Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 06 ottobre 2016, n. 20054

Perseguitati politici e razziali - Superstiti - Pensione di reversibilità - Benefici previdenziali previsti ex art. 2, I. n. 932/1980 -

Fatto

 

Con sentenza depositata il 2.12.2009, la Corte d'appello di Roma confermava la statuizione di prime cure che aveva rigettato la domanda di I. C. volta ad ottenere la riliquidazione dei ratei di pensione maturati e non riscossi dalla defunta sorella G. C. con l'applicazione dei benefici previdenziali previsti dall'art. 2, I. n. 932/1980, per i perseguitati per motivi razziali.

La Corte, anzitutto, riteneva che l'INPS non poteva ritenersi vincolato al provvedimento amministrativo con cui la speciale Commissione ex I. n. 96/1955 aveva riconosciuto a G. C. (e per essa a I. C.) il beneficio della contribuzione figurativa per il periodo 1.11.1938-25.4.1945 e, sotto altro profilo, riteneva che solo i superstiti aventi diritto a pensione di reversibilità potessero chiedere la riliquidazione della pensione spettante ad un congiunto perseguitato per motivi razziali.

Contro questa pronuncia ricorrono R. e M. L., n.q. di eredi di I. C., con due motivi. Resiste l'INPS con controricorso.

 

Diritto

 

Con il primo motivo di censura, i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 5 e 8, l. n. 96/1955, e dell'art. 8, I. n. 36/1974, per avere la Corte di merito ritenuto che l'INPS potesse disattendere il provvedimento amministrativo del 14.7.2003, con il quale la Commissione per i perseguitati politici e razziali aveva riconosciuto alla loro dante causa il diritto a beneficiare della contribuzione figurativa relativa al periodo 10.11.1938-25.4.1945 sulla posizione previdenziale della defunta sorella G. C.: ad avviso dei ricorrenti, infatti, il provvedimento della Commissione era destinato a manifestare la sua imperatività anche nei confronti dell'INPS, che avrebbe potuto scansarne gli effetti soltanto impugnandolo tempestivamente avanti al giudice amministrativo.

Con il secondo motivo, inoltre, i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell'art. 8, I. n. 36/1974, in combinato disposto con l'art. 5, I. n. 96/1955, per avere la Corte territoriale ritenuto che solo i superstiti aventi diritto a pensione di reversibilità potessero chiedere la riliquidazione della pensione spettante ad un congiunto perseguitato per motivi razziali: a loro avviso, infatti, l’art. 8, I. n. 36/1974, già dettato per la ricostruzione del rapporto assicurativo e previdenziale dei lavoratori licenziati per motivi discriminatori e applicabile in specie giusta il richiamo alle procedure ivi previste da parte dell'art. 5, I. n. 96/1955 (nel testo risultante dalla modifica apportata dall’art. 2, I. n. 932/1980), andrebbe interpretato nel senso di estendere tale facoltà anche agli eredi aventi diritto a ratei di pensione maturati e non riscossi dall'assicurato.

I due motivi possono essere trattati congiuntamente, stante l'intima connessione delle censure svolte, e sono infondati.

Va premesso che l'art. 8, I. n. 96/1955, nel disciplinare le provvidenze a favore dei perseguitati politici antifascisti o razziali e dei loro familiari superstiti, ha istituito un'apposita commissione che ha il compito di esaminare le domande volte al conseguimento dei benefici previsti dalla legge medesima.

In ordine al beneficio che qui interessa, dispone invece il successivo art. 5 (per come modificato dall'art. 2, I. n. 932/1980), il quale, nel prevedere che debbano essere considerati utili, ai fini del conseguimento delle prestazioni dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti, i periodi scoperti da contribuzione a partire dal primo atto persecutorio e fino al 25.4.1945, rinvia per la ricostruzione delle pensioni alle procedure di cui alla legge n. 36/1974.

Questo essendo il testo normativo, risulta evidente che, ai fini che qui interessano, il compito della commissione di cui all’art. 8, I. n. 96/1955, è limitato all'accertamento, in capo all'ipotetico destinatario dei benefici, dei presupposti di fatto necessari al riconoscimento dello status di perseguitato per motivi politici e/o razziali: tale status, infatti, è bensì un requisito essenziale per l'accesso al beneficio della contribuzione figurativa di cui all’art. 5, I. n. 96/1955, ma non è affatto l'unico, occorrendo integrare la previsione dell'art. 5 cit. con quelle desumibili dalla legge n. 36/1974.

D'altra parte, che la commissione ex art. 8, I. n. 96/1955, abbia eminentemente compiti di accertamento della sussistenza delle situazioni che danno titolo alla concessione delle relative provvidenze è stato chiarito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 268 del 1998, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale della disposizione cit. nella parte in cui non prevedeva che dovesse farne parte anche un rappresentante dell'Unione delle Comunità ebraiche italiane: ad avviso della Corte, infatti, dal momento che la composizione della commissione rispecchia l'esigenza che le sue determinazioni siano assunte sulla base di valutazioni che implicano anche l'apprezzamento dì situazioni in base alla diretta conoscenza ed esperienza delle vicende che hanno dato luogo agli atti persecutori, quale può essere attinta soltanto da competenze esterne all'apparato amministrativo, risultava irragionevole che, pur essendosi prevista la partecipazione di componenti rappresentativi di quanti avessero subito persecuzioni per motivi politici, non si fosse previsto altrettanto per la categoria dei perseguitati razziali.

Stante quanto sopra, deve ritenersi che, ai fini della concessione del beneficio della contribuzione figurativa utile per la ricostruzione della pensione, il provvedimento della commissione si collochi nel novero dei provvedimenti di certazione di fatti giuridicamente rilevanti: si tratta infatti di un provvedimento che attribuisce ad un soggetto una qualificazione giuridica destinata ad operare in altri rapporti giuridici intersoggettivi e come tale obbliga coloro che di tali rapporti fanno parte ad assumere come certo ciò che in esso è enunciato.

Deve pertanto escludersi che, come invece sostenuto dai ricorrenti, l'INPS fosse vincolato già sulla base del provvedimento della Commissione a ricostruire la pensione della defunta G. C.: ciò che l'INPS era tenuto a riconoscere - e, a ben vedere, non ha mai posto in discussione - era semmai che, concorrendo gli ulteriori requisiti di cui alla legge n. 36/1974, la dante causa degli odierni ricorrenti avrebbe avuto diritto ad ottenere il beneficio della contribuzione figurativa utile ai fini della ricostruzione della pensione di G. C., essendosi definitivamente accertata la qualità della defunta di perseguitata per motivi razziali. E in questi termini, del resto, si esprime la delibera della Commissione n. 83619 del 14.7.2003, per come riportata nel ricorso per cassazione: si legge infatti nel provvedimento cit. che, pur venendo "accolta la domanda della sig.ra I. C.", con consequenziale riconoscimento del "diritto al beneficio [...] per i periodi scoperti da contribuzione [...] sulla posizione assicurativa della sig.ra G. C.", si rimette ’’alla competente sede INPS l’accertamento degli ulteriori requisiti per la liquidazione del predetto beneficio".

Viene dunque in rilievo l'art. 8, I. n. 36/1974, il quale, per quanto qui rileva, stabilisce al penultimo comma che "Le riliquidazioni, supplementi, maggiorazioni e prestazioni in genere di cui ai precedenti commi spettano anche ai superstiti aventi diritto con riferimento sia alle prestazioni dirette che sarebbero spettate all'assicurato sia alle prestazioni indirette e di riversibilità": in riferimento a tale disposizione, si pone infatti la questione (suda quale è incentrato il secondo motivo di censura) se la locuzione "superstiti aventi diritto" debba essere interpretata - come ritenuto nella sentenza impugnata - nel senso di cui all'art. 13, r.d.l. n. 636/1939, il quale (nel testo risultante dalla modifica apportata dall'art. 22, I. n. 903/1965) ricomprende nella categoria il coniuge, i figli minori e quelli maggiorenni ma inabili a lavoro che fossero a carico del de cuius, ovvero nel più ampio senso di eredi.

Ritiene il Collegio che la prima interpretazione s'imponga per ragioni di ordine logico-sistematico. La disposizione in esame sì colloca infatti in un compendio di precetti volti ad assicurare, a favore dei lavoratori il cui rapporto di lavoro fosse stato risolto per motivi politici o sindacali, la "ricostruzione del rapporto assicurativo obbligatorio" (art. 1, I. n. 36/1974), e dovendosi ricondurre la materia pensionistica ad un sistema unitario, caratterizzato da regole per quanto possibile uniformi (cfr. per questa esigenza Cass, n. 18569 del 2008), appare senz'altro ragionevole attribuire all'enunciato normativo un significato coerente con la sua collocazione nel sistema della previdenza sociale, in cui la locuzione "superstiti aventi diritto" assume un significato più ristretto di quello di "eredi", rinviando appunto al coniuge, ai figli minori e quelli maggiorenni ma inabili a lavoro che fossero a carico del de cuius (art. 13, r.d.l. n. 636/1939, cit).

Contrari argomenti non possono desumersi dal fatto che l'art. 3, I. n. 932/1980, abbia esteso "ai familiari" la possibilità di richiedere la riversibilità dell'assegno vitalizio di benemerenza già istituito dall’art. 4, I. n. 267/1967, per coloro fossero stati perseguitati nelle circostanze di cui all’art. 1, I. n. 96/1955, e non avessero potuto chiederlo per essere deceduti anteriormente all'entrata in vigore della legge medesima: diversamente da quanto opinano i ricorrenti, la disposizione cit. semmai conferma l'interpretazione dell'art. 8, I. n. 36/1974, di cui dianzi s'è detto, giacché in essa si prevede testualmente che codesto assegno sia "riversibile ai familiari superstiti ai sensi delle disposizioni vigenti in materia" (cfr. per una previsione analoga l'art. 4, I. n. 36/1974) e dunque si palesa l'intenzione del legislatore di vincolare ancora una volta l'interprete alla sistematica propria della materia previdenziale, nell'ambito della quale l'enunciato "superstiti" trae significato, come detto, dall’art. 13, r.d.l. n. 636/1939.

Proprio per ciò non appare condivisibile l’interpretazione che dell'art. 8, I. n. 36/1974, ha dato il Consiglio di Stato con la sentenza n. 2712 del 2012, resa in una vicenda affatto analoga alla presente in cui, tuttavia, oggetto d'impugnazione era il provvedimento con cui la Commissione ex art. 8, l. 96/1955, aveva denegato alla sorella di una perseguitata l’accesso al beneficio della contribuzione figurativa. Fermo restando che in quella fattispecie il diniego dell’amministrazione era stato motivato in relazione a tutt’altre ragioni e che la questione della legittimazione attiva a richiedere il riconoscimento del beneficio di cui all’art. 5, I. n. 96/1955, era stata sollevata in sede di gravame dall'Avvocatura dello Stato, l'assunto del giudice amministrativo, secondo cui le finalità umanitarie, equitative e (nei limiti del possibile) riparatorie della disciplina dettata dal combinato disposto dell'art. 5, I. 96/1955, e dell'art. 8, I. n. 36/1974, ne imporrebbero un'interpretazione volta ad accordare, anziché ad escludere, la concessione del beneficio, non soltanto non considera le ragioni sistematiche che, come s’è visto supra, militano per un'esegesi dell'enunciato "superstiti" che sia rispettosa della complessiva sistematica propria della materia previdenziale, ma soprattutto trascura che le finalità umanitarie, equitative e riparatorie proprie della disciplina appaiono ben più saldamente assicurate limitando la concessione dei beneficio della contribuzione figurativa all'assicurato che sia stato oggetto di persecuzione e ai suoi "superstiti aventi diritto", ex art. 13, r.d.l. n. 636/1939, visto che di norma saranno costoro ad aver maggiormente patito delle conseguenze della discriminazione e persecuzione razziale. Diversamente argomentando, al beneficio in questione potrebbero aspirare tutti coloro che, secondo le norme del codice civile, possono diventare eredi, e dunque - in disparte gli eredi testamentari - non solo il coniuge e i figli, gli ascendenti e i collaterali, ma perfino eventuali altri parenti, senza distinzione di linea (art. 572 c.c.) e, in ultima analisi, lo Stato stesso (art. 586 c.c.), ciò che manifestamente sarebbe un eccesso di scopo.

Il ricorso, pertanto, va rigettato. La natura e complessità della questione trattata, in uno con la sussistenza di difformi orientamenti dei giudici amministrativi, costituiscono giusto motivo per compensare le spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Compensa le spese.