Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 19 giugno 2017, n. 15087

Pensione - lntegrazione al minimo sulla pensione - Eredi

 

Rilevato che

 

1. la Corte d’appello di Lecce ha rigettato il gravame, svolto da S. A., avverso la sentenza di primo grado, che aveva respinto la domanda volta ad ottenere l’integrazione al minimo sulla pensione diretta in godimento;

2. avverso tale sentenza ricorrono S. G. e S. R., nella qualità di eredi del predetto S. A., con ricorso ulteriormente illustrato con memoria;

3. l’INPS ha resistito con controricorso ed eccepito l’inammissibilità del ricorso;

4. il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.

 

Considerato che

 

5. la sentenza della Corte territoriale è impugnata da S. G. e S. R. senza che l’asserita qualità di eredi, dell’originaria parte, risulti documentata in questo giudizio di impugnazione in cui hanno allegato, al ricorso per cassazione, certificazione relativa alla "situazione di famiglia originaria, rilasciata dal Comune di Mesagne" e prodotto, con la memoria illustrativa, prospetto di liquidazione delle rate di pensione non riscosse dal pensionato al momento della morte;

6. chi intende proporre ricorso per cassazione nell’asserita qualità di successore, a titolo universale, di colui che era stato parte nel precedente grado di giudizio, deve allegare la propria legitimatio ad causam per essere subentrato nella medesima posizione del proprio dante causa (la legittimazione alla successione nel processo, ai sensi dell'art. 110 cod.proc.civ., su cui v. Cass. 9 febbraio 2017, n. 3460 e la giurisprudenza ivi richiamata; v., ancora di recente, Cass. 11 gennaio 2017, n. 470, Cass. 22 novembre 2016, n. 23733) e fornire la prova, con riscontri documentali, tramite le produzioni consentite dall’art. 372 cod. proc. civ., a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione, dell’asserita qualità di successore a titolo universale;

7. la mancanza di tale prova, concernente la titolarità del diritto processuale di adire il giudice dell’impugnazione e la regolare costituzione del contraddittorio è rilevabile anche d’ufficio (v., fra le tante, Cass. 25 giugno 2010, n. 15352);

8. questa Corte, con le sentenze nn. 12361 del 2011 e 15803 del 2009, ha ritenuto, in tema di successioni mortis causa, che la qualità di erede possa essere provata, in sede processuale, anche mediante la produzione della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà (neanche prodotta con il ricorso all’esame);

9. le Sezioni unite della Corte, con la sentenza n. 12065 del 2014, componendo un contrasto di giurisprudenza, hanno affermato che colui che, assumendo di essere erede di una delle parti originarie del giudizio, intervenga in un giudizio civile pendente tra altre persone, ovvero lo riassuma a seguito di interruzione o proponga impugnazione, deve fornire la prova, ai sensi dell’art. 2697 cod. civ., oltre che del decesso della parte originaria, anche della sua qualità di erede di quest’ultima e che, a tale riguardo, la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà di cui agli artt. 46 e 47 del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, non costituisce di per sé prova idonea di tale qualità, esaurendo i suoi effetti nell’ambito dei rapporti con la P.A. e nei relativi procedimenti amministrativi, dovendo tuttavia il giudice, ove la stessa sia prodotta, adeguatamente valutare, anche ai sensi della nuova formulazione dell’art. 115 cod. proc. civ., come novellato dall'art. 45, comma 14, della legge 18 giugno 2009, n. 69, in conformità al principio di non contestazione, il comportamento in concreto assunto dalla parte nei cui confronti la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà viene fatta valere, con riferimento alla verifica della contestazione o meno della predetta qualità di erede e, nell’ipotesi affermativa, al grado di specificità di tale contestazione, strettamente correlato e proporzionato al livello di specificità del contenuto della dichiarazione sostitutiva suddetta;

10. in seguito, Cass. 26 ottobre 2015, n. 21733, pur muovendo dal citato arresto del 2014 delle Sezioni unite, ha ribadito, in continuità con Cass. 27 gennaio 2011, n 1943, la rilevabilità d’ufficio della mancanza di prova anche a prescindere dall’eventuale contestazione della legittimazione ad opera della controparte;

11. ed ancora di recente, Cass. 28 febbraio 2017, n. 5202 ha riaffermato che la sussistenza della relazione parentale di coniugio e di filiazione non esclude la presenza di alni soggetti legittimari (e, quindi, chiamati all’eredità) o la possibilità, in ipotesi di successione testamentaria, dell'istituzione di altri eredi (in conformità con i precedenti della sesta sezione della Corte 17 settembre 2015, n. 18272; 26 maggio 2016, n. 10955; 3 maggio 2016, n. 8679; 16 marzo 2016, n. 5287);

12. inoltre, la sentenza di questa Corte 26 febbraio 2009, n. 4655 (cui hanno dato continuità Cass. 8 novembre 2007, n. 23268 e Cass., sez. sesta-L 3 maggio 2016, n. 8677) è già intervenuta sulla circostanza, dedotta ed allegata con la memoria illustrativa, dell’asserita prova della qualità di eredi desunta dall’avvenuto pagamento delle rate di pensione non riscosse dal pensionato al momento della morte, escludendola alla stregua degli argomenti di seguito riprodotti;

13. il r.d. 28 agosto 1924 n. 1422 (che ha attuato il regolamento per l’esecuzione del r.d. 30 dicembre 1923 n. 3184 contenente provvedimenti per l’assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti) prevede, al titolo settimo, le modalità per la liquidazione e il pagamento delle pensioni e, più specificamente, al capo terzo di tale titolo contempla i modi in cui le pensioni devono essere corrisposte, anche in ipotesi particolari;

14. nell’ambito di questa previsione, l’art. 90 stabilisce, fra l’altro, che le rate di pensione non riscosse dal pensionato al momento della morte sono pagate al coniuge superstite, ovvero, in mancanza di esso, al tutore dei figli minori e, in assenza anche di figli, agli eredi legittimi o testamentari (4° comma) con disposizione inserita nella regolamentazione dei pagamenti delle pensioni già liquidate, con finalità cautelative e provvisorie per il caso di rate non riscosse dal pensionato deceduto, per attuare una adiectio solutionis causa nell’interesse dell’istituto debitore e degli eredi subentrati al de cuius, senza minimamente incidere sulla titolarità dei relativi diritti, regolati dalle comuni norme successorie;

15. la posizione del superstite, legittimato alla riscossione delle rate non riscosse dal pensionato al momento della morte, è bensì tutelabile mediante la proposizione di azioni giudiziarie, ma solo nei limiti in cui sia contestato il suo diritto alla riscossione, ovvero in relazione all’entità del pagamento che egli deve riscuotere;

16. diversamente, le azioni volte all’attribuzione, a titolo ereditario, di diritti del de cuitis nella sfera patrimoniale dei superstiti, sono proponibili solo dagli eredi, ivi compreso, eventualmente, anche il coniuge superstite, ma, appunto, nella qualità di erede (cfr. Cass. 4655/2009, cit.);

17. nel ricorso all’esame i ricorrenti hanno provato la sola relazione parentale con il signor S. A. e tanto basta per ritenere inammissibile il ricorso in difetto di prova della legittimazione alla successione nel processo;

18. le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza, non sussistendo le condizioni previste dall’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis, per l’esonero dal pagamento;

19. la circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell'applicabilità del d.P.R. n. 115/2002, art. 13, comma 1 -quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228/2012, art. 1, comma 17 (sulla ratio della disposizione si rinvia a Cass., Sez. U. 22035/2014 e alle numerose successive conformi) e di provvedere in conformità.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali liquidate in euro 100,00 per esborsi, euro 2.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater; del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.