Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 12 aprile 2019, n. 10308

Tributi locali - ICI - Immobili - Accertamento - Riscossione - Aree edificabili - Atti di compravendita

 

Ritenuto che

 

1. con sentenza n. 374/15/15, depositata il 16 febbraio 2015, non notificata, la Commissione Tributaria Regionale del Veneto, sez. distaccata di Verona, rigettava l'appello proposto dalla D.R.E. S.r.l., avverso la sentenza n. 127/4/13 della Commissione Tributaria Provinciale di Verona, con condanna al pagamento delle spese di lite;

2. il giudizio aveva ad oggetto l'impugnazione di due avvisi di accertamento ai fini ICI, emessi dal Comune di Bussolengo in relazione agli anni 2007 e 2008, con cui era stato contestato un insufficiente versamento dell'imposta a seguito di una rideterminazione del valore venale di un complesso immobiliare, acquistato alla fine del 2006, sulla base del prezzo di vendita riportato nel rogito del 15-11-2006;

3. la CTR, confermando la decisione di primo grado, che aveva accolto parzialmente il ricorso limitatamente alle sanzioni, riteneva che la possibilità concessa ai Comuni di determinare il valore venale delle aree edificabili ai sensi dell'art. 59, comma 1, lett. g), del d.lgs. n. 446 del 1997, al fine di limitare il proprio potere di accertamento qualora l'imposta sia versata in misura non inferiore a quello predeterminato, non impediva all'ente impositore di fissare delle ipotesi derogatorie, quale quella prevista dall'art. 11, n.4, del regolamento comunale del Comune di Bussolengo che consentiva di accertare comunque il maggior valore venale in presenza di atti di compravendita da cui risultasse un valore maggiore; verificava poi che correttamente il Comune aveva determinato il valore del bene desumendolo dall'atto di vendita in relazione ai terreni e mantenuto quello catastale per i fabbricati;

4. avverso la sentenza di appello, la contribuente ha proposto ricorso per cassazione, consegnato per la notifica in data 30 aprile 2015, affidato ad un unico motivo; il Comune ha resistito con controricorso.

 

Considerato che

 

1. con l'unico motivo di ricorso la contribuente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 52 e 59 del d.lgs. n. 446 del 1997, degli artt. 5 e 6 del d.lgs. n. 504 del 1992, dell'art. 23 Cost., degli art. 1 e 4 delle preleggi, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., censurando la sentenza impugnata per non aver riconosciuto l'illegittimità degli accertamenti con cui era stato determinato il maggiore valore degli immobili sebbene nella dichiarazione ICI la ricorrente avesse fatto riferimento ai valori predeterminati dal regolamento comunale, né proceduto alla disapplicazione dell'art. 11 dello stesso regolamento; insisteva poi sull'omessa applicazione di un diverso valore ai fabbricati e per non aver tenuto conto della evoluzione dei prezzi di mercato.

 

Osserva che

 

1. la suindicata censura è infondata e non merita accoglimento.

1.1. La potestà regolamentare attribuita agli enti locali in materia di tributi consente agli stessi di introdurre, nel sistema normativo, elementi specifici mutuati dalla realtà dei territori, al fine di meglio adattare la disciplina statale a quella locale; a tale scopo l’art. 59 del d.lgs. n. 446 del 1997 ha riconosciuto ai comuni, in materia di ICI, la possibilità di regolamentare la gestione delle entrate tributarie, ad eccezione di ciò che attiene alla determinazione della fattispecie imponibile, alla identificazione dei soggetti passivi, ed alla fissazione dell’aliquota massima.

Il Comune può dunque regolare in modo autonomo le previsioni applicative dei propri tributi, dovendo esclusivamente operare nel rispetto dei limiti dettati dall'art. 52, comma 1, del d.lgs. n. 446 del 1997, e segnatamente delle esigenze di semplificazione degli adempimenti a carico dei contribuenti;

1.2. Ai sensi dell' art. 59, comma 1, lett. g), del d.lgs. n. 446 del 1997, con regolamento adottato ai sensi dell'art. 52 dello stesso decreto i Comuni possono "determinare periodicamente e per zone omogenee i valori venali in comune commercio delle aree fabbricabili, al fine della limitazione del potere di accertamento del comune qualora l'imposta sia stata versata sulla base di un valore non inferiore a quello predeterminato, secondo criteri improntati al perseguimento dello scopo di ridurre al massimo l'insorgenza di contenzioso".

La fissazione dei valori delle aree fabbricabili, ai sensi dell'art. 59 cit. ha dunque come effetto quello di una autolimitazione del potere di accertamento ICI, atteso che il Comune si obbliga a ritenere congruo il valore delle aree fabbricabili laddove esso sia stato dichiarato dal contribuente in misura non inferiore a quella stabilita nel regolamento comunale.

Rimane tuttavia ferma la regola, stabilita dall'art. 52 del d.lgs. n. 446 del 1997, secondo la quale il valore delle aree fabbricabili è quello venale in comune commercio, per cui il contribuente può dichiarare un valore inferiore a quello stabilito nel regolamento, il comune può ritenerlo congruo, in quanto concretamente corrispondente al valore di mercato, come può accertare un valore maggiore, ed in tal caso l'accertamento deve essere motivato facendo riferimento ai valori di mercato.

1.3 Rileva il Collegio che l'art. 59 nel riconoscere al Comune il potere di regolamentare i presupposti dei propri tributi, predeterminando i valori venali per zone omogenee, non esclude tuttavia che l'ente possa fissare in sede di regolamento anche degli altri criteri sussidiari ed integrativi che abbiano la stessa finalità, e ciò in considerazione del fatto che i regolamenti comunali adottati in proposito, ai sensi dell'art. 52 del medesimo d.lgs., non hanno natura imperativa, ma sono solo assimilabili agli studi di settore, nel senso che si tratta di fonti di presunzioni dedotte da dati di comune esperienza idonei a costituire supporti razionali offerti dall'amministrazione al giudice, ed utilizzabili, quali indici di valutazione, anche retroattivamente, analogamente al c.d. redditometro e non fonti di criteri legali tassativi ed inderogabili né per l'amministrazione né per il giudice, (cfr. sul punto Cass. n. 16702 e n. 9216 del 2007; Cass. n. 24504 del 2009; Cass. n. 15555 del 2010; Cass. n. 1661 del 2013; Cass. n. 5068 del 2015; Cass. n. 15312 del 2018).

Ne deriva che come già statuito da questa Corte " In tema di ICI, l'adozione della delibera, prevista dall'art. 59 del d.lgs. n. 446 del 1997, con la quale il Comune determina periodicamente per zone omogenee i valori venali in comune commercio delle aree fabbricabili se, da un lato, delimita il potere di accertamento dell'ente territoriale qualora l'imposta sia versata sulla base di un valore non inferiore a quello così predeterminato, dall'altro, non impedisce allo stesso, ove venga a conoscenza o in possesso di atti pubblici o privati dai quali risultano elementi sufficientemente specifici in grado di contraddire quelli, di segno diverso, ricavati in via presuntiva dai valori delle aree circostanti aventi analoghe caratteristiche, di rideterminare l'imposta dovuta" (Vedi Cass. n. 4605 del 2018).

1.4 Ebbene nella fattispecie, l’art. 11, n. 4, del Regolamento per l'applicazione dell'Imposta Comunale sugli Immobili (I.C.I.) del Comune di Bussolengo, oltre a prevedere la possibilità per la giunta comunale di fissare periodicamente per zone omogenee i valori minimi di riferimento, fa salva la facoltà dell'ente di accertare maggiori valori in presenza di atti di compravendita da cui risulti un valore maggiore.

Tale previsione regolamentare appare legittima, e non va pertanto disapplicata dal giudice tributario, in quanto risulta coerente con la ratio dell'art. 59, comma 1, lett. g), del d.lgs. n. 446 del 1997, atteso che se è vero che la indicazione periodica dei valori delle aree edificabili per zone omogenee con riferimento al valore venale in comune commercio, integra una fonte presuntiva idonea a costituire un oggettivo indice di valutazione per l'amministrazione ed il giudice tributario, «secondo criteri improntati al perseguimento dello scopo di ridurre al massimo l'insorgenza del contenzioso», è indubbio che la finalità deflattiva del contenzioso non viene ostacolata, anzi ulteriormente favorita dal riferimento al valore effettivamente corrisposto dalla parte contribuente al momento dell'acquisto del bene, valore non solo ben noto e riportato in atto pubblico, ma anche dalla stessa consensualmente determinato.

2. Il motivo poi, nella parte in cui contesta la determinazione della pretesa fiscale, involge la valutazione di specifiche questioni di fatto, attenendo al piano della ricostruzione della fattispecie concreta e non alla determinazione dei criteri astratti e generali applicati; tali profili vanno dunque esaminati nei limiti del vizio della motivazione ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., e non sotto il profilo del dedotto vizio di "sussunzione" ovvero di non corretta applicazione di norme ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.

Indubbiamente, secondo un consolidato orientamento di questa Corte l’erronea intitolazione del motivo di ricorso per cassazione non osta alla riqualificazione della sua sussunzione in altre fattispecie di cui all'art. 360, comma 1, c.p.c., né ne determina l'inammissibilità se dalla sua articolazione sia chiaramente individuabile il tipo di vizio denunciato.

Il motivo, tuttavia, va ritenuto inammissibile per difetto di specificità.

Sebbene la sentenza impugnata abbia accertato in fatto l'applicazione di valori differenti tra fabbricati e terreni, esso insiste genericamente nella censura senza riportare le parti degli avvisi da cui emergerebbe il contrario.

La critica sull'omesso adeguamento del valore alle oscillazioni di mercato è invece inammissibile sotto altro profilo, in quanto, non avendo la decisione della CTR preso in considerazione tale aspetto, la stessa andava censurata sotto il profilo della omessa pronuncia, riportando le parti del ricorso di primo e secondo grado in cui il profilo era stato proposto.

3. Per tutto quanto sopra esposto il ricorso va rigettato.

4. Segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, che si liquidano come da dispositivo.

4.1 Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013, in quanto notificato dopo tale data, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi dell’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012 (che ha aggiunto il comma 1 quater all'art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002) - della sussistenza dell'obbligo di versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso;

condanna la ricorrente a pagare all'ente impositore le spese di lite del presente giudizio, che si liquidano nell'importo complessivo di € 2.200,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 - bis dello stesso articolo 13.