Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 24 giugno 2019, n. 16845

Rapporto di lavoro - Svolgimento di mansioni superiori - Trattamento economico corrispondente alle mansioni di fatto espletate

 

Fatti di causa

 

1. La Corte d'Appello di Trieste ha respinto l'appello proposto dall'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale avverso la sentenza del Tribunale di Udine che aveva riconosciuto il diritto di L. R. a percepire le differenze retributive per lo svolgimento di mansioni superiori di «capo processo prestazioni a sostegno del reddito», riconducibili all'area C, posizione economica C4, ivi comprese l'indennità di posizione organizzativa e l'indennità di responsabilità specifica.

2. La Corte territoriale ha evidenziato che dall'istruttoria, ed in particolare dalle dichiarazioni testimoniali, era emerso che l'appellata aveva svolto i compiti propri del responsabile di processo, assumendone la responsabilità, perché solo formalmente l'incarico era stato attribuito ad interim al direttore della sede. Ciò premesso il giudice d'appello ha ritenuto che il trattamento economico dovesse ricomprendere anche le indennità sopra richiamate, perché l'art. 36 Cost., applicabile all'impiego pubblico contrattualizzato ed attuato per mezzo della disciplina dettata dall'art. 52 del d.lgs. n. 165/ 2001, impone di commisurare la retribuzione alla qualità del lavoro prestato. Ha richiamato i principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte in tema di svolgimento di fatto di mansioni dirigenziali ed ha ritenuto di dover confermare la sentenza impugnata anche nella parte in cui aveva dichiarato la nullità dell'Accordo quadro del 22.10.2001, che aveva limitato il diritto alle sole differenze relative al trattamento tabellare ed all'indennità integrativa speciale.

3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l'INPS sulla base di un unico motivo, al quale non ha opposto difese L. R., rimasta intimata.

 

Ragioni della decisione

 

1. Il ricorso denuncia, con un unico motivo formulato ai sensi dell'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione di plurime disposizioni della contrattazione collettiva (artt. 17, 18, 24 e 32 del C.C.N.L. 1998/2001, dell'accordo quadro in materia di mansioni superiori del 22/10/2001, del CCNI per l'anno 2000 artt. 17 e 18), dei criteri di ermeneutica contrattuale, di cui agli artt. 1362 e seguenti cod. civ., dell'art. 36 Cost. Il ricorrente sostiene, in sintesi, che l'indennità di posizione può essere riconosciuta solo ai dipendenti ai quali sia stata assegnata, formalmente ed a seguito di procedura concorsuale, una posizione organizzativa, che non coincide con lo svolgimento delle mansioni riconducibili al livello C 4, in quanto richiede l'espletamento di compiti di elevata responsabilità. L'indennità, quindi, in quanto correlata ad un incarico temporaneo e revocabile, non può essere apprezzata ai fini del giudizio di proporzionalità e sufficienza di cui all'art. 36 Cost. e conseguentemente non può

essere rivendicata in caso di svolgimento delle funzioni in via di mero fatto. Richiama la disciplina dettata dall'Accordo quadro del 22.10.2001 e dall'art. 24 del CCNL 1998/2001 per sostenere che, in caso di assegnazioni a mansioni superiori, al dipendente può essere riconosciuta la sola differenza sul trattamento economico fondamentale, con esclusione di ogni voce retributiva del trattamento accessorio.

2. Il ricorso è infondato e va rigettato, in continuità con l'orientamento già espresso da questa Corte che ha respinto analoghi ricorsi proposti dall'INPS in fattispecie non dissimili da quelle oggetto di causa (Cass. n. 18812/2018, Cass. 11842/2018, Cass. 8141/2018, Cass. n. 13453/2016 e Cass. n. 13579/2016; i medesimi principi sono stati affermati, in relazione al comparto degli enti di cui all'art. 70 del d.lgs. n. 165/2001, da Cass. n. 21524/2016 e Cass. n. 22470/2016).

Con le richiamate pronunce, alla cui motivazione si rinvia ex art. 118 disp. att. cod. proc. civ., si è evidenziato, sulla base dei principi affermati dalle Sezioni Unite con le sentenze n. 25837 dell'11.12.2007 e n. 3814 del 16.2.2011, che, ove il dipendente venga chiamato a svolgere le mansioni proprie di una posizione organizzativa, previamente istituita dall'ente, e ne assuma tutte le connesse responsabilità, la mancanza o l'illegittimità del provvedimento formale di attribuzione non esclude il diritto a percepire l'intero trattamento economico corrispondente alle mansioni di fatto espletate, ivi compreso quello di carattere accessorio, che è comunque diretto a commisurare l'entità della retribuzione alla qualità della prestazione resa.

A detto orientamento il Collegio intende dare continuità, posto che la fattispecie non è dissimile da quella nella quale viene in rilievo l'assegnazione di fatto a mansioni dirigenziali, in relazione alla quale si è ritenuta spettante la retribuzione di posizione, anche in assenza di atti formali, in quanto collegata «al livello di responsabilità conseguente alla natura dell'incarico, all'impegno richiesto, al grado di rilevanza, alla collocazione istituzionale dell'ufficio» (Cass. 10.6.2014 n. 13062 che richiama in motivazione la citata Cass. S.U. n. 3814/2011), dati, questi, che non possono non rilevare ai fini del giudizio di proporzionalità di cui all'art. 36 cost., del quale l'art. 52 del d.lgs. n. 165/2001 costituisce attuazione.

2.1. La portata applicativa del principio non può essere limitata al solo caso in cui le mansioni superiori vengano svolte in esecuzione di un provvedimento di assegnazione, ancorché nullo.

Questa Corte (cfr. Cass. n.22470/2016, che richiama Cass. S.U. 11.12 2007 n. 25837), richiamata la giurisprudenza della Corte Costituzionale, ha rilevato come l'obbligo di integrare il trattamento economico del dipendente nella misura della qualità del lavoro effettivamente prestato prescinda dalla eventuale irregolarità dell'atto o dall'assegnazione formale a mansioni superiori e come il mantenere, da parte della pubblica amministrazione, l'impiegato a mansioni superiori, oltre i limiti prefissati per legge, determini una mera illegalità, che però non priva il lavoro prestato della tutela collegata al rapporto - ai sensi dell'art. 2126 c.c. e, tramite detta disposizione, dell'art. 36 Cost. - perché non può ravvisarsi nella violazione della mera legalità quella illiceità che si riscontra, invece, nel contrasto "con norme fondamentali e generali e con i principi basilari pubblicistici dell'ordinamento", e che, alla stregua della citata norma codicistica, porta alla negazione di ogni tutela del lavoratore (Corte Cost. 19 giugno 1990 n. 296 attinente ad una fattispecie riguardante il trattamento economico del personale del servizio sanitario nazionale in ipotesi di affidamento di mansioni superiori in violazione del disposto del D.P.R. n. 761 del 1979, art. 29, comma 2).

La Corte Costituzionale ha ripetutamente affermato l'applicabilità anche al pubblico impiego dell'art. 36 Cost. nella parte in cui attribuisce al lavoratore il diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato, non ostando a tale riconoscimento, a norma dell'art. 2126 c.c., l'eventuale illegittimità del provvedimento di assegnazione del dipendente a mansioni superiori rispetto a quelle della qualifica di appartenenza (cfr. Corte Cost. sent n. 57/1989, n. 296/1990, n. 236/1992, n. 101/1995, n. 115/2003, n. 229/2003).

Le uniche ipotesi in cui può essere disconosciuto il diritto alla retribuzione superiore devono essere circoscritte ai casi in cui l'espletamento di mansioni superiori sia avvenuto all'insaputa o contro la volontà dell'ente (invito o proibente domino) oppure allorquando sia il frutto della fraudolenta collusione tra dipendente e dirigente (cfr. Cass. n. 27887 del 2099), o, infine, qualora la prestazione sia stata resa in violazione di principi basilari pubblicistici dell'ordinamento (Cass. 29.11.2016 n. 24266), ma dette ipotesi pacificamente qui non ricorrono, perché neppure allegate dalla difesa dell'INPS.

2.2. Ciò premesso occorre ancora evidenziare che la posizione organizzativa risponde all'esigenza di tener conto in modo adeguato della differenziazione delle attività, che indubbiamente sussiste anche in un sistema fondato sui principi della flessibilità e della equivalenza, sotto il profilo professionale, delle mansioni ricomprese nel medesimo livello di inquadramento.

Nell'ambito dell'organizzazione dell'ente, infatti, determinate funzioni, pur esprimendo la medesima professionalità che caratterizza l'area di inquadramento più elevata, rivestono un ruolo strategico e di alta responsabilità, che giustifica, come per il rapporto di natura dirigenziale, la sottoposizione alla logica del risultato, l'assoggettamento a valutazione e, correlativamente, il riconoscimento di un compenso aggiuntivo.

La posizione organizzativa descrive, dunque, una funzione alla quale si correlano compiti predeterminati dall'ente, sicché, una volta che la stessa sia stata istituita e si accerti che il dipendente abbia svolto con pienezza di poteri le mansioni connesse all'incarico, assumendone la relativa responsabilità, non è corretto valorizzare quei compiti ai soli fini della comparazione fra i livelli di inquadramento (quello posseduto dal dipendente e quello sotteso alla posizione organizzativa), riconoscendo l'esercizio di fatto delle mansioni superiori, ma escludendo al tempo stesso il conferimento, sempre in via di fatto, della posizione in discussione.

3. La Corte territoriale ha correttamente applicato i principi sopra enunciati ed ha accertato (pag. 7 della sentenza impugnata) che la R. aveva assunto la responsabilità del processo, solo formalmente assegnato ad interim al direttore della sede, sicché la sentenza impugnata si sottrae ad ogni censura.

4. Il ricorso va, pertanto, rigettato, perché le argomentazioni sviluppate, che attengono tutte alla sola indennità di posizione, sono già state disattese da questa Corte con le pronunce richiamate al punto 2.

Non occorre provvedere sulle spese del giudizio di legittimità perché la R. è rimasta intimata.

Occorre dare atto della sussistenza delle condizioni richieste dall'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.