Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 12 gennaio 2017, n. 619

Destituzione dal servizio - Svolgimento di lavoro durante assenza per infortunio - Pregiudizio guarigione - Violazione principi correttezza e buona fede

 

Svolgimento del processo

 

Con sentenza in data 21/1/2014 la Corte di appello di Trieste confermava la decisione di primo grado non definitiva n.432/2011 con cui era stata dichiarata l'illegittimità della destituzione dal servizio disposta dalla s.p.a. T. T. nei confronti - S. P. ex art. 45 r.d. n.148/31 e quella definitiva n.310/2012, con cui la società era stata condannata al pagamento delle consequenziali differenze retributive.

Osservava in sintesi la Corte territoriale che la lettera di contestazione degli addebiti mossi al lavoratore concerneva esclusivamente la circostanza dello svolgimento di lavori edili in un appartamento, nei giorni 23 e 24 ottobre 2008, per i quali il medico Inail aveva rilasciato certificazione di inabilità al lavoro a seguito di infortunio occorsogli in data 7/12/2007. Detto comportamento era stato riguardato dalla società come idoneo a ritardare e pregiudicare la guarigione, vulnerando i doveri di correttezza e buona fede sottesi al rapporto di lavoro.

La Corte di merito argomentava, peraltro, che tale condotta non rientrava in alcuna delle ipotesi regolate dall'art.45 r.d. n.148 del 1931, compresa quella - accreditata dalla società appellante - di simulazione perpetrata al fine di recare danno a terzi o per procurare profitto a sé od altri, giacché la simulazione dello stato di malattia non era stata oggetto di preventiva contestazione da parte aziendale.

Avverso tale decisione interpone ricorso per cassazione la T. T. s.p.a. affidato a cinque motivi.

Resiste con controricorso l'intimato.

Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c..

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo si denuncia omessa pronuncia ex art. 360 comma primo n.4 c.p.c. Viene dedotta la nullità della sentenza, in relazione alla mancata statuizione sulla prospettata violazione dei doveri di correttezza e buona fede da parte del lavoratore e sulla conseguente idoneità del comportamento a giustificare l'irrogazione della sanzione disciplinare della destituzione.

La censura è priva di pregio.

2. Affinché si configuri il vizio di omessa pronuncia non basta infatti la mancanza di un'espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto.

Ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l'impostazione logicogiuridica della pronuncia (vedi in tali sensi, fra le tante, Cass. 10/5/2007 n. 10696, Cass. del 4/10/2011 n. 20311 cui adde Cass. 20/9/2013 n. 21613).

Nello specifico, la doglianza formulata dalla società - con la quale si deduceva che il comportamento assunto dal lavoratore tradottosi nell'espletamento di attività in favore di terzi, integrava violazione degli obblighi di correttezza e buona fede sottesi alla obbligazione lavorativa - appare logicamente incompatibile con l'assetto motivazionale che connota la pronuncia impugnata.

3. La Corte ha infatti proceduto allo scrutinio della vicenda sottoposta al suo esame, muovendo dall'interpretazione dell'atto di incolpazione come riferibile non alla dedotta simulazione della malattia da parte del lavoratore, bensì allo svolgimento di attività di lavoro in costanza di essa con esposizione ad aggravamento della malattia. Sotto tale profilo, ha argomentato che la descrizione dei lavori in concreto eseguiti dallo S. nei due giorni oggetto di contestazione, era del tutto "generica e non specifica, come sarebbe stato necessario al fine di valutare la portata di essi con riguardo alla patologia esistente a carico dell'attore"; inoltre era emerso che l'attività di carico e scarico del materiale era stata svolta pacificamente dal lavoratore, unitamente ad un terzo, nel mentre non erano state chiarite le caratteristiche del macchinario usato, né del suo peso, così come di quello degli oggetti spostati, tanto da escludere la possibilità di esprimere una valutazione attendibile circa l'onerosità di dette operazioni ed, in definitiva, "sull'incompatibilità dello stato di salute con il lavoro svolto".

L'esclusione di ogni adeguata dimostrazione circa la fondatezza delle mancanze ascritte al dipendente, comportava, a fortiori, la reiezione della prospettata violazione dei canoni di correttezza e buona fede nell'adempimento delle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro.

La censura, in quanto priva di fondamento, va pertanto respinta.

4. Con il secondo mezzo di impugnazione, la ricorrente denuncia violazione dell'art. 7 l. 300/70 ex art. 360 comma primo n.3 c.p.c..

Si duole che la Corte distrettuale abbia ritenuto non oggetto di contestazione la simulazione dello stato di malattia, assumendo a fondamento del decisum, una nozione di specificità della contestazione che non trova riscontro nella giurisprudenza di legittimità secondo cui detto requisito deve riguardare solo elementi, dati ed aspetti essenziali dei fatti materiali e non i profili di illiceità della condotta, né deve rispondere a rigidi canoni formali.

5. La censura è infondata.

Va premesso che, come statuito in numerosi arresti di questa Corte, in virtù della forza espansiva di cui sono dotate, le disposizioni di cui all'art. 18 della legge 20 maggio 1970 n. 300 si applicano a tutte le ipotesi di invalidità del recesso del datore di lavoro, qualora non assoggettate ad una diversa e specifica disciplina e, quindi, anche al licenziamento degli autoferrotranvieri invalido per inosservanza delle norme di cui ai primi tre commi dell'art. 7 della suddetta legge, non essendo a ciò di ostacolo la speciale disciplina della destituzione, di cui all'art. 45 del r.d. n. 148 del 1931 (Cass. 10/7/2012 n. 11547, Cass. S.U. 27/7/2016 n.15540).

Nell'ottica descritta, va rimarcato come il comma secondo dell'art. 7 l. 300/70 preveda che l'adozione del provvedimento disciplinare sia preceduta dalla contestazione dell'addebito (oltre che dalla audizione dell'interessato a sua difesa), conferendo in tal modo certezza ed immutabilità al contenuto della infrazione, scopo primario della contestazione. Valorizzando la ratio che la sorregge, i requisiti fondamentali della contestazione - la cui violazione vizia il procedimento disciplinare determinando la nullità del provvedimento sanzionatone irrogato - sono stati dalla dottrina e dalla giurisprudenza di legittimità, individuati nella specificità, immediatezza ed immutabilità, n. r.g. 18942/2014.

6. Detti requisiti sono volti a garantire il diritto di difesa del lavoratore incolpato, diritto che sarebbe compromesso qualora si consentisse al datore di lavoro di intimare il licenziamento in relazione a condotte rispetto alle quali il dipendente non è stato messo in condizione di discolparsi, perché non adeguatamente definite nelle loro modalità essenziali, ed essere così esattamente individuabili; perché non tempestivamente contestate; perché diverse dalle condotte oggetto della iniziale contestazione.

Come affermato da questa Corte (cfr., Cass. 13/8/2012 n. 14451, Cass. 30/12/2009 n.27842), in tema di licenziamento disciplinare, l'esigenza della specificità della contestazione, prescritta dall'art. 7 della legge n.300 del 1970, non si ispira ad uno schema precostituito e ad una regola assoluta e astratta, ma si modella in relazione ai principi di correttezza che informano un rapporto interpersonale che già esiste tra le parti, ed è funzionalmente e teleologicamente finalizzata alla esclusiva soddisfazione dell'interesse dell'incolpato ad esercitare pienamente il diritto di difesa.

Ciò, tuttavia, non esclude, ma implica che la contestazione inviata al lavoratore, pur senza essere analitica, deve contenere la esposizione dei dati e degli aspetti essenziali del fatto materiale posto a base del licenziamento, restando la verifica della sussistenza dei requisito anzidetto rimessa al giudice del merito, il cui apprezzamento, se congruamente e correttamente motivato, è incensurabile in sede di legittimità (vedi Cass. 8/4/2016 n. 6898).

Orbene, la statuizione della Corte di merito è coerente con detti principi, perché con motivazione esente da vizi logici, ha proceduto alla disamina della lettera di incolpazione, pervenendo alla conclusione che la stessa recasse contestazione solo dello svolgimento di attività di lavoro in stato di malattia ma non di simulazione della stessa, situazione questa, espressamente contemplata dall'art. 45 n.2 r.d. n.148 del 1931. Onde resiste alla censura all'esame.

7. Con il terzo motivo è denunciato l'omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione fra le parti ex art. 360 comma primo n. 5 c.p.c.. Si lamenta l'errato scrutinio del materiale istruttorio acquisito agli atti da cui emergeva, diversamente da quanto argomentato dalla Corte distrettuale, che il ricorrente, nella attività di lavoro espletata in costanza di malattia, non aveva fruito della collaborazione di terzi.

8. La censura presenta profili di inammissibilità non essendo rispettosa dei dettami sanciti dall'art. 360 n.5, come novellato dal d.l. 22/6/12 n. 83 conv. in l. 7/8/12 n.134, applicabile alla fattispecie ratione temporis.

Nella interpretazione resa dai recenti arresti delle sezioni unite di questa Corte, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 delle preleggi (vedi Cass. S.U. 7/4/2014 n.8053), la disposizione va letta in un'ottica di riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione.

Scompare, quindi, nella condivisibile opinione espressa dalla Corte, il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta quello sull'esistenza (sotto il profilo dell'assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell'illogicità manifesta) della motivazione, ossia con riferimento a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata.

Il controllo previsto dal nuovo n. 5) dell'art. 360 cod. proc. civ. concerne, quindi, l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo.

L'omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l'omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti.

Applicando i suddetti principi alla fattispecie qui scrutinata, non può prescindersi dal rilievo che tramite la articolata censura, la parte ricorrente sollecita un'inammissibile rivalutazione dei dati istruttori acquisiti in giudizio, esaustivamente esaminate dalla Corte territoriale per quanto innanzi detto, auspicandone un'interpretazione a sé più favorevole, non ammissibile nella presente sede di legittimità.

9. Con il quarto motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell'art. 45 all. A r.d. 148/1931 in relazione all'art. 360 comma primo n.3 c.p.c. nonché l'omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione fra le parti ex art. 360 comma primo n.5 c.p.c..

Si deduce, in sintesi, che, non essendo necessario contestare preventivamente e specificamente la simulazione dello stato di malattia, il giudice dell'impugnazione avrebbe dovuto valutare se ricorresse specificamente l'ipotesi contemplata dall'art. 45 all. A n.2 r.d. 148/1931 che legittimava la destituzione dall'impiego.

10. Il motivo è infondato.

Il giudice dell'impugnazione ha ritenuto, con motivazione congrua ed immune da censure, che l'atto di incolpazione non recasse una specifica contestazione della mancanza che la società intende invece, far valere, come riconducibile alla simulazione dello stato di malattia. Lo scrutinio della lettera in data 12/11/2008 resta riservata alla valutazione del giudice di merito se, come nella specie, si presenti condotta secondo canoni di logicità e coerenza.

La statuizione con la quale la Corte ha proceduto, poi, alla analitica disamina delle disposizioni che definiscono lo speciale corpus normativo e disciplinano la sanzione della destituzione dal servizio, concludendo nel senso della insussistenza di una specifica disposizione che comminasse, in relazione alla mancanza contestata, la destituzione dal servizio, si palesa del tutto consequenziale rispetto alla premessa logico-giuridica innanzi enunciata, così sottraendosi alla censura all'esame.

11. Le considerazioni sinora svolte, si presentano, infine, assorbenti rispetto alle doglianze formulate con la quinta censura con cui si è dedotta la nullità della sentenza ex art. 360 comma primo n. 4 c.p.c. per violazione dell'obbligo di motivazione sancito dall'art. 132 secondo comma n.4 c.p.c. ed art. 111 Cost., con riferimento alle prescrizioni di cui all'art. 45 n.6 r.d. n.148 del 1931, che commina la sanzione della destituzione dal servizio per chi si renda indegno della pubblica stima, avendo compiuto azioni disonorevoli ed immorali.

In definitiva, sotto tutti i profili delineati, il ricorso si palesa destituito di fondamento.

Il governo delle spese del presente giudizio segue il principio della soccombenza nella misura in dispositivo liquidata.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida euro 100,00 per esborsi ed in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater d.p.r. n.115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.