Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 22 febbraio 2017, n. 4619

Licenziamento - Per giusta causa - Assenza dal lavoro - Omessa comunicazione - Irreperibilità alla visita medica di controllo

 

Svolgimento del processo

 

1. La Corte d'appello di Milano, con sentenza del 15 novembre 2013, confermò la decisione del giudice di primo grado che aveva accolto la domanda avanzata da B.D., dipendente di S. S.p.A. con mansioni di addetto al casello autostradale di Casteggio, avente ad oggetto l'accertamento dell'illegittimità del licenziamento intimatogli dal datore di lavoro per giusta causa, nonché di quattro sanzioni conservative, con condanna della società alla reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro e al risarcimento dei danni.

2. Gli addebiti che avevano dato luogo alle sanzioni disciplinari consistevano nell'avere comunicato, nella giornata del 4 agosto 2007, la propria assenza per i due giorni successivi ad un collega piuttosto che al controllore, come prescritto dalle disposizioni aziendali, nonché, in altra circostanza, il 9 ottobre 2007, nell'aver comunicato la propria assenza con anticipo di 5 ore e 18 minuti piuttosto che con anticipo di 6 ore come prescritto dalle disposizioni aziendali. Quanto all'addebito inerente al licenziamento, al lavoratore era contestata l'irreperibilità alla visita medica di controllo intervenuta in ragione dell'assenza dal lavoro, in costanza di precedenti disciplinari significativi dell'utilizzo ritorsivo dello stato di malattia in seguito a diniego di ferie non programmate.

2. Rilevava la Corte, quanto alle sanzioni, che erano infondati gli addebiti contestati con riferimento agli episodi del 4 agosto 2007 e del 9 ottobre 2007, il primo perché, pur avendo il lavoratore comunicato inizialmente la propria assenza per i due giorni successivi a un collega piuttosto che al controllore, come prescritto dalle disposizioni aziendali, lo stesso aveva poi avvisato anche quest'ultimo; il secondo perché l'avere informato il controllore dell'assenza con un anticipo di poco inferiore a quello prescritto dalle disposizioni aziendali non integrava violazione di gravità tale da giustificare la sanzione della sospensione, avuto riguardo allo scopo della disposizione di consentire all'azienda una tempestiva riorganizzazione del servizio. Quanto al licenziamento, osservava che doveva escludersi, sulla base delle risultanze istruttorie, l'addebito di ingiustificata assenza, nonché l'intento di eludere la visita di controllo, né poteva tenersi conto, se non ai fini del giudizio complessivo di adeguatezza della sanzione, degli altri precedenti disciplinari, riferibili a un periodo anteriore al biennio.

3. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione la società con un sei motivi. Il B. resiste con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione di legge con riferimento all'art. 2104, 2105, 2106, 2094 c.c., nonché al CCNL di settore. Violazione di legge in relazione all'art. 360 comma 1 n. 3 e 5 c.p.c. Difetto di motivazione. Evidenzia che la sanzione comminata in relazione all'episodio del 4 agosto 2007 è conforme ai principi dettati dall'art. 2106 c.c.; risultando sussistente e consumato l'illecito, nonché la piena proporzione tra fatto contestato e sanzione irrogata.

1.2. La censura, al di là dell'enunciazione contenuta in rubrica, concerne la rivalutazione delle risultanze istruttorie piuttosto che l'interpretazione del contratto, con operazione non consentita perché sottopone alla Corte di legittimità questioni di mero fatto atte a indurre a un preteso nuovo giudizio di merito precluso in questa sede (v. Sez. 5, Sentenza n. 25332 del 28/11/2014, Rv. 633335). Quanto al profilo di censura concernente il difetto di motivazione, si evidenzia che non risultano denunciati vizi sussumibili nell'ambito dei limiti della doglianza, come enunciati dalle Sezioni Unite di questa Corte in relazione alla nuova formulazione dell'art. 360 c.p.c., risultante a seguito dell'intervento della I. n. 134/2012, vigente ratione temporis ("La riformulazione dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 delle preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione.

Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione" (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione di legge con riferimento all'art. 2104, 2105, 2106, 2094 c.c., nonché al CCNL di settore. Violazione art. 112 c.p.c. Art. 360 comma 1 n. 3 e 5 c.p.c. Difetto ed omessa motivazione su fatti rilevanti. Contesta l'interpretazione delle norme, dei contratti e dei principi di diritto operata dalla Corte d'appello con riferimento all'episodio del 9 ottobre 2007. Osserva che la circostanza (peraltro neppure rilevata dalla Corte territoriale) che il B. avesse precedentemente richiesto un giorno di permesso in coincidenza con il giorno di malattia, unitamente alla tardiva comunicazione della malattia medesima, integrava gli estremi della condotta disciplinarmente rilevante, meritevole di sanzione.

1.2. Anche la seconda censura va disattesa. Difettano, infatti, le allegazioni riguardo alla circostanza che la richiesta di malattia fosse stata preceduta dalla domanda di permesso e che ciò avesse fatto parte, e in quali termini, della contestazione e dell'esame da parte dei giudici di merito; mancano, altresì, le indicazioni per il reperimento nel fascicolo dei documenti dai quali evincere che la questione sollevata in sede di ricorso per cassazione fosse stata già prospettata nelle fasi di merito. Tanto rende la censura inammissibile anche per quanto attiene alla contestazione relativa alla violazione dell'art. 112 c.p.c., in mancanza di cenno alcuno alla questione prospettata nella sentenza impugnata. E' onere della parte ricorrente, infatti, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l'avvenuta deduzione delle questioni discusse innanzi al giudice di merito, ma, anche, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare "ex actis" la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Sez. 1, Sentenza n. 23675 del 18/10/2013, Rv. 627975). E' noto, infatti, che "nel giudizio di cassazione, che ha per oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo ed alle questioni di diritto proposte, non sono proponibili nuove questioni di diritto o temi di contestazione diversi da quelli dedotti nel giudizio di merito, a meno che si tratti di questioni rilevabili di ufficio o, nell'ambito delle questioni trattate, di nuovi profili di diritto compresi nel dibattito e fondati sugli stessi elementi di fatto dedotti" (sul punto Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4787 del 26/03/2012, Rv. 621718). In ordine, poi, alla censura attinente al vizio di motivazione valgono le argomentazioni già svolte sub 1.2.

3. La società deduce, ancora, violazione e falsa applicazione della legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 7 nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 2104, 2105, 1375, 1175 c.c. nonché dell'art. 2119 c.c. Insufficiente motivazione.

Art. 360 c. 1 n. 3 e 5 c.p.c. Rileva che la Corte d'appello omette la valutazione globale dei fatti, specificamente con riferimento all'avvenuta compromissione dell'elemento fiduciario, limitandosi alla constatazione dell'effettività dello stato di malattia. Osserva che al B. erano stati mossi duplici rilievi: sotto il profilo dell'uso sistematico della malattia in occasione di permessi per ferie non programmate e sotto il profilo dell'assenza alla visita medico fiscale. Deduce che la gravità dei fatti addebitati, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono commessi ed all'intensità dell'elemento intenzionale, avrebbe dovuto indurre la Corte a Diversa soluzione.

4. Deduce, altresì, violazione e falsa applicazione di legge con riferimento all'art. 112 c.p.c., nonché art. 2119 c.c. Insufficiente motivazione Omesso esame di fatti decisivi. Art. 360 c. 1, 3 e 5 c.p.c., Osserva che il fatto, evidenziato dalla Corte, che l'assenza possa ritenersi giustificata è ininfluente, poiché ciò che rileva è la reiterazione dei comportamenti negativi del B. legati all'uso ritorsivo dello stato di malattia.

5. La ricorrente lamenta, altresì, violazione e falsa applicazione di legge con riferimento all'art. 112 c.p.c. nonché art. 2119 c.c. Insufficiente motivazione. Omesso esame di fatti decisivi. Art. 360 c. 1 n. 3 e 5 c.p.c.Rileva che l'errata interpretazione e valutazione dei fatti contestati, l'omessa disamina del globale comportamento, della molteplicità delle contestazioni e dei fatti interni alle singole contestazioni ha condotto a una decisione contraria ai principi e alle norme di diritto.

6. Con l'ultimo motivo di doglianza la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione di legge (art. 7 I. n. 300/1970) nonché dell'art. 2119 c.c. Insufficiente motivazione. Omesso esame di fatti decisivi. Art. 360 c. 1, 3 e 5. Rileva che l'art. 7 I. n. 300/1970 pone un limite temporale alla rilevanza della recidiva e che, nondimeno, la disposizione dell'ultimo comma non impedisce di tener conto di condotte pregresse addebitabili al lavoratore al fine di una valutazione anche sotto il profilo psicologico della gravità delle inadempienze. Evidenzia che nel caso di specie la gran parte delle contestazioni antecedenti al biennio attengono al mancato rispetto delle modalità di comunicazione dell'assenza per malattia. Di conseguenza la sanzione del licenziamento non può dirsi sproporzionata alle mancanze addebitate al lavoratore.

6.2. Le censure possono essere trattate unitariamente perché tutte relative a questioni attinenti al licenziamento, al contrario dei primi due motivi, attinenti alle altre violazioni disciplinari. Le stesse non meritano accoglimento. Invero la Corte territoriale ha dato conto della valutazione di tutte le circostanze del caso, compresi i precedenti disciplinari, concludendo, all'esito di un giudizio globale, nel senso della sproporzione della sanzione. Va ricordato in proposito che, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità sul punto "il giudizio di proporzionalità tra licenziamento disciplinare e addebito contestato è devoluto al giudice di merito, la cui valutazione non è censurabile in sede di legittimità, ove sorretta da motivazione sufficiente e non contraddittoria. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto adeguatamente motivata la sentenza del giudice di merito che aveva ritenuto proporzionato il licenziamento inflitto da un istituto di credito a un direttore di filiale, il quale reiteratamente aveva concesso aperture di credito per importi ingenti, senza congrua istruttoria, in favore di soggetti mai prima "affidati" e privi di apprezzabili garanzie)" (Sez. L, Sentenza n. 8293 del 25/05/2012, Rv. 622664). In ordine alla prospettazione della violazione dell'art. 112 vanno richiamate le notazioni in tema di carenza di allegazione già illustrate sub 1.2. Quanto ai profili attinenti al vizio motivazionale, vale ricordare che, come enunciato nella trattazione dei precedenti motivi, il sindacato sulla motivazione incorre nei limiti segnati dalla nuova formulazione dell'art. 360 n. 5 c.p.c. In proposito, secondo l'insegnamento delle Sezioni Unite (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831), il nuovo testo dell'art. 360 c.p.c., n. 5), introduce nell'ordinamento un vizio specifico che concerne l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che l'omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se, come nella specie, i fatti storici rilevanti in causa siano stati comunque presi in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. Difetta, invece, l'allegazione ad opera di parte ricorrente, nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e all'art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), dei "fatti storici", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui ne risulti l'esistenza, il "come" e il "quando" (nel quadro processuale) tali fatti siano stati oggetto di discussione tra le parti, e la "decisività" medesimi fatti. Sostanzialmente le censure mirano a proporre una rivalutazione del merito non consentita in questa sede.

7. In base alle svolte argomentazioni il ricorso va integralmente rigettato. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi € 5.100,00, di cui € 100,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.