Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 17 maggio 2019, n. 13374

Tributi - Accertamento - PVC - Contenzioso tributario - Irregolarità alla mancata fatturazione e registrazione di ricavi conseguiti - Verifica

 

Ritenuto in fatto

 

1. L'Agenzia delle entrate, a seguito di processo verbale di constatazione, emetteva avviso di accertamento, per l'anno 2005, nei confronti di F.M., titolare della ditta omonima, ai fini Irpef, Iva ed Irap, per omessa registrazione di alcune operazioni contabili, come permute, ed omessa contabilizzazione di ricavi, per prezzi superiori a quelli risultanti dai contratti di compravendita, traendo elementi probatori dal conseguimento di somme a titolo di acconto, dall'esame del contenuto degli hard disk dei computers, dai depliants pubblicitari, oltre che da documentazione rinvenuta nei locali di alcune agenzie di intermediazione immobiliare.

2. Il contribuente proponeva ricorso, deducendo che non sussistevano i presupposti per emettere l'avviso di accertamento induttivo puro di cui all’art. 39 comma 2 d.p.r. 600/1973, che i prezzi effettivi degli immobili non potevano essere desunti dalle "offerte al pubblico" proprie dei depliants rinvenuti, che la contabilità era regolare, che non erano stati rinvenuti contratti preliminari o altra documentazione attestante pagamenti riscossi, che nessun mandato per la vendita era stato conferito all'immobiliare P.F..

3. La Commissione tributaria provinciale rigettava il ricorso, rilevando che le irregolarità erano emerse dalla gestione delle somme ricevute a titolo di caparra o di acconto, dalla gestione fiscale delle permute, dal mancato riscontro di somme indicate in contabilità e non negli estratti conto bancari, oltre che dai dati della fattura del P..

4. Proponeva appello il contribuente, rilevando che si era in presenza di caparre confirmatorie, come da accordi contrattuali, che il titolare della P. Immobiliare aveva rilasciato una autodichiarazione con cui modificava le dichiarazioni rilasciate in sede di verifica, che l'Ufficio, avendo rettificato il valore degli immobili ceduti in permuta, avrebbe dovuto rettificare anche il valore dei terreni, che erano state allegate due perizie di parte da cui emergevano valori inferiori a quelli accertati, che non era legittimo l'accertamento induttivo puro di cui all'art. 39 comma 2 d.p.r. 600/1973.

5. La Commissione tributaria regionale accoglieva l'appello del contribuente, evidenziando che non sussistevano gli elementi presuntivi per procedere con l'accertamento induttivo puro di cui all'art. 39 comma 2 d.p.r. 600/1973, che l'Agenzia aveva desunto l'inattendibilità delle scritture in base a notizie acquisite in anni precedenti, che le somme ricevute a titolo di caparra erano ricompresi nelle fatture emesse al momento della stipulazione dei rogiti notarili, che i compensi all'Agenzia P. erano forfettari, che i compensi agli intermediari ricomprendevano anche ulteriori servizi, come quelli legali, che le notizie tratte dal materiale pubblicitario non corrispondevano ai contratti effettivamente conclusi, che i valori delle perizie di parte erano inferiori a quelli determinati dai verificatori.

6. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'Agenzia delle entrate.

7. Il contribuente ha resistito con controricorso.

 

Considerati in diritto

 

1. Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente si duole della "violazione e falsa applicazione dell'art. 39 comma 1 d.p.r. 600/1973 in relazione all'art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.", in quanto la Commissione regionale non ha correttamente applicato il secondo comma dell'art. 39 d.p.r. 600/1973, avendo ritenuto non sussistenti i presupposti per procedere all'accertamento induttivo puro. In realtà, tutti i dati risultanti dall'accertamento depongono per la sussistenza della significativa differenza tra reddito dichiarato ed accertato. In particolare, deve tenersi conto di "elaborazione di prezzi e tagli di appartamenti rilevati da documenti e altre fonti imputabili direttamente alla ditta F.M., a meno che si voglia affermare che i depliant rinvenuti nelle agenzie immobiliari e quelli rinvenuti nella sede commerciale dell'azienda - del tutto identici per forma e contenuti - siano stati artatamente esposti al pubblico per creare un danno all'odierno ricorrente" (cfr. pagina 14 del ricorso per cassazione). Altro elemento è costituito dal rinvenimento del faldone "ricevute e caparre", con pagamenti effettuati dai clienti per la somma di € 122.000,00, non sussumibili in "caparre confirmatorie", ma aventi natura di acconti, non essendo stati rinvenuti contratti preliminari. Né il M. ha emesso fattura al momento della conclusioni dei contratti di permuta che vanno considerate come operazioni autonome, sicché il trasferimento del terreno già costituisce erogazione del corrispettivo per gli appartamenti ed il costruttore deve emettere la relativa fattura.

2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente si duole della "Violazione e falsa applicazione dell'art. 56 d.lgs. 546/1992 e dell'art. 346 c.p.c. e dell'art. 2909 c.c., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. - error in procedendo - violazione del giudicato implicito", in quanto, con riferimento alle permute, la Commissione provinciale ha affermato tra le irregolarità riscontrate vi erano anche quelle "nella gestione delle somme ricevute a titolo di caparra o acconto, nella gestione fiscale delle permute - a prescindere dall'accertamento del maggior valore...", ma il contribuente non ha contestato tale capo della pronuncia relativo, appunto, alla omessa contabilizzazione delle operazioni di permuta, con conseguente formazione del giudicato interno.

3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce "Violazione e falsa applicazione dell'art. 6 d.p.r. 633/1972 in relazione all'art. 360 comma 1, n. 3 c.p.c.", in quanto la Commissione regionale ha riferito che "l'assoggettamento della caparra all'imposta di registro avviene solo nel caso di dazione di somme di denaro nell'ambito di un contratto preliminare ed inoltre i relativi importi non sono stati oggetto di decurtazione nelle fatture emesse e quindi sono stati assoggettati ad Iva, circostanza - questa - che trova peraltro conferma nelle copie degli atti notarili, prodotte agli atti, da cui risulta che le somme percepite dalla ditta M., dai futuri acquirenti degli immobili, sono esplicitamente ricomprese negli importi delle fatture emesse all'atto del rogito". Per la ricorrente, anche se le somme sono state inserite in fattura al momento della vendita, la violazione è stata, comunque, commessa in quanto la fattura doveva essere emessa al momento della percezione degli acconti.

3.1. I motivi primo e terzo, che vanno esaminati congiuntamente per ragioni di connessione, sono inammissibili.

Invero, la Commissione regionale ha ritenuto insussistenti i presupposti che avrebbero consentito all'Agenzia delle entrate di procedere con accertamento induttivo puro, in quanto ha utilizzato notizie relative ad anni precedenti (fatture degli agenti immobiliari). Inoltre, ha affermato che il materiale pubblicitario non era sufficiente a dimostrare il prezzo effettivo delle vendite e che il denaro ricevuto da alcuni clienti era imputabile alle "caparre", come da ammissione dello stesso Ufficio che ha dichiarato "di reputare fondata la pretesa della parte in quanto l'assoggettamento della caparra all'imposta di registro avviene nel solo caso di dazione di somme di denaro nell'ambito di un contratto preliminare ed inoltre i relativi importi non sono stati oggetto di decurtazione nelle fatture emesse e quindi sono stati assoggettati ad iva", come risultava dagli atti notarili e dalla fatture emesse all'atto dei rogiti. I dati contabili erano congrui con gli studi di settore, i conti correnti personali non avevano evidenziato alcuna irregolarità, il maggiore valore degli immobili oggetto di permuta era stato confutato dalle perizie di parte ("i valori risultanti dalle perizie tecniche giurate, prodotte dal contribuente, sono sensibilmente inferiori a quelli determinati dai verificatori"),i compensi all'agenzia P. erano forfettari, ricomprendendo anche ulteriori servizi, come l'assistenza di un legale al momento della stipulazione dei contratti, i depliants pubblicitari non erano attendibili, tanto che la dicitura "venduto" apposta sugli stessi non corrispondeva con le dichiarazioni degli acquirenti e con le indagini bancarie, la fattura emessa dalla P. nei confronti del M. era un corrispettivo forfettario come da "autodichiarazione" del P. prodotta in giudizio.

La ricorrente, pur censurando la decisione per violazione e falsa applicazione di legge ai sensi dell'art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., in realtà formula censure di merito, che attengono alla motivazione della decisione e che sono volte a sollecitare una nuova e diversa valutazione degli elementi di prova in atti. Peraltro, la Commissione regionale si è soffermata sulle somme pagate dai clienti ritenendole caparre confermative e non acconti, chiarendo che, comunque, tali somme sono state assoggettate ad Iva, sia pure solo al momento della conclusione dei contratti e non al momento della ricezione dei pagamenti, ritenendo, con un giudizio di merito, insindacabile in tale sede, che tale modalità di gestione delle caparre non ha costituito una irregolarità contabile talmente grave da rendere inattendibili le scritture contabili nel loro complesso ai sensi dell'art. 39 comma 2 d.p.r. 600/1973.

Quanto alle permute, la Commissione ha affermato che le irregolarità riscontrate attengono alla mancata fatturazione e registrazione di parte dei ricavi conseguiti dal contribuente ma "tale presunta irregolarità non è altro che una diretta conseguenza del maggior valore attribuito dai verificatori a tutti gli immobili edificati dalla ditta M. inclusi quelli realizzati a seguito delle permute con i proprietari di aree edificabili".

Si tratta, anche in questo caso, di un accertamento di merito, che non può essere censurato come vizio di legittimità e, comunque, stante la pubblicazione della sentenza in data 29-9-2014, avrebbe richiesto la formulazione della censura ai sensi dell'art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c., come modificato dal d.l. 83/2012.

Per la Commissione regionale, quindi, sia la gestione delle caparre che quella delle permute non hanno costituito irregolarità tali da inficiare del tutto l'attendibilità della contabilità dell'impresa, sì da consentire l'emissione dell'avviso di accertamento induttivo puro di cui all'art. 39 comma 2 d.p.r. 600/1973. Del resto, quanto alle somme ricevute dagli acquirenti, le stesse sono state assoggettate ad Iva, sia pure al momento della stipulazione dei contratti e, quanto alle permute, la fatturazione vi è stata al momento del trasferimento degli appartamenti e non, anteriormente, al momento del trasferimento dei terreni edificabili.

4. Il secondo motivo è infondato.

Invero, dalla trascrizione dell'atto di appello proposto dal contribuente (cfr. pagina 6 del ricorso per cassazione "gestione fiscale delle permute: si sarebbe consumata , a detta del contribuente, una omissione di atti d'Ufficio perché se si procede a rettifica del valore degli immobili ceduti in permuta, senza previsione contrattuale di compensazioni in denaro, i Finanzieri e l'Ufficio dovevano per pari entità rettificare il valore dei terreni ed assoggettare ad imposta tale plusvalore....la cessione di terreni edificabili dà luogo a redditi diversi tassabili ai sensi degli artt. 67 e 68 del reddito di colui che cede terreni in permuta...") emerge che anche il capo della sentenza della Commissione provinciale relativo alla gestione fiscale delle permute è stato adeguatamente impugnato dal contribuente.

5. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della ricorrente per il principio di soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna la ricorrente a rimborsare al resistente le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi € 7.000,00, oltre € 200,00 per esborsi, accessori di legge e contributo spese generali nella misura forfettaria del 15 %.