Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 30 settembre 2016, n. 19554

Licenziamento - Dirigente medico - Omessa timbratura del badge di rilevazione delle presenze - Abbandono del posto di lavoro - CCNL - Sanzione conservativa

 

Svolgimento del processo

 

Con la sentenza n. 3161 del 2015, la Corte d'appello di Roma, decidendo in sede di reclamo proposto ai sensi dell'art. 1 comma 58 della L. n. 92 del 2012, in riforma della sentenza del Tribunale della stessa sede, dichiarava illegittimo il licenziamento intimato in data 8/8/2012 dall'Ospedale I. ad A.B., medico dipendente dal 1982, dal 2001 primario responsabile del reparto cardiologia quale dirigente medico di secondo livello; ordinava la reintegrazione del B. nel posto di lavoro e condannava l'Ospedale I. al pagamento in favore dello stesso di un'indennità risarcitoria commisurata a 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dalle scadenze al saldo ed al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento a quello dell'effettiva reintegrazione.

La Corte territoriale premetteva che la contestazione disciplinare del 27 luglio 2012 era relativa a fatti, accertati mediante incarico conferito ad agenzia investigativa, di omessa timbratura del badge di rilevazione delle presenze in uscita ed in entrata durante la pausa pranzo in una serie di giorni lavorativi tra giugno e luglio 2012, qualificati da parte datoriale come abbandono del posto di lavoro e mancato rispetto dell'orario di lavoro giornaliero e settimanale prescritto dal C.C.N.L. (di 38 ore), con conseguente ingiusto profitto consistito nella percezione dell'intera retribuzione nonostante la mancata prestazione dell’attività lavorativa.

Argomentava che le dichiarazioni rese dal medico in sede disciplinare relative all'effettiva assenza dall'Ospedale nelle giornate e negli orari individuati nelle relazioni degli investigatori privati non costituivano confessione con valenza negoziale di accettazione del licenziamento per giusta causa. La condotta in effetti non poteva costituire giusta causa di recesso, in considerazione in primo luogo dell'esistenza di una prassi emersa dalle testimonianze raccolte di una gestione sostanzialistica dell'orario di lavoro, svincolata dal rispetto della timbratura magnetica ed orientata al risultato della gestione del reparto, con disponibilità a prestazioni anche in orari serali, prefestivi e festivi senza registrazione e/o corresponsione di compenso per lavoro straordinario. Aggiungeva che l’articolo 63 del CCNL prevede per l’inosservanza delle disposizioni in tema di orario di lavoro la sanzione disciplinare tra rimprovero verbale multa, e la sospensione dal servizio e dalla retribuzione fino a 10 giorni per assenza ingiustificata dal servizio sino a 10 giorni. Le condotte addebitate potevano quindi essere punite al più con una sanzione conservativa, considerato che la contestazione complessivamente riguardava un' assenza inferiore a 10 giorni. Infine, la sanzione del licenziamento era priva del requisito della proporzionalità, anche in considerazione della natura formale della contestazione, a fronte dell' elevata anzianità di servizio e della responsabilità professionale ed in assenza di precedenti rilievi riguardanti la gestione dell'orario di lavoro ovvero di natura professionale.

Riteneva applicabile la tutela reale prevista dall'articolo 18 comma IV della L.n. 300 del 1970, come modificato dall'art. 1 comma 42 della L. n. 92 del 2012, considerato che il dottor B. è responsabile di struttura semplice e non complessa e che II C.C.N.L. ARIS-ANMIRS chiarisce che al rapporto del dirigenti medici dipendenti degli Ospedali Religiosi classificati si applicano tutte le tutele della legge numero 300 del 1970, ivi compresa quella del posto di lavoro prevista dall'articolo 18.

Per la cassazione della sentenza l'Ospedale I. ha proposto ricorso, affidato a quattro motivi, cui ha resistito con controricorso A.B.

Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.

 

Motivi della decisione

 

1. Come primo motivo di ricorso, l'O.I. deduce "violazione e falsa applicazione degli artt. 2730 c.c. e 2735 c.c., in relazione all'articolo 360 comma uno numero tre c.p.c. ed omesso esame di fatti decisivi per il giudizio in relazione all'articolo 360 comma 1 n. 5 c.p.c., in riferimento alla natura delle giustificazioni a difesa rassegnate nella lettera del 30 luglio 2012 e delle dichiarazioni rese in sede di audizione in data 2/8/2012 dal dott. B., alla loro qualificazione ed alla loro efficacia probatoria".

L’Ospedale israelitico si duole che la Corte territoriale abbia disconosciuto fa natura confessoria delle dichiarazioni contenute nella lettera di giustificazione inoltrata dal B. in data 30 luglio 2012 e rese in sede di audizione personale tenutasi in azienda il 2 agosto 2012. Sostiene che il medico avrebbe ivi riconosciuto di aver posto in essere una condotta non consona ai propri doveri contrattuali, nei fatti confermando l’addebito.

1.1. Il motivo non è fondato.

La Corte territoriale non ha negato che le dichiarazioni del dottor B. valessero a costituire ammissione della condotta contestata, owero dell'assenza dal luogo di lavoro negli orari indicati nella contestazione, senza timbratura in uscita e successivamente in entrata, ma ha negato che le stesse potessero valere come accettazione del licenziamento, dovendosi la condotta contestata comunque valutare oggettivamente nell'ambito complessivo del l'organizzazione del lavoro.

La Corte territoriale si è quindi attenuta al principio affermato da questa Corte, secondo il quale gli effetti dell'affermazione del fatto storico dubbio non possono dipendere dallo stato soggettivo o dalla valutazione che ne fa il confitente, poiché la confessione giudiziale costituisce una dichiarazione di scienza, il cui elemento essenziale è l'affermazione inequivoca in ordine ad un fatto storico dubbio, resa la quale gli effetti che ne derivano sono stabiliti dalla legge; ne consegue che è irrilevante l’indagine sull’intento perseguito dall’autore di essa nel renderla, in quanto non spiega alcuna rilevanza né che l'autore della confessione abbia voluto scientemente costituire una prova, né il fine per il quale ha pronunciato la dichiarazione (v. Cass. n. 18655 del 05/12/2003, v. anche Cass. n. 4608 del 11/04/2000, n. 12145 del 10/08/2002, n. 4204 del 25/03/2002).

2. Come secondo motivo, deduce "omesso esame dei fatti decisivi per il giudizio in relazione all'articolo 360 comma uno n. 5 c.p.c., avuto riguardo a circostanze e fatti obiettivi, acquisiti alla causa mediante prova orale e documentale".

La parte ricorrente si duole del fatto che la Corte territoriale non abbia considerato gli elementi dai quali risultava l'insussistenza di una prassi aziendale che legittimava il B. a non registrare la propria assenza dal luogo di lavoro. Richiama In particolare a conforto di tale affermazione la deposizione dei teste P., che ha confermato il controllo datoriale sulle timbrature e la circostanza che il lavoro straordinario, laddove effettuato, era retribuito a parte. Sostiene che la deposizione della teste L., sulla quale è stata fondata statuizione della Corte d'appello in ordine ad una sostanziale tolleranza del datore di lavoro ad una prassi in forza della quale ai responsabili dei reparti veniva richiesta essenzialmente una prestazione di risultato in termini di gestione del reparto stesso, risulterebbe smentita dall' allegato alla lettera di contestazione disciplinare, contenente le timbrature del badge del dottor B. dal 1 giugno al 10 luglio 2012, dal quale si evince che non è vero che egli si recasse al lavoro sempre presto, né che spesso si trattenesse fino a tardi, né che lavorasse anche di sabato o nei giorni festivi. Lamenta dunque che la Corte non abbia considerato: che la timbratura risultava presupposto necessario per fornire la prova della prestazione svolta e consentire il controllo al datore di lavoro, e ciò anche in presenza di un orario di lavoro flessibile; che la flessibilità dell’orario non escludeva l'esistenza del vincolo dell'orario e dell'obbligo detta sua osservanza, ma ne consentiva solo il posizionamento non rigido nell'arco della giornata; che non timbrando in caso di allontanamento dal posto di lavoro il B. non consentiva neppure al datore di lavoro di venire a conoscenza della propria assenza e quindi di poter avanzare dei rilievi nei confronti del medico. Richiama l'art. 8 del C.C.N.L. ARIS-ANMIRS, secondo il quale l’orario settimanale di servizio è di 38 ore per tutti i dirigenti medici a tempo pieno, e l’ordine di servizio dell'Ospedale n. 2 del 1996 secondo il quale tutto il personale è tenuto a timbrare il proprio tesserino magnetico sia in entrata che in uscita. Argomenta che il fatto che al dottor B. non fosse stato mai mosso alcun rilievo relativo alle sue competenze mediche non valeva ad ingenerare la convinzione che ciò lo esonerasse dal rispetto degli orari e delle timbrature magnetiche.

2.1. Il motivo non è ammissibile in quanto si traduce nella richiesta di riesame dell'intero materiale probatorio, in relazione a circostanze che sono state già valutate dalla Corte territoriale.

Occorre premettere Infatti che al presente giudizio si applica ratione temporis la formulazione dell'art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. introdotta dall'art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, che ha ridotto al "minimo costituzionale" il sindacato di legittimità sulla motivazione, nel senso chiarito dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 8053 del 2014, secondo il quale la lacunosità e la contraddittorietà della motivazione possono essere censurate solo quando il vizio sia talmente grave da ridondare in una sostanziale omissione, né può fondare II motivo In questione l'omesso esame di una risultanza probatoria, quando essa attenga ad una circostanza che è stata comunque valutata dal giudice del merito.

E' però da escludere che nel caso ci si trovi innanzi a una delle indicate patologie estreme dell'apparato argomentativo, che consentono di rimettere in discussione l'operata ricostruzione fattuale, restando quindi fuori dal presente giudizio di legittimità ogni possibile valutazione di maggiore gravità della condotta desunta da una diversa ricostruzione fattuale.

Ed infatti, gli aspetti valorizzati nel ricorso sono stati tutti esaminati dalla Corte d'appello, che ne ha tratto tuttavia conclusioni diverse da quelle patrocinate dal ricorrente, in ordine alla pluriennale gestione "sostanzialistica" dell'orario di lavoro dei responsabili dei reparti, al di fuori ed al di là delle timbrature formali e del rispetto dell'orario di lavoro secondo le previsioni dell'ordine di servizio del 1996 e delle prescrizioni del CCNL, nell'ottica di una prestazione orientata al risultato, in cui i minori oneri formali imposti erano controbilanciati dalla disponibilità a prestazioni anche in orari serali, prefestivi e festivi senza registrazione e/o corresponsione del compenso per lavoro straordinario. Né, a fronte di tale ricostruzione complessiva, non limitata ai periodo in contestazione e che la Corte capitolina desume dall'esito dell'istruttoria, possono richiamarsi singole dissonanti risultanze.

3. Il terzo motivo è epigrafato come "Violazione o falsa applicazione dei C.C.N.L. ARIS- ANMIRS e dell'ordine di servizio del gennaio 1966 in tema di orario di lavoro, in relazione all’articolo 360 comma 1 n. 3 c.p.c.; violazione e falsa applicazione del CCAL l'applicato dall' O.I. in relazione all'articolo 360 numero tre comma uno c.p.c.; omesso esame di fatti decisivi per il giudizio in relazione all'articolo 360 comma uno numero cinque c.p.c., in relazione alla proporzionalità della sanzione espulsiva; nullità della sentenza e del procedimento in relazione all'articolo 360 comma un numero quattro c.p.c.".

li ricorrente lamenta che, a fronte dell'inesistenza di una prassi che autorizzasse la mancata timbratura, la Corte d’appello non abbia valutato il principio espresso da questa Corte secondo il quale l'omessa timbratura del cartellino impedisce il controllo di chi è tenuto alla retribuzione sulla quantità dell'attività lavorativa prestata, sia in vista di un recupero dei periodo di assenza che in vista di una detrazione correlativa dai compenso mensile, cosicché costituisce condotta idonea a trarre in inganno il datore di lavoro e a far conseguire ingiusti profitti; nel caso verrebbe quindi in esame l’articolo 60 del CCAL del 2002/2005 richiamato nel codice disciplinare dell’ospedale, che prevede tra l’altro oltre all'obbligo di rispettare l'orario di lavoro anche quello di adempiere alle formalità previste per la rilevazione delle presenze e non allontanarsi dal luogo di lavoro senza I'autorizzazione del responsabile del servizio, l’articolo uno comma 63 del CCAL 2002/2005 in tema di sanzioni disciplinari, che al comma 7 prevede la sanzione disciplinare del licenziamento senza preavviso per violazione intenzionale dei doveri non ricomprese specificamente alle lettere precedenti, di gravità tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro.

4. Il motivo è infondato, in quanto non coglie la ratio decidendi della Corte territoriale. Nello specifico, infatti, senza affrontare in generale la questione dell'importanza della prescrizione relativa all'obbligo di timbratura, il giudice di merito ha assegnato specifico rilievo alla non conformità a buona fede dell'improvviso mutamento della valutazione aziendale del rispetto dell'orario, da una sostanzialistica ad una formale, senza alcun preavviso e senza alcun richiamo. Tale motivo quindi muove da diversi presupposti fattuali rispetto a quelli adottati nella sentenza gravata, e non è idoneo a smentirne la complessiva valutazione. Eliminata la rilevanza della registrazione con il badge sulla base della valutazione che l'azienda sino al quel momento ne aveva dato, la Corte ha quindi concluso che al più la contestazione poteva avere ad oggetto la mancata prestazione lavorativa per le ore non effettivamente lavorate nel periodo oggetto dell'addebito, correlata nel codice disciplinare alla sola sanzione conservativa, affermazione quest'ultima che non è stata contestata.

4. Come quarto motivo, l'O.I. deduce "Violazione e/o falsa applicazione dell'articolo tre del C.C.N.L. ARIS- ANMIRS applicato al rapporto di lavoro; dell'articolo 18 della L. n. 300 del 1970; dell'articolo 10 della L. n. 604 del 1966 in relazione all'articolo 360 numero tre c.p.c."

Lamenta che la Corte d'appello abbia ritenuto applicabile alla fattispecie l'art. 18 della L. n. 300 del 1970, pur a fronte della natura dirigenziale della posizione del dottor B., ricompresa nel ruolo della dirigenza medica prevista dall'art. 3 del C.C.N.L., cui si applica l'art. 10 della L. n. 604 del 1966, che ha escluso i dirigenti dal campo di applicazione della normativa sui licenziamenti individuali. Rileva che il comma 3 dell’art. 3 del CCNL 1998/2001 richiama, oltre che la L. n. 300 del 1970, anche la L. n. 604 del 1966, il cui art. 10 esclude i dirigenti dall'ambito di applicazione della tutela reale. Aggiunge che l'art. 18 della L.n. 300 del 1970, quale vigente al momento del licenziamento, come modificato dalla L.n. 92 del 2012, si applica anche ai dirigenti soltanto nelle ipotesi di nullità richiamate nel comma uno, che nel caso pacificamente non ricorrono.

4.1 Sulle questioni proposte con II motivo in scrutinio, la giurisprudenza di questa Corte ha da tempo chiarito, con riferimento al quadro legislativo anteriore alle modifiche apportate dalla L. n. 92 del 2012, che la disciplina limitativa del potere di licenziamento di cui alla L. n. 604 del 1966 e L. n. 300 del 1970 non è applicabile, ai sensi della L. n. 604 del 1966, art. 10, neppure ai dirigenti convenzionali, sia che si tratti di dirigenti apicali, che di dirigenti medi o minori (cfr. Cass. sez. un. n. 7880/07), ad eccezione, tuttavia, degli pseudo-dirigenti, vale a dire di coloro che dirigenti non sono, non essendo le mansioni da essi espletate riconducibili in alcun modo alla nozione ordinamentale o contrattuale del dirigente (ex plurimis Cass. 13 dicembre 2010 n. 25145; Cass. 17 gennaio 2011 n. 897, Cass. 23 novembre 2012, n. 20763). Fa tuttavia eccezione a tale principio il caso in cui la tutela reale sia stata prevista, appositamente, in sede di contratto collettivo o individuale, con l'obbligo della reintegrazione in caso di licenziamento illegittimo (Cass. 21-11-2007, n. 24246, n. 5579 del 2012, n. 15700 del 2012).

La Corte territoriale si è attenuta a tali principi, rilevando che tale ultima ipotesi ricorre nel caso in esame, in cui è la stessa contrattazione collettiva che prevede l'applicazione della tutela reale, in tal modo implicitamente qualificando la prestazione di lavoro a tali fini. Ha infatti rilevato che l’art. 3 comma 3 del C.C.N.L. del 1994, la cui continuità di applicazione è ribadita dall'art. 3 comma 3 del C.C.N.L. del 1998, stabilisce che al rapporto dei dirigenti medici della sanità privata, dipendenti degli Ospedali Religiosi classificati, si applicano tutte le tutele della L.n. 300 del 1970, ivi compresa la tutela del posto di lavoro prevista dall'articolo 18 dello statuto del lavoratori.

La censura a tale ratio decidendi come formulata in ricorso è inammissibile: essa si basa sul testo del comma 3 dell'art. 3 del CCNL del 1998, nella parte che viene ivi trascritta e che così dispone: "Fermi restando gli effetti di cui alle norme relative ai conferimento e aita revoca degli incarichi conferiti dopo la firma del presente contratto e per i dirigenti già con rapporto o incarico temporaneo, ai dirigenti medici di II livello in servizio alla firma del presente contratto continuano ad applicarsi le norme di cui alle leggi 604/66 e 300/70 e la prima verifica di cui all'art. 29 verrà effettuata a 10 anni dal nuovo inquadramento; ai soli fini del recesso le stesse norme continuano ad applicarsi ai dirigenti medici a tempo indeterminato e che abbiano superato il periodo di prova in forza alla ratifica del presente contratto". E' evidente tuttavia che per chiarire il significato di tale disposizione, ed in particolare del suo inciso "continuano ad applicarsi", sarebbe stato necessario anche riportare II testo dell'art. 3 comma 3 del CCNL del 1994, richiamato e valorizzato dal Giudice territoriale. Ciò non facendo, il motivo incorre nella violazione dei principi di specificità previsti dall'art.366 c. 1 n. 6 e 369 c. 2 n. 4 c.p.c. (nel testo che risulta a seguito delle modifiche apportate dal D.l.vo n. 40 del 2006, operante ratione temporis) e non è idoneo a censurare l'argomentazione della Corte d'appello, che ha basato la propria soluzione sulla ricostruzione complessiva della volontà delle parti collettive quale risultante dalla concatenazione dei contratti succedutisi nel tempo.

Ne segue che neppure può essere valutata l'ulteriore argomentazione che si incentra sul contenuto del nuovo art. 18 della L. n. 300 del 1970, applicabile ratione temporis, considerato che la contrattazione richiamata dal Giudice territoriale (ed anche dalla parte ricorrente), riferendosi alla disposizione come vigente all'epoca in cui il contratto è stato sottoscritto, avrebbe introdotto un'equiparazione ai fini degli effetti del licenziamento illegittimo dei dirigenti medici dipendenti degli Ospedali Religiosi classificati ai non dirigenti.

5. Segue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come da dispositivo.

Il rigetto integrale del ricorso determina la sussistenza dei presupposti previsti dal primo periodo dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dal comma 17 dell’art. 1 della Legge 24 dicembre 2012, n. 228, per il raddoppio del contributo unificato dovuto per il ricorso stesso.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente ai pagamento delle spese del giudizio, che liquida in € 4.000,00 per compensi professionali, oltre ad € 100,00 per esborsi, rimborso spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.