Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 30 settembre 2016, n. 19561

Dirigenti - Pensione - Riliquidazione - Contributi versati all'INPDAI - Cumulo con precedenti periodi di contribuzione

 

Svolgimento del processo

 

Con la sentenza n. 4232 del 2010 la Corte d'appello di Roma, confermando la sentenza del Tribunale della stessa sede, rigettava la domanda proposta da C. A., C. G. ed altri litisconsorti, volta ad ottenere la condanna dell'INPS (successore ex lege dell’INPDAI) alla riliquidazione delle rispettive pensioni - maturate cumulando periodi di contribuzione versati all'INPDAI con precedenti periodi di contribuzione versati al Fondo di previdenza del personale autoferrotranviario, con esclusione del cd. limite soggettivo applicato dall'Istituto e con l'applicazione del solo limite del 80% della retribuzione media pensionabile.

La Corte d'appello, con la sentenza n, 4232 del 2010, rigettava l'appello ed argomentava che in base all'art. 5 della legge 15 marzo 1973, n. 44 e all’art. 3 del d.m. 7 luglio 1973 i dirigenti iscritti all'INPDAI che possono far valere almeno cinque anni di contribuzione presso tale Istituto e che abbiano periodi di contribuzione a carico di forme di previdenza sostitutive dell'AGO possono ottenere - a domanda - il riconoscimento di tali ultimi contributi "determinati secondo le aliquote vigenti nelle gestioni di provenienza"; occorre tuttavia tenere conto di ciò che è previsto dalla specifica normativa sui trattamenti pensionistici dell'INPDAI, ed in particolare, del secondo comma dell'art. 1 del d.P.R. 8 gennaio 1976, n. 58 che chiarisce che, in caso di ricongiungimento di periodi contributivi ai sensi dell’art. 5 della legge n. 44 del 1973 cit., la pensione calcolata secondo i criteri enunciati in tale normativa "non può comunque superare la pensione massima erogabile dall’INPDAI", in base al primo comma dello stesso articolo I; tale ultima norma dev'essere intesa nel senso che la pensione massima erogabile dall’INPDAI - che rappresenta il "tetto invalicabile" - è quella determinata dalla legislazione vigente al momento del pensionamento, comprensiva delle modifiche apportate nel corso degli anni, e specificamente dal d.m. n. 422 del 1988 e dal d.lgs. n. 181 del 1997, che hanno stabilito coefficienti di rendimento per la retribuzione pensionabile, decrescenti in funzione dell'aumento della relativa entità.

Per la cassazione della sentenza C. A. e C. G. hanno proposto ricorso, affidato ad un unico motivo, illustrato anche con memoria ex art. 378 c.p.c., cui ha resistito l'Inps con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

1. Con l'unico motivo di ricorso, i ricorrenti lamentano violazione dell'art. 10 del d.p.r. 17 agosto 1955, numero 914, come novellato dall'art. 1 del d.p.r. 14 dicembre 1961, numero 1338; falsa applicazione del combinato disposto di cui agli artt. 3, comma due, del d.l. 21 marzo 1988, numero 86 e del d.m. 25/7/1988 numero 422 (attuativo della delega), art. 1, secondo comma, del d.p.r. 8 gennaio 1976, numero 58, con riferimento all'art. 5 della L. 15 marzo 1973, numero 44 (primo e quarto comma); omessa motivazione su un punto decisivo della controversia.

Argomentano che la sentenza avrebbe omesso di dare rilievo al fatto che il diritto a pensione a carico dell'INPDAI è maturato per entrambi i ricorrenti in data precedente all'entrata in vigore del D.M. numero 422 del 1988 (in particolare, il 1/6/87 per C. A. e il 1/12/1985 per C. G.), per cui nei loro confronti la pensione andava determinata senza l'applicazione dei coefficienti di rendimento decrescenti, per fasce di retribuzione pensionabile, che interessa i trattamenti maturati a partire dal 1 gennaio 1988, e con l'applicazione del massimale ricavato applicando alla retribuzione pensionabile il coefficiente dello 0,80%, in applicazione dell'art. 1, comma due, d.p.r. 14 dicembre 1961, numero 1338, che ha così novellato l'articolo 10 del d.p.r. numero 914 del 1955, già modificato dal d.p.r. n. 686 del 1959.

Riferiscono che, quanto al C., la pensione complessiva risultante dalla distinta liquidazione dei periodi INPDAI e Fondo autoferrotranvieri forniva un importo annuo di pensione pari ad € 18.342,78 e che per effetto dei limite dell'80% di cui alla disciplina INPDAI all'epoca vigente l'importo dovuto scendeva ad € 17.148,94, mentre l'istituto aveva posto in pagamento la pensione nel suo importo di € 16.808,34, con il conseguente diritto ad una differenza iniziale di € 340,60.

Quanto al C., la pensione complessiva risultante dalla distinta liquidazione dei periodi INPDAI e Fondo autoferrotranvieri forniva un importo annuo di pensione pari ad € 16.510,42, e che per effetto del limite dell'80% di cui alla disciplina INPDAI all'epoca vigente l'importo dovuto scendeva ad e 16.510,42, mentre l’istituto aveva posto in pagamento la pensione nel suo importo di € 14.794,84, con il conseguente diritto ad una differenza iniziale di € 519,36.

2. La decisione gravata ha fatto applicazione del principio di diritto che è stato sulla materia più volte affermato da questa Corte (Cass., n. 12594 del 2012, ord., n. 9172 del 2010, n. 27801 del 2009, 724 del 2009, 2223 del 2007), e che dev'essere qui confermato.

Si è infatti affermato che, in tema di trasferimento presso l’INPDAI di contribuzione versata presso il Fondo elettrici, previsto dalla L. 15 marzo 1973, n. 44, art. 5, il D.P.R. n. 58 del 1976, art. 1, comma 2 nello stabilire che l'ammontare della pensione, ivi compresa la quota parte conseguente all’esercizio della facoltà L. n. 44 del 1973, ex art. 5, non può essere superiore a quello della pensione massima erogabile dall’ INPDAI ai sensi del comma precedente, ossia secondo il regime generale dell1 INPDAI, contiene un rinvio non recettizio, con la conseguenza che la pensione massima erogabile INPDAI si determina avendo riguardo alla pensione massima INPDAI erogabile al .momento del pensionamento, tenendo conto delle modifiche normative che hanno inciso tempo per tempo sulla sua determinazione.

I ricorrenti lamentano non tanto la correttezza di tale premessa argomentativa, ma le conseguenze che ne avrebbe fatto discendere la Corte di merito non distinguendo la loro posizione da quella degli altri ricorrenti, in relazione al fatto che il loro pensionamento è avvenuto prima del 31.12,1987.

2.1. Il ricorso però risulta inammissibile.

Deve infatti rilevarsi che si è a lungo discusso, anche sotto il profilo della compatibilità costituzionale, sulla disparità di trattamento che si è venuta a creare tra i pensionati INPDAI entrati in quiescenza prima e dopo il 1 gennaio 1988, in quanto solo i secondi hanno usufruito - in base all'art. 3, comma secondo, del D.L. n. 86 del 1988, convertito in legge n. 160 del 1988 - del raddoppio del massimale della retribuzione pensionabile, mentre I primi hanno successivamente conseguito solo una parziale, ancorché sostanziale, perequazione della pensione in base all'art. 4 della legge n. 544 del 1988 e del regolamento attuativo d.P.R. n. 369 del 1988 (v. sulla questione Cass. n. 11081 del 24/08/2000).

Il ricorso tuttavia non chiarisce adeguatamente quali fossero i presupposti della domanda che era stata proposta innanzi al giudice di merito, con riferimento agli elementi di fatto (tra cui l'ammontare della retribuzione pensionabile considerata) dai quali deriverebbe la differenza tra la pensione liquidata così come calcolata dall' INPDAI e la pensione che essi Invece rivendicavano, e di conseguenza l'incidenza concreta negativa sulla loro posizione della soluzione adottata dalla Corte territoriale che si assume errata. Neppure risulta come sia stata determinata la pensione "secondo la disciplina INPDAI all'epoca vigente" nel calcolo i cui risultati sono stati trascritti nel ricorso, né risulta se ed in che modo l'INPDAI, nella liquidazione della pensione agli odierni ricorrenti che è stata avallata dalla Corte territoriale, abbia effettivamente fatto applicazione dei coefficienti di rendimento introdotti con effetto dal 1988.

3. Il ricorso dev'essere quindi dichiarato inammissibile, con la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in complessivi € 4.500,00 per compensi professionali, oltre ad euro 100,00 per esborsi rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.