supplementare a carico dell'Inps.

Il giudice adito accolse la domanda e tale decisione fu confermata dalla Corte d'appello di Lecce a seguito di impugnazione dell'Inps.

La Corte di merito spiegò che solo attraverso la norma di cui all'art. 10, co. 7, del D.L. n. 17/1983, convertito nella legge n. 79/1983, erano state estese al personale statale le norme sul divieto di cumulo tra pensione e retribuzione valide per i lavoratori del settore privato. Tuttavia, l'appellante, dipendente dal maggio del 1963, era andato in pensione nel 1978, sicché nel suo caso non trovava applicazione la normativa successiva sul divieto di cumulo di cui sopra. Inoltre, l'art. 10, comma 8, del D.lvo n. 503/1992 aveva previsto che ai lavoratori che alla data del 31/12/1994 erano titolari di pensione o che avevano raggiunto i requisiti contributivi minimi per la pensione di vecchiaia o di anzianità continuavano ad applicarsi le disposizioni più favorevoli della previgente normativa.

Per la cassazione della sentenza ricorre l'Inps con un motivo.

Resiste con controricorso il P., il quale deposita anche memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c.

 

Ragioni della decisione

 

Con unico motivo l'Inps denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 9 e 10 dell D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, e dell'art. 22, della legge 30 aprile 1969, n. 153 in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la Corte di appello ritenuto applicabile in favore di P. S. la clausola di salvezza del regime previgente alle innovazioni introdotte, in punto di divieto di cumulo tra pensione e reddito, dall'art. 10 del d.lvo n. 503/92, con la conseguenza che il medesimo doveva considerarsi immune dal predetto divieto alla luce della previgente normativa, rappresentata, nel caso di specie, dall'allegato T all'art. 39 della legge 8 agosto 1895 n. 486 che dettava una disciplina per cui, nei confronti dei pensionati del Fondo esclusivo del Banco di Napoli, non era contemplato il divieto in esame. Assume, invece, l'Inps che la disciplina del concorso tra pensione di anzianità e reddito da lavoro dipendente, già dettata dall'art. 22 della legge n. 153/1969/ è nel senso della totale incumulabilità, alla stregua di quanto successivamente previsto dall'art. 10 del d.lvo n. 503/1992.

Il ricorso è fondato.

Invero, occorre prendere le mosse dalla circostanza dirimente, risultante dagli atti di causa, che alla data del 31.12.1994, tenendo conto di quanto previsto dall'art. 10, co. 8, d.lvo n. 503/92, come novellato dall'art. 11 della legge n. 537/93, il P. non possedeva il requisito minimo contributivo di 35 anni, avendo iniziato a lavorare nel mese di maggio del 1963, per cui non aveva diritto al mantenimento del sistema del cumulo - fino ad allora goduto dal 1978, anno del pensionamento anticipato - della pensione col reddito percepito presso altro istituto nell'arco temporale novembre 1994 - giugno 1999, epoca, quest'ultima, di cessazione dell'attività lavorativa.

Al riguardo questa Corte ha, infatti, avuto occasione di affermare (Cass. sez. lav. n. 17360 del 23.7.2010) che "in materia di cumulo tra pensione di anzianità o vecchiaia e reddito da lavoro (dipendente o autonomo), la norma transitoria di cui all’art 10, comma 8, del d.lgs. n. 503 del 1992 (come modificato dall'art. 11 della legge n. 537 del 1993) - che consente anche dopo l'entrata in vigore della nuova disciplina il mantenimento del precedente regime se più favorevole - è subordinata all'unica condizione di aver completato entro il 31 dicembre 1994 la contribuzione minima della pensione, atteso che una diversa interpretazione condurrebbe da un lato a ritenere la norma dettata per la finalità ad essa estranea di incentivare l'esodo di coloro che, già in possesso alla data del 31 dicembre 1994 di tutti i requisiti per godere di un qualsiasi trattamento pensionistico (di anzianità o di vecchiaia) presso qualsiasi Istituto assicurativo, avrebbero un concreto vantaggio a collocarsi in quiescenza al fine di evitare il penalizzante sistema del cumulo tra pensione e redditi da lavoro, mentre, dall'altro, consentirebbe, illogicamente, a chi abbia maturato il diritto a pensione al dicembre 1994 di non essere assoggettato al cumulo tra pensione e redditi da lavoro in caso di concreto esercizio di tale diritto e di non potere, di contro, più usufruire di tale vantaggio in caso di protrazione del lavoro e posticipazione del collocamento in pensione."

Tra l'altro, già con la sentenza n. 12323 del 21.8.2003, questa Corte aveva precisato che "ai fini della applicabilità della disciplina transitoria in materia di deroga al divieto di cumulo tra pensione di anzianità e lavoro autonomo, contenuta nell'articolo 10, comma ottavo, del D.Lgs. n. 503 del 1992, novellato dall'art. 11 della legge n. 537 del 1993, il requisito contributivo minimo previsto dal medesimo articolo è da riferire ai trentacinque anni necessari per la pensione "di vecchiaia o di anzianità", e non ad anzianità inferiori, previste per fruire di pensionamenti anticipati.

In effetti, il d.lgs. n. 503 del 1992, riordinando il sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, vietò il cumulo delle pensioni di anzianità a carico dell'assicurazione generale obbligatoria e delle forme sostitutive con i redditi da lavoro dipendente (pensione intera) e con i redditi da lavoro autonomi (parte della pensione) (art. 10, comma 6).

Il legislatore ritenne però di salvaguardare i cosiddetti diritti quesiti e perciò protrasse l'inizio di efficacia del divieto, che non valse per i lavoratori che al 31 dicembre 1994 fossero già titolari di pensione ovvero avessero raggiunto "i requisiti contributivi minimi per la liquidazione della pensione di vecchiaia o di anzianità" (art. 10, comma 8).

Le questioni che ora si pongono sono: A) se titolare di pensione potesse considerarsi chi, avendone già diritto, tuttavia ancora non la percepisce; B) se l’espressione "requisiti contributivi minimi" possa riferirsi anche ai requisiti previsti dalla legge per il pensionamento anticipato ossia non solo a quelli della pensione a carico dell'assicurazione generale obbligatoria. In realtà, malgrado la letterale formulazione che sembra porre due alternativi requisiti (titolarità della pensione ovvero raggiungimento della contribuzione minima), l'art. 10, comma 8, cit. pone un solo requisito, che è quello della contribuzione minima, necessario e sufficiente per l'applicazione della precedente e più favorevole normativa in materia di cumulo fra pensione e retribuzione.

Infatti in un primo momento l'art. 10 cit., inserito nel d.lgs. n. 503 del 1992, richiedeva solamente la formale titolarità della pensione. In un secondo momento il Legislatore, considerando evidentemente che il momento del conseguimento di questa titolarità, ossia del beneficio per il pensionato, poteva dipendere da un'attività puramente discrezionale del datore di lavoro o della pubblica amministrazione ed eventualmente anche dal caso, formulò di nuovo l'art. 10 attraverso l'art. 11 I. n. 537 del 1993, ponendo il requisito della contribuzione minima, che assorbì il requisito previsto in precedenza, così come il più comprende il meno. Ciò significa in definitiva che il problema da porsi è se il requisito contributivo minimo possa essere, oltre quello previsto dalla legge per le pensioni di anzianità o di vecchiaia, anche quello, minore, previsto per il pensionamento anticipato. La risposta alla questione non può che essere negativa, così stabilendosi che il requisito di cui all'art. 10, comma 8, d.lgs. n. 503 del 1992, novellato dall'art. 11 I. n. 537 del 1993, sia da riferire ai trentacinque anni necessari per la pensione "di vecchiaia o di anzianità" e non ad anzianità inferiori, previste per fruire di pensionamenti anticipati. Questi ultimi, seppure mantengono la caratteristica di trattamenti previdenziali e non assistenziali, perseguono il fine di non lasciare prive dei mezzi di sussistenza persona costrette ad abbandonare l'occupazione a causa della crisi economica dell'impresa datrice di lavoro. Tali trattamenti attribuiscono perciò un beneficio al lavoratore, che tuttavia non ne sopporta il peso finanziario. La ragione del divieto di cumulo fra pensione anticipata e percezione di reddito da lavoro sta nel sopravvenuto difetto della causa di attribuzione del beneficio previdenziale, ossia nel venir meno dello stato di bisogno (di disoccupazione), grazie al reperimento di un nuovo lavoro, autonomo o subordinato. Per tal motivo la deroga al divieto non può applicarsi ai pensionati in anticipo, privi della contribuzione di trentacinque anni e perciò già favoriti dalla legge rispetto ai pensionati per anzianità o per vecchiaia. Pertanto, il ricorso va accolto e l'impugnata sentenza va cassata con rinvio del procedimento alla Corte d'appello di Lecce in diversa composizione che verificherà se ricorrono i presupposti reddituali dello sconto, invocato con la domanda subordinata, di cui alle leggi n. 662/1996 e n. 448/2001.

La stessa Corte provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte d'appello di Lecce in diversa composizione.