Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 13 ottobre 2016, n. 20682

Assegno ordinario d'invalidità - Accertamento capacità lavorativa residua - Lavoro usurante di coltivatore diretto

Fatto

Con sentenza depositata il 18.1.2010, la Corte d'appello di Palermo confermava la pronuncia resa in primo grado dal Tribunale di Trapani che aveva rigettato la domanda di T.F. volta al ripristino dell'assegno ordinario d'invalidità.

Contro questa decisione ricorre l'assistito con un motivo di censura.

Resiste l'INPS con controricorso.

 

Diritto

 

Con l'unico motivo di censura, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1, L. n. 222/1984, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio per avere la Corte territoriale rigettato la domanda limitandosi a recepire le conclusioni del CTU e senza accertare specificamente se la sua capacità lavorativa residua fosse tale da consentirgli il lavoro usurante di coltivatore diretto.

Il motivo è inammissibile. Circa la censura di violazione di legge, è sufficiente ricordare che il vizio in questione deve consistere in un'erronea ricognizione della norma recata da una disposizione di legge da parte del provvedimento impugnato, riconducibile o ad un'erronea interpretazione della medesima ovvero nell'erronea sussunzione del fatto così come accertato entro di essa, e non ha nulla a che fare con l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, che è esterna all'esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito (cfr. fra le più recenti Cass. nn. 15499 del 2004, 18782 del 2005, 5076 e 22348 del 2007, 7394 del 2010, 8315 del 2013).

Circa la censura di vizio di motivazione, vale invece ribadire che, al fine di infirmare sotto il profilo della insufficienza argomentativa la motivazione della sentenza che recepisca le conclusioni di una relazione di consulenza tecnica d'ufficio di cui il giudice dichiari di condividere il merito, è necessario che la parte indichi specificamente non solo le circostanze trascurate dall'elaborato peritale (Cass. n. 21632 del 2013), ma altresì i passaggi salienti e non condivisi della relazione (Cass. n. 16368 del 2014), e rilevare che nulla di tutto ciò è dato rinvenire nel motivo di ricorso, che pro tanto non appare rispettoso del canone di specificità e autosufficienza per come fissato dall’art. 366 nn. 4 e 6 c.p.c.-

II ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali, che si liquidano in complessivi € 2.100,00, di cui € 2.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.