Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 16 giugno 2017, n. 15006

Tributi erariali diretti - Accertamento delle imposte sui redditi (tributi posteriori alla riforma del 1972) - Accertamenti e controlli - In genere - Accertamento nei confronti di socio accomandante di s.a.s. - Assenza di conti correnti intestati alla società ed al socio accomandatario - Presunzione di cui all’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 - Applicabilità - Ragioni - Onere prova contraria - Spettanza

 

Fatti di causa

 

1. - Con sentenza n. 175/10/2012, depositata il 31 agosto 2012 e non notificata, la Commissione tributaria regionale del Lazio (hinc: «CTR») accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza n. 90/01/2009 della Commissione tributaria provinciale di Viterbo (hinc: «CTP») nei confronti della s. a s. S.S. di F.L. & C. (hinc: «s.a.s.»), del socio accomandatario L.F. e del socio accomandante O.B., condannando «il contribuente» appellato al pagamento delle spese di lite, liquidate in € 1.500,00.

Il giudice di appello premetteva che: a) a séguito di verifiche fiscali e indagini bancarie «sui conti correnti postali» della s. a s. (esercente attività di organizzazione di fiere di antiquariato) e dei suoi soci F. e B., l’ufficio di Viterbo dell’Agenzia delle entrate aveva accertato ricavi non dichiarati per il 2004 di € 65.739,29, in quanto la s. a s. e l’accomandatario F. non erano titolari di conti correnti bancari o postali, mentre l’accomandante B., che era intestatario di due conti correnti, di cui uno con la moglie, non era riuscito a giustificare tutti i movimenti bancari; b) i contribuenti avevano impugnato gli avvisi in quanto non motivati e non sostenuti da indizi gravi, precisi e concordanti; c) la CTP aveva accolto il ricorso ritenendo non provata l’attività di cogestione sociale da parte del socio accomandante B.; d) l’Agenzia delle entrate aveva proposto appello, cui avevano resistito i contribuenti.

Su queste premesse, la CTR motivava l’accoglimento dell’appello con i seguenti rilievi: a) in sede di accertamento dei ricavi non dichiarati, non aveva alcuna importanza che il B. non avesse potere gestorio della società e che fosse socio accomandante con una quota partecipativa minore dell’altro socio, e ciò perché era notorio che spesso alcuni imprenditori, a scopo elusivo o evasivo, intestassero conti correnti bancari a soggetti privi di poteri gestionali o a familiari estranei alla compagine sociale; b) poiché la s. a s. e l’accomandatario F. non erano titolari di conti correnti bancari o postali, doveva presumersi che le operazioni sociali trovassero rispondenza nei conti correnti bancari dell’accomandante (quale unico intestatario o quale cointestatario con la moglie; c) i contribuenti non avevano fornito la specifica prova (di cui erano onerati) che detti conti correnti non erano riferibili alla società; d) in particolare, il B. non aveva «contestato la riferibilità dei conti correnti e delle relative operazioni» e non aveva fornito prova liberatoria, ma si era limitato ad addurre affermazioni generiche, non documentate, non provate e non idonee a superare (in tutto o in parte) le presunzioni derivanti dal controllo bancario; e) i soci non avevano fornito la prova che i ricavi non contabilizzati erano stati accantonati o reinvestiti.

2. - La s. a s. ed i suoi due soci, dichiarando un valore della causa di € 39.523,00, impugnavano la sentenza di appello con ricorso notificato all’Agenzia delle entrate il 30 ottobre - 6 novembre 2013 ed affidato a quattro motivi.

3. - L’Agenzia delle entrate resisteva con controricorso notificato il 6 - 18 dicembre 2013.

 

Ragioni della decisione

 

1.- I ricorrenti (la s. a s. ed i suoi due soci) hanno proposto i seguenti quattro motivi di ricorso:

1) in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., denunciano la violazione degli artt. 53, comma 2, 22, comma 2, e 61 del d.lgs. n. 546 del 1992 per il mancato deposito nella segreteria della CTP «di Fresinone» (recte: «di Viterbo», come risulta dal tenore dello stesso motivo, in cui, in seguito, si fa riferimento sempre alla CTP di Viterbo) della copia dell’appello, «mancando negli atti dell’ufficio l’indicazione del deposito della relativa ricevuta di deposito», con conseguente inammissibilità dell’appello stesso, non rilevata dalla CTR, incorsa, perciò, «in un grave error in procedendo», rilevabile anche in sede di legittimità (Cass. n. 24681 del 2006)

2) in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., denunciano la violazione degli artt. 32 del d. P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d. P.R. n. 633 del 1972, perché la presunzione relativa di cui alle norme evocate è applicabile nei confronti del contribuente (cioè della società) e finn finche del terzo B., socio accomandante (con partecipazione del solo 1%), privo di poteri gestori della società, titolare di due conti correnti (di cui uno cointestato con la moglie, signora C.), in ordine ai quali non aveva rilasciato all’altro socio accomandatario F. (avente una quota del 99%) alcuna delega ad operare;

3) in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., denuncia l’insufficiente motivazione sul fatto decisivo della controversia concernente la non riferibilità alla s. a s. delle movimentazioni bancarie dei conti del B. e di sua moglie C., in quanto la CTR, nell’affermare che l’accomandante «non aveva contestato la riferibilità dei conti correnti», non aveva preso in considerazione quanto specificamente dedotto e documentato dai contribuenti sin dai ricorsi introduttivi in primo grado, e cioè che: a) l’attività sociale era esigua e priva di costi (i verificatori avevano riscontrato solo due domande di partecipazione in un anno); b) i locali in cui si esercitava l’attività sociale erano concessi gratuitamente dal Comune di Montefiascone; c) l’accomandante, socio con quota dell’1%, non aveva potere gestorio; d) lo stesso accomandante non aveva rilasciato deleghe alla società o all’accomandatario ad operare sui propri conti correnti; e) il B. aveva una partecipazione al 50% nella s.n.c. B. di B. O. & C., avente ad oggetto attività di ristorazione e dalla quale traeva proventi regolarmente dichiarati (€ 17.025,00 nel 2004, come da prospetto a suo tempo prodotto), tali da giustificare le movimentazioni bancarie.

4) in via subordinata, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., denuncia l’omessa motivazione sul fatto decisivo della controversia concernente la non riferibilità alla s. a s. delle movimentazioni bancarie dei conti del B. e di sua moglie C., in quanto la CTR non aveva indicato in modo adeguato gli elementi dai quali aveva tratto la convinzione che l’accomandante «non aveva contestato la riferibilità dei conti correnti» e non aveva preso in considerazione i fatti dedotti dalle parti ed esposti nel precedente motivo di ricorso.

2 - I motivi di ricorso sono infondati o inammissibili, nei sensi qui di séguito indicati ed il ricorso va,perciò, rigettato.

2.1. - Quanto al primo motivo (con il quale - nonostante il formale richiamo, nella rubrica della censura, dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. - si è inteso lamentare un error in procedendo), è agevole rilevare che, contrariamente a quanto dedotto dai ricorrenti, una copia dell’appello (notificato successivamente al 2 dicembre 2005 e senza il tramite dell’ufficiale giudiziario) risulta tempestivamente depositata, come da ricevuta in atti, nella segreteria della CTP di Viterbo, ai sensi degli artt. 53, comma 2, 22, comma 2 (nella formulazione anteriore all’art. 36 del d.lgs. n. 175 del 2014), e 61 del d.lgs. n. 546 del 1992. Non sussiste, pertanto, la dedotta inammissibilità dell’appello. Non rileva al riguardo che l’appellante non abbia a suo tempo fatto espressa menzione dell’adempimento di tale formalità, risultando comunque detto adempimento dagli atti del giudizio a disposizione degli appellati.

2.2. - Quanto al secondo motivo, l’accertamento bancario nei confronti del socio accomandante B. appare giustificato dalla natura della società (una s.a.s.), dal rapporto sociale tra il B. e la s.a.s. e dall’anomalia costituita dall’assenza di conti correnti intestati alla società od al socio accomandatario. In particolare, la natura commerciale della società ed i suoi rapporti con enti pubblici (specie per la partecipazione a mostre-mercato comunali in tema di antiquariato, come accennato nello stesso ricorso) lasciano fondatamente presumere un utilizzo, da parte della s.a.s., dei due conti correnti bancari formalmente intestati al socio accomandante. In questo quadro, la CTR ha legittimamente fatto ricorso (motivando al riguardo) alla presunzione di effettiva disponibilità, da parte della società, di detti conti correnti del socio accomandante (ancorché uno di essi fosse cointestato alla coniuge del B.).

Non rileva al riguardosa circostanza che il socio accomandante (come tale) non aveva potere gestorio e che non aveva rilasciato alla società o all’accomandatario deleghe ad operare sugli indicati conti correnti: la presunzione (legale relativa) derivante dall’accertamento bancario in questione opera, infatti, nel senso che deve ritenersi che l’accomandante, nella specie, abbia effettuato operazioni bancarie per conto della società, ma economicamente gestite dall’accomandatario, con la conseguenza che i conti sono riferibili alla società (ex plurimis, in tema di società che agisce tramite conti correnti intestati ai soci, Cass. n. 20449 del 2011). L’accomandante, del resto, non è terzo rispetto alla società (dato il rapporto societario) e la cointestazione di uno dei due conti dell’accomandante con la moglie di questo esclude la terzietà anche della cointestataria (come precisato più volte da questa Corte: ex plurimis, Cass. n. 4904 del 2013), soprattutto, quando, come nella specie, nulla si oppone dal contribuente.

Spettava, perciò, alle parti private fornire la prova contraria alla suddetta presunzione relativa (su tale onere probatorio, ex plurimis, Cass. n. 14806 del 2015; n. 16896 del 2014; n. 22540 del 2012).

In conclusione, va esclusa la dedotta violazione di legge, dato il rispetto, da parte della CTR, degli artt. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d. P.R. n. 633 del 1972.

2.3. - Quanto al terzo motivo, la motivazione della sentenza impugnata è sufficiente e la censura dei ricorrenti è inammissibile, sotto vari profili.

Più in dettaglio, i ricorrenti denunciano la mancata considerazione, da parte della CTR, che: a) l’attività sociale era esigua e priva di costi (i verificatori avevano riscontrato solo due domande di partecipazione in un anno); b) i locali in cui si esercitava l’attività sociale erano concessi gratuitamente dal Comune di Montefiascone; c) l’accomandante, socio con quota dell’ 1%, non aveva potere gestorio; d) lo stesso accomandante non aveva rilasciato deleghe alla società o all’accomandatario ad operare sui propri conti correnti.

Tali elementi sono, però, palesemente irrilevanti, posto che la presunzione derivante dagli accertamenti bancari è diretta a dimostrare (attraverso l’utilizzo da parte della società del conto corrente bancario dell’accomandante, salva la prova contraria che i contribuenti avrebbero dovuto fornire) l’esistenza di un imponibile non dichiarato dalla società.

Valgono, in proposito, le considerazioni svolte al punto 2.1.

In ordine, poi, al fatto (dedotto nel corso dei giudizi di merito) che l’accomandante B., nel 2004, aveva una partecipazione al 50% nella s.n.c. B. di B. O. & C., avente ad oggetto attività di ristorazione e dalla quale traeva proventi regolarmente dichiarati (€ 17.025,00 nel 2004, come da prospetto a suo tempo prodotto), la CTR, secondo una piana interpretazione della sentenza, ha ritenuto (con giudizio privo di vizi logici e, pertanto, incensurabile nel merito in questa sede) che: 1) la movimentazione bancaria non era coerente con le dichiarazioni fiscali rese dalla società e dai soci (nella sentenza si legge che i «ricavi non dichiarati» emersi dalle indagini bancarie ammontavano per il 2004 a € 65.739,29, importo ben superiore a quello di € 17.025,00, indicato nel ricorso quale reddito di partecipazione nella s.n.c. B. dichiarato nello stesso anno dal B.); 2) le difese dei contribuenti (e, quindi, anche l’assunto difensivo della confluenza, in misura quantitativamente significativa ai fini dell’accertamento, nei conti correnti del B. dei redditi da partecipazione nella s.n.c. B. di B. Oreste & C.) si risolvevano in «affermazioni meramente assertive, generiche, non provate», non idonee a fornire «alcuna prova documentale di segno contrario all’operato dell’ufficio» né a giustificare (neppure in parte) le movimentazioni «con riferimento alle singole operazioni risultanti dalla documentazione finanziaria»; 3) non era contestato in giudizio che i conti correnti fossero formalmente riferibili al socio accomandante; 4) per le considerazioni precedenti i conti correnti erano, di conseguenza, riferibili sostanzialmente alla s. a. s.; 5) non era stato provato che detti ricavi non contabilizzati erano stati accantonati o reinvestiti.

Nel caso in esame, poi, i ricorrenti non evidenziano la decisività del suddetto fatto (partecipazione alla s.n.c.) né sul versante dell’entità dei redditi di partecipazione, insufficiente a giustificare le movimentazioni bancarie, né sul versante dell’idoneità documentale delle produzioni in giudizio concernenti detti redditi, negata dalla CTR (i ricorrenti non trascrivono il contenuto del "prospetto" e dei documenti da essi richiamati a sostegno del ricorso per cassazione, incorrendo nel vizio di difetto di autosufficienza), né sul versante della specificità della prova contraria (la quale si sarebbe dovuta fornire per le singole operazioni bancarie).

In conclusione, il motivo è inammissibile sia perché si basa su fatti non decisivi, sia perché privo di autosufficienza, sia perché è diretto ad ottenere una nuova valutazione dei fatti esaminati dal giudice di appello.

2.4. - Quanto al quarto motivo, i ricorrenti muovono da una erronea interpretazione di un singolo passo della sentenza. La CTR, infatti, non ha inteso affermare che non era contestata la riferibilità dei conti correnti alla s.a.s. (come ritenuto dai ricorrenti), ma ha solo voluto sottolineare che non era contestata la formale riferibilità dei conti correnti al socio accomandante, traendone poi la conseguenza (come già rilevato supra, al punto 2.3.) che i conti erano da considerarsi nella disponibilità della s.a.s. (cioè ad essa sostanzialmente riferibili) per il mancato raggiungimento della prova contraria alla presunzione legale relativa (in ragione delle considerazioni svolte nella stessa sentenza e sopra ricordate, tra cui in particolare: l’anomalia costituita dall’assenza di conti correnti intestati alla società od al socio accomandatario; l’incoerenza della movimentazione bancaria con le dichiarazioni fiscali rese dalla società e dai soci; la mancanza di un’adeguata giustificazione di tali movimentazioni fornita dall’accomandante). Del resto, proprio il rilievo contenuto nella sentenza impugnata circa la ritenuta genericità e inadeguatezza delle prove addotte dai ricorrenti avverso la presunzione nascente dalla movimentazione bancaria dei conti correnti intestati all’accomandante dimostra che la CTR ha preso atto della contestazione della riferibilità alla s.a.s. di tali conti correnti e l’ha disattesa con le considerazioni di merito indicate supra, ai punti 2.2. e 2.3.

Il motivo è, perciò, infondato.

3. - Le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

4. - Sussistono le condizioni per il raddoppio del contributo unificato (a carico della ricorrente), trattandosi di procedimento iniziato successivamente al 30 gennaio 2013.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti a rimborsare alla controricorrente Agenzia le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in € 5.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito; ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 - bis, dello stesso art. 13.