Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 11 settembre 2018, n. 22090

Imposte indirette - IVA - Accertamento - Notificazione - Ricorso - Contenzioso tributario

 

Rilevato che

 

- in controversia relativa ad impugnazione di due avvisi di accertamento ai fini IVA relativi agli anni di imposta 2007 e 2008, con la sentenza in epigrafe indicata la CTR, riuniti i ricorsi in appello proposti dal contribuente avverso le sfavorevoli pronunce emesse dalla CTP di Roma, li respingeva rilevando provata «per tabulas la regolare notificazione di entrambi gli avvisi di accertamento avvenuta in mani proprie del contribuente»;

- avverso tale statuizione il N. ricorre per cassazione sulla base di tre motivi, il primo articolato in due diverse censure, cui replica l’intimata con controricorso;

- sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis cod. proc. civ. risulta regolarmente costituito il contraddittorio;

 

Considerato che

 

- con il primo motivo di ricorso il ricorrente deduce, con una prima censura, la discrasia tra dispositivo e motivazione e, con una seconda, la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ., per avere la CTR omesso di trarre le dovute conseguenze dalla mancata contestazione da parte dell’Agenzia delle entrate della incertezza sulla regolarità di una delle due notifiche degli atti impositivi;

- la prima censura è palesemente infondata non ravvisandosi alcun contrasto tra la motivazione ed il dispositivo della sentenza impugnata, in quanto coerentemente la CTR ha respinto l’appello sul rilievo che nella specie risultava provata «per tabulas la regolare notificazione di entrambi gli avvisi di accertamento avvenuta in mani proprie del contribuente»;

- la seconda censura proposta con il motivo in esame è, invece, inammissibile per difetto di autosufficienza del ricorso, in cui non risultano trascritti le parti delle controdeduzioni in appello dell’Agenzia delle entrate da cui ciò risulterebbe (arg. da Cass. n. 3023 e n. 20637 del 2016), evidenziandosi al riguardo che la tesi sostenuta nel motivo è palesemente infondata posto che la circostanza che l’Agenzia delle entrate abbia affermato che almeno uno dei due avvisi di ricevimento delle raccomandate postali riportassero la chiara sottoscrizione del destinatario non può assumere il significato, che invece vuole attribuirgli il ricorrente, di ammissione dell’irregolarità della notifica dell’altro atto;

- con il secondo motivo di ricorso il ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata per insufficiente e grave contraddittorietà della motivazione della stessa;

- il motivo è palesemente infondato; la CTR ha infatti espresso una chiara ratio decidendi da individuarsi nell’accertamento della «regolare notificazione di entrambi gli avvisi di accertamento avvenuta nelle mani proprie del contribuente»;

- con il terzo motivo di ricorso il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. per non avere l’Agenzia delle entrate provato le ragioni della pretesa fiscale e per non averle neppure adeguatamente esposte negli atti impositivi, come tali privi di idonea motivazione;

- il motivo è inammissibile sia per difetto di autosufficienza, essendo stata omessa nel ricorso la trascrizione del contenuto motivazionale degli avvisi di accertamento, sia per la novità della censura, di cui non è provata la tempestiva deduzione nell'originario ricorso né tanto meno in grado di appello (Cass. n. 1435 del 2013; conf. Cass. n. 23675 del 2013, n. 27568 del 2017), nella specie viepiù necessaria se si considera che nella sentenza impugnata la CTR dà espressamente atto che «unico motivo di gravame» proposto dal contribuente era «la supposta erronea notificazione degli avvisi di accertamento»;

- conclusivamente, quindi, il ricorso va rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento in favore della controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità nella misura liquidata in dispositivo;

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis, dello stesso articolo 13.