Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 30 settembre 2016, n. 19555

Licenziamento - Superamento del periodo di comporto - Disturbi psicologici - Condizione di lavoro - Accertamento

 

Svolgimento del processo

 

La Corte di appello di Ancona con sentenza del 19.3.2015 rigettava il reclamo proposto da N.V. avverso la sentenza del Tribunale di Ancona del 16.7.2014 che aveva rigettato la domanda di dichiarazione di illegittimità del licenziamento intimatogli dal datore di lavoro U.C.I. A. srl per superamento del periodo di comporto. La Corte territoriale osservava che il reclamo era ammissibile posto che erano chiare le ragioni di impugnazione della decisione del Tribunale; secondo l'appellante le malattie sofferte erano ascrivibili alla condotta dei datori di lavoro (prima la G. srl e poi la U.C.l. A. srl succedutesi nella proprietà dell'azienda cinematografica nella quale aveva svolto le mansioni di fatto di direttore di stabilimento) che l'avevano gravemente demansionato e che avevano esercitato al suoi danni atti di vero e proprio mobbing. La Corte territoriale alla luce della rinnovata consulenza tecnica rilevava che doveva escludersi l'insorgenza, in qualsiasi epoca, di un disturbo psicopatologico. La relazione dello psichiatra del lavoratore e il suo racconto non consentivano di precisare i tempi d'insorgenza del disturbo denunciato (condizione depressiva-ansiosa), né le sue cause, né di spiegare il nesso con la situazione lavorativa, pur difficile. L'assenza di precedenti disturbi psicologici non poteva provare da sola che il lavoratore avesse reagito alla condizione di lavoro che ne avrebbe determinato una "reattività emotiva" prima non riscontata. Inoltre non era stata offerta alcuna giustificazione della scomparsa della sintomatologia allegata.

Per la cassazione di tale decisione propone ricorso il N. con quattro motivi corredati da memoria; resiste controparte con controricorso, corredato da memoria ex art. 378 c.p.c.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo si allega la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. La Corte di appello non aveva risposto al motivo di reclamo con cui si era dedotto che non era stato indicato il numero di assenze, né allegato alcun prospetto relativo.

Il motivo è inammissibile in primo luogo perché l'omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. su un motivo di appello va prospettata alla luce dell'art. 360 n. 4 c.p.c. e non come violazione di legge ex art. 360 n. 3 c.p.c. per giurisprudenza consolidata di questa Corte (cfr. cass. n. 22747/2014; cass. S.U. n. 17931/2013 e moltissime altre). In secondo luogo nel motivo non si ricostruisce in specifico il motivo proposto in sede di appello concernente la mancata indicazione del numero di assenze o prodotto un prospetto relativo alle stesse. Non basta infatti allegare, e comunque non nel motivo pertinente avendone parte ricorrente fatto solo cenno nelle premesse " storiche" del ricorso, di avere anche in appello trattato la questione ma occorre dimostrare e documentare nel ricorso che si era proposto uno specifico motivo di impugnazione correttamente formulato non essendo I Giudici di appello costretti ad esaminare doglianze non correttamente e specificamente prospettate. Dalla sentenza impugnata (pag. 2) il motivo di appello qui in discorso non risulta avanzato.

Con il secondo motivo si allega la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. con riferimento alle note autorizzate del ricorrente sulla CTU medico-legale. Erano state dal CTU travisate le dichiarazioni del ricorrente ed il consulente non si era attenuto al quesito.

Il motivo appare inammissibile in quanto il ricorrente non ha prodotto né riprodotto il contenuto delle note critiche di cui si parla né ricostruito integralmente i passaggi della consulenza tecnica che sarebbero stati puntualmente contestati dalle dette note. In ogni caso non costituisce violazione dell'art. 112 c.p.c. il mancato esame di alcuni rilievi alla consulenza tecnica non controvertendosi su di un'ipotesi di contrasto tra "chiesto e pronunciato".

Con il terzo motivo si allega la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 132 comma 2 e 4 c.p.c. Non erano state adeguatamente esposte le ragioni per cui non si era ritenuto di condividere l'accertamento della sussistenza di un nesso causale tra la malattia sofferta e le condizioni di lavoro.

Il motivo è infondato avendo la Corte di appello dedicato ben 4 pagine della motivazione (pagg. 2, 3, 4, 5) per spiegare le ragioni per cui si è ritenuto di non condividere l'accertamento effettuato dal CTU nominato in primo grado; tali ragioni peraltro vengono totalmente ignorate nel motivo.

Con l'ultimo motivo si allega l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio consistente nelle censure mosse dal sig. N. nelle note autorizzate sulla CTU medico legale. Il quesito non era stato rispettato da parte del consulente nominato in appello.

Il motivo appare inammissibile per quanto già detto in relazione al secondo motivo di ricorso: il ricorrente non ha prodotto né riprodotto integralmente il contenuto delle note critiche di cui si parla né ricostruito i passaggi della consulenza tecnica che sarebbero stati puntualmente contestati dalle dette note. In ogni caso va osservato che da quanto emerge sommariamente al motivo e da quanto risulta dalla sentenza impugnata il CTU di appello non si è affatto allontanato dal quesito posto che ha esaminato a pag. 2 della sentenza quanto accertato dal consulente di primo grado e poi ha esaminato l'opinione del consulente nominato in appello accedendo, motivatamente, a quanto ritenuto da quest'ultimo. Conclusivamente si deve osservare che, comunque, il motivo sviluppa censure di fatto incompatibili con la nuova formulazione dell'art. 360 n. 5 c.p.c. che autorizza a prospettare un vizio di motivazione solo se sia stato omesso "un fatto" determinante per il giudizio e nel caso in esame il " fatto" costituito dalle condizioni di salute del ricorrente e della riconducibilità della malattia psicologica sofferta alle condizioni di lavoro nella sua globalità è stato esaminato (cfr. Cass. S.U. 8053/2014).

Le spese di lite - liquidate come al dispositivo - seguono la soccombenza.

La Corte ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in euro 3.600,00 di cui euro 100,00 per esborsi nonché spese generali al 15% oltre accessori come per legge.

La Corte ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza del presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis, dello stesso articolo 13.