Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 19 aprile 2017, n. 9874

Rapporto di lavoro - Malattia - Astensione dal lavoro - Inidoneità al lavoro - Riammissione in servizio - Mansioni compatibili con lo stato di salute

 

Fatti di causa

 

M. T. C. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Catanzaro il Centro F. s.r.l. ed esponeva di aver lavorato alle dipendenze della società dal 13/7/2002 con mansioni e qualifica di ausiliaria 5° livello del c.c.n.I. Case di Cura Private personale non medico; deduceva, quindi, che in data 22/8/2006 era stata colpita da grave malattia cui era conseguita l'astensione dal lavoro fino al 30/6/2010; che la competente commissione medica della Azienda Sanitaria Locale, cui la parte datoriale aveva fatto istanza, con provvedimento 4/12/2009, verificava la permanente inidoneità al lavoro in relazione alle mansioni ascrittele; che, a seguito di istanza di riammissione in servizio, del 28/11/2010, la società aveva comunicato che le sole mansioni disponibili erano quelle di ausiliaria per le quali era stata dichiarata permanentemente inidonea; che in data 26/1/2011 era stata recapitata lettera di licenziamento. Sulla scorta di tali premesse in fatto, la ricorrente chiedeva dichiararsi l'illegittimità della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione dalla data di cessazione della malattia e l'illegittimità del licenziamento intimatole, non avendo la parte datoriale verificato la possibilità di adibirla a mansioni equivalenti o anche inferiori, compatibili con il proprio stato di salute.

Si costituiva la società che instava per la reiezione delle domande.

Il Tribunale adito accoglieva il ricorso e dichiarava illegittimo il licenziamento, applicando gli effetti reintegratori sanciti dall'art. 18 l. 300/70 e limitando il risarcimento del danno alle sole retribuzioni maturate a far tempo dall'agosto 2011.

Detta pronuncia veniva riformata dalla Corte d'Appello di Catanzaro che rigettava il ricorso compensando fra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

A fondamento del decisum, ed in estrema sintesi, la Corte distrettuale osservava che il giudice di prima istanza aveva modulato la propria decisione su circostanza che non era stata oggetto di allegazione da parte ricorrente (consistita nell'accertamento, in data 22/1/2009, dello stato di totale inabilità al lavoro conseguita dalla C. all'esito del procedimento per il riconoscimento dei benefici dovuti agli invalidi civili).

Il giudice dell'impugnazione osservava, quindi, che l'iter argomentativo che sorreggeva l'impugnata sentenza, concretava una violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato, e che il quadro probatorio delineato palesava l'evidenza che al momento del licenziamento non era disponibile alcun posto in organico per mansioni equivalenti alla qualifica rivestita dalla ricorrente, né ad una inferiore, giacché il 5° livello contrattuale a lei ascritto, costituiva l'ultimo livello previsto dalla contrattazione collettiva di settore.

La cassazione di tale pronuncia è domandata dalla lavoratrice sulla base di unico articolato motivo.

Resiste con controricorso la società intimata.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con unico motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all'art. 360 comma primo nn. 3 e 4 c.p.c.

Stigmatizza la sentenza impugnata per avere erroneamente ritenuto vulnerato il principio della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato sancito dall'art. 112 c.p.c., giacché, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, la disposizione non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, ovvero in base ad una norma giuridica diversa da quella invocata, purché non si basi su elementi di fatto non ritualmente acquisiti in giudizio o non comporti l'attribuzione di un bene non richiesto, situazione questa, non ravvisabile nella specie.

Critica altresì la pronuncia impugnata per aver ritenuto che "la qualifica più bassa rivestita dai lavoratori alle proprie dipendenze all'epoca, del licenziamento è quella corrispondente al 5° livello contrattuale, cioè la qualifica della C.". Osserva, per contro, che il c.c.n.I. applicabile (UNEBA) prevedeva ulteriori livelli 6° e 7° nei quali poteva essere utilmente collocata, considerato altresì che il servizio lavanderia i cui dipendenti erano inquadrati nel 5° livello, era stato esternalizzato in epoca successiva al licenziamento.

2. Il motivo è privo di pregio.

Anzitutto, preme rilevare che sussistono profili di inammissibilità oltre che di improcedibilità del ricorso limitatamente alla parte in cui le ragioni di doglianza si basano sulla dedotta violazione delle summenzionate norme collettive.

Si è, infatti, statuito (Cass. 26/9/2016 n.18866, Cass. 4/3/2015 n. 4350) che "nel giudizio di cassazione, l'onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi - imposto, a pena di improcedibilità del ricorso, dall'art. 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., nella formulazione di cui al d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 - può dirsi soddisfatto solo con la produzione del testo integrale del contratto collettivo, adempimento rispondente alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione; né, a tal fine, può considerarsi sufficiente il mero richiamo, in calce al ricorso, all'intero fascicolo di parte del giudizio di merito, ove manchi una puntuale indicazione del documento nell'elenco degli atti."

In ogni caso si è anche chiarito (Cass. Sez. Lav. 11.1.2016 n. 195) che "in tema di giudizio per cassazione, l'onere del ricorrente, di cui all'art. 369, comma 2, n. 4, c.p.c., come modificato dall'art. 7 del d.lgs. n. 40 del 2006, di produrre, a pena di improcedibilità del ricorso, "gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda" è soddisfatto, sulla base del principio di strumentalità delle forme processuali, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, anche mediante la produzione del fascicolo nel quale essi siano contenuti e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo d'ufficio, mediante il deposito della richiesta di trasmissione presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, munita di visto ai sensi dell'art. 369, comma 3, c.p.c., ferma, in ogni caso, l'esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex art. 366, n. 6, c.p.c., degli atti, dei documenti e dei dati necessari al reperimento degli stessi." (conf. a Cass. Sez. Un. 3.11.2011 n. 22726).

Nello specifico la ricorrente non ha fornito gli elementi necessari al reperimento del contratto, non risultante dall'indice di produzione, né dal contesto del ricorso dal quale non è evincibile una rituale produzione in forma integrale delle disposizioni contrattuali collettive, di guisa che il motivo non si sottrae ad un giudizio di improcedibilità secondo i summenzionati principi.

3. Sotto altro versante, ed anche al di là di ogni considerazione in ordine alla ritualità della dedotta violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato, proposta promiscuamente ai sensi dell'art. 360 comma primo n. 3 e n.4 c.p.c., va rimarcato che in applicazione del principio processuale della " ragione più liquida" desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost. (secondo cui deve ritenersi consentito al giudice esaminare un motivo di merito, suscettibile di assicurare la definizione del giudizio, anche in presenza di una questione pregiudiziale come affermato da Cass. S.U. 8/5/2014 n. 9936 e numerose altre), può essere esaminata con priorità la doglianza riferita alla erronea lettura dell'organigramma aziendale da parte del giudice dell'impugnazione.

4. Il motivo è privo di pregio.

Non può sottacersi che la ricorrente intende pervenire ad una rivisitazione degli approdi ai quali è addivenuta la Corte di distrettuale nell'esaminare il materiale probatorio acquisito in atti, con approccio non consentito nella presente sede, essendo stata l'indagine condotta secondo criteri che esulano dalla assoluta omissione o dalla mera apparenza che avrebbero giustificato l'esercizio di un sindacato in sede di legittimità.

Il giudice dell'impugnazione ha infatti proceduto allo scrutinio delle deposizioni testimoniali raccolte pervenendo alla conclusione che all'epoca del licenziamento, non sussisteva la disponibilità di alcun posto in organico per mansioni compatibili con la qualifica di ausiliario di 5° livello posseduta dalia ricorrente, o anche inferiori. Ha rimarcato, quindi, la uniformità delle dichiarazioni testimoniali rese in ordine alla insussistenza di posti in organico di posti di guardarobiera, centralinista, addetta al ricevimento cuoca, lavanderia, con apprezzamento che, congruo e completo per quanto sinora detto, resiste alla censura all'esame.

5. In definitiva alla stregua delle superiori argomentazioni, il ricorso va respinto.

Consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio nella misura in dispositivo liquidata.

Infine si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater d.p.r. n. 115 del 2002, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 4.000,00 per compensi professionali oltre spese generali al 15%, ed accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.