Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 23 maggio 2018, n. 12690

Tributi - Accertamento - Riscossione - Cartella di pagamento - Recupero credito di imposta per incremento occupazionale

Rilevato che

La contribuente F.M. ha proposto ricorso, affidato a due motivi, avverso la sentenza della CTR della Puglia n. 116/06/2009, emessa il 9.10.2009 e depositata il 13.11.2009 con la quale, in accoglimento dell'appello proposto dall'Ufficio, era stato rigettato il ricorso proposto dalla stessa contribuente avverso la cartella di pagamento per Irap, Iva, Irpef e recupero credito di imposta per incremento occupazionale, emessa a seguito di accertamento ex art. 36-bis dpr 600/73.

Resiste l'A.d.E. mediante controricorso; è rimasta, invece, intimata Equitalia E.Tr. s.p.a. Il P.M., in persona del sost. Proc. Gen. D.S.V., ha depositato memoria scritta.

 

Ritenuto che

 

1. Con il primo motivo di ricorso, la contribuente deduce violazione e falsa applicazione, in relazione all'art. 360, comma 1, n.3 cod. proc. civ., degli artt. 36- bis d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, 54-bis, comma 3, e 60, comma 6, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 e 6, legge 27 luglio 2000, n. 212, con riferimento al capo della sentenza impugnata che ha ritenuto non necessario, nella specie, il previo invio della comunicazione di irregolarità ai fini della validità della cartella esattoriale, affermando che esso è dovuto soltanto nel caso in cui dal controllo emerga un risultato diverso rispetto a quello indicato in dichiarazione; parimenti, la CTR ha ritenuto che il c.d. avviso bonario di cui all'art. 6 cit. sia dovuto soltanto quando sussistano incertezze in ordine al contenuto della dichiarazione.

2. Il motivo risulta infondato.

2.1 E' incontestato che, nella specie, l'ufficio non ha proceduto alla rettifica della dichiarazione della ricorrente, ma si è limitato ad attivare il procedimento di riscossione delle imposte auto-liquidate e dalla stessa non versate.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, al quale il Collegio intende dare continuità, «in tema di riscossione delle imposte, l'art. 6, comma quinto, della legge 27 luglio 2000, n. 212, non impone l'obbligo del contraddittorio preventivo in tutti i casi in cui si debba procedere ad iscrizione a ruolo, ai sensi dell'art. 36 bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n 600, ma soltanto "qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione", situazione, quest'ultima, che non ricorre necessariamente nei casi soggetti alla disposizione appena indicata, la quale implica un controllo di tipo documentale sui dati contabili direttamente riportati in dichiarazione, senza margini di tipo interpretativo; del resto, se il legislatore avesse voluto imporre il contraddittorio preventivo in tutti i casi di iscrizione a ruolo derivante dalla liquidazione dei tributi risultanti dalla dichiarazione, non avrebbe posto la condizione di cui al citato inciso». (Cass. Sez. 6 - 5, 21/11/2017, n. 27716; Cass. Sez. 5, 12/04/2017, n. 9463, Rv. 643769 - 01).

2.2. Nella stessa prospettiva, si è affermato che, «ai sensi degli artt. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 bis del d.P.R. n. 633 del 1972, l'invio al contribuente della comunicazione di irregolarità, al fine di evitare la reiterazione di errori e di consentire la regolarizzazione degli aspetti formali, è dovuto solo ove dai controlli automatici emerga un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione ovvero un'imposta o una maggiore imposta e, comunque, la sua omissione determina una mera irregolarità e non preclude, una volta ricevuta la notifica della cartella, di corrispondere quanto dovuto con riduzione della sanzione, mentre tale adempimento non è prescritto in caso di omessi o tardivi versamenti, ipotesi in cui, peraltro, non spetta la riduzione delle sanzioni amministrative ai sensi dell'art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 462 del 1997». (Cass. Sez. 5, 06/07/2016, n. 13759, Rv. 640341 - 01).

2.3 Da quanto osservato consegue che, vertendosi in tema di fattispecie di omesso versamento delle somme dovute sulla base dei dati forniti direttamente dalla contribuente con la propria dichiarazione, l'Ufficio non era obbligato ad inviare alla stessa alcuna comunicazione di irregolarità né di effettuare gli adempimenti di cui all'art. 6 della legge n. 212 del 2000.

3. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 9 d.P.R. n.600 del 1973 in relazione al fatto che la CTR ha ritenuto inammissibili le contestazioni formulate dalla contribuente avverso l'insussistenza del presupposto impositivo con riferimento alle somme richieste nell'impugnata cartella a titolo di Irap; ciò in quanto la cartella stessa, non presupponendo nella specie l'emissione di alcun atto prodromico, doveva considerarsi impugnabile soltanto per vizi propri.

3.1. Va preliminarmente osservato che, ai fini della ammissibilità del ricorso per cassazione, non è necessaria l'esatta indicazione delle norme di legge delle quali si lamenta l'inosservanza, né la corretta menzione dell'ipotesi appropriata, tra quelle in cui è consentito adire il giudice di legittimità, essendo necessario, invece, che si faccia valere un vizio astrattamente idoneo ad inficiare la pronuncia (cfr. Cass. Sez. 3, 29/08/2013, n. 19882, Rv. 627575 - 01; Cass. Sez. 1, 24/03/2006, n. 6671, Rv. 587786 - 01).

In tale prospettiva, l'erronea indicazione della norma violata nella rubrica del motivo non determina ex se l'inammissibilità di questo se la Corte possa agevolmente procedere alla corretta qualificazione giuridica del vizio denunciato sulla base delle argomentazioni giuridiche ed in fatto svolte dal ricorrente a fondamento della censura, in quanto la configurazione formale della rubrica del motivo non ha contenuto vincolante, ma è solo l'esposizione delle ragioni di diritto della impugnazione che chiarisce e qualifica, sotto il profilo giuridico, il contenuto della censura stessa (Cass. Sez. 5, 03/08/2012, n. 14026, Rv. 623656 - 01). Tale impostazione ermeneutica è stata autorevolmente avallata dalle stesse Sezioni Unite di questa Corte, che, con la sentenza 24/07/2013, n. 17931, ha affermato che «l'onere della specificità ex art. 366, n. 4 cod. proc. civ., secondo cui il ricorso deve indicare "i motivi per i quali si chiede la cassazione,con l'indicazione delle norme di diritto su cui si fondano", non debba essere inteso quale assoluta necessità di formale ed esatta indicazione della ipotesi, tra quelle elencate nell'art. 360 cod. proc. civ., comma 1, cui si ritenga di ascrivere il vizio, né di precisa individuazione, nei casi di deduzione di violazione o falsa applicazione di norme sostanziali o processuali, degli articoli, codicistici o di altri testi normativi, comportando, invece, l'esigenza di una chiara esposizione, nell'ambito del motivo, delle ragioni per le quali la censura sia stata formulata e del tenore della pronunzia caducatoria richiesta, che consentano al giudice di legittimità di individuare la volontà de/l'impugnante e stabilire se la stessa, così come esposta nel mezzo di impugnazione, abbia dedotto un vizio di legittimità sostanzialmente, ma inequivocamente, riconducibile ad alcuna delle tassative ipotesi di cui all'art. 360 citato».

3.2. Da tale impostazione consegue che non costituisce, di per sé, motivo di inammissibilità il richiamo, nell'intitolazione del motivo di ricorso in esame, alla violazione della disposizione di cui all'art. 9 d.P.R. n. 600 del 1973, abrogata dall'articolo 9, comma 9, del d.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, in occasione dell'introduzione della disciplina di cui all'art. 2, comma 8, del medesimo decreto, successivamente integrata per effetto dell'aggiunta del comma 8-bis ad opera dell'articolo 2 del d.P.R. 7 dicembre 2001, n. 435; disposizione, pertanto, non più applicabile, ratione temporis, alla fattispecie in esame.

Invero, l'esistenza di una esposizione sufficientemente chiara, nell'ambito del motivo, delle ragioni per le quali la censura è stata formulata, sulla base delle argomentazioni giuridiche ed in fatto svolte dal ricorrente, consente di rilevare che il richiamo della citata norma svolge la funzione di esplicitare, innanzitutto, l'univoco riferimento al principio di generale emendabilità della dichiarazione contenente errori pregiudizievoli per il contribuente, in quanto comportanti l'esposizione ad oneri fiscali eccedenti quanto legalmente dovuto (cfr. Cass. Sez. Un., 25/10/2002, n. 15063, Rv. 558050 - 01, secondo cui l'art. 9, commi settimo e ottavo, del d.P.R. n. 600 del 1973 non poneva alcun limite temporale all'emendabilità e alla ritrattabilità della dichiarazione dei redditi risultanti da errori commessi dal contribuente).

Tale interpretazione del motivo di ricorso è, del resto, confermata dal richiamo, nell'ambito del quesito di diritto, anche alla inapplicabilità della norma di cui all'art. 2, comma 8-bis cit., laddove prevede che la facoltà di emendare la dichiarazione debba essere "canalizzata" in un'apposita dichiarazione integrativa entro il termine prestabilito dalla legge; richiamo diretto, in sostanza, ad escludere che sussistano termini o preclusioni alla possibilità di far valere in sede giudiziale, ed in particolare mediante l'impugnazione della cartella esattoriale emessa a seguito di controllo automatizzato ex art. 36-bis d.P.R. n. 600 del 1973, gli errori commessi dal contribuente nella compilazione della dichiarazione.

Rispetto alla censura in esame, il ricorrente deduce espressamente che «la dichiarazione dei redditi, infatti, non si configura come atto negoziale o dispositivo, ma come dichiarazione di scienza e, come tale, emendabile e ritrattabile dal contribuente ogni qual volta contenga un errore, di fatto o di diritto, in conseguenza del quale possa derivare al dichiarante stesso un onere contributivo diverso e più gravoso di quanto deve rimanere a suo carico», onde, «se la cartella, non preceduta da avviso di accertamento, non fosse impugnabile se non per vizi propri, la dichiarazione dei redditi diverrebbe immodificabile».

3.3. Sulla base di tali argomentazioni, suffragate dal richiamo di alcuni precedenti di legittimità (in particolare, Cass. Sez. Un. , 29/09/2009, n. 21749, nonchè Cass. sez. 5, 22/06/2006, n. 22021, che a sua volta in motivazione richiama Cass. SS.UU. 25/10/2002, n. 15063) secondo cui «la liquidazione in base alla dichiarazione (...) non preclude al contribuente, attraverso l'impugnazione della relativa cartella, di rimettere in discussione la debenza del tributo», risulta evidente che, per quanto si tratti di un profilo non formalmente enunciato, la formulazione del motivo è logicamente ed univocamente diretta a censurare, in realtà, anche e prima di tutto, la violazione o errata applicazione dell'art. 19, comma 3, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, quale disposizione normativa su cui si basa l'enunciato dalla sentenza in punto di impugnabilità della cartella esclusivamente per vizi propri.

4. Così qualificato, il motivo è fondato.

In tale prospettiva, va osservato che l'orientamento di questa Corte è consolidato nel ritenere che l'impugnazione della cartella di pagamento, emessa in seguito alla procedura di controllo automatizzato ex art. 36-bis d.p.r. 600/73, non è preclusa dalla circostanza che l'atto impositivo sia fondato sui dati evidenziati dal contribuente nella propria dichiarazione. Siffatta conclusione presupporrebbe, invero, l'irretrattabilità della dichiarazione del contribuente, mentre essa si configura non quale atto negoziale o dispositivo, ma come dichiarazione di scienza, come tale emendabile e ritrattabile in ragione dell'acquisizione di nuovi elementi di conoscenza o di valutazione (cfr. Cass. sez. V, 28/02/2017, n. 5129, Rv. 643223 - 01).

Questa Corte ha, altresì, ritenuto che «la cartella esattoriale emessa ex art. 36- bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, può essere impugnata, ai sensi dell'art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, non solo per vizi propri ma anche per motivi attinenti al merito della pretesa impositiva, poiché non rappresenta la mera richiesta di pagamento di una somma definita con precedenti atti di accertamento, autonomamente impugnabili e non impugnati, ma riveste anche natura di atto impositivo, trattandosi del primo ed unico atto con cui la pretesa fiscale è stata esercitata nei confronti del dichiarante». (cfr. Cass. sez. 5, 22/01/2014, n.1263, Rv. 629155).

5. Ulteriore conforto a tali conclusioni proviene dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Cass. Sez. U. 30/06/2016, n. 13378, Rv. 640206 - 01), secondo cui «in caso di errori od omissioni nella dichiarazione dei redditi, la dichiarazione integrativa può essere presentata non oltre i termini di cui all'art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 se diretta ad evitare un danno per la P.A. (art. 2, comma 8, del d.P.R. n. 322 del 1998), mentre, se intesa, ai sensi del successivo comma 8 bis, ad emendare errori od omissioni in danno del contribuente, incontra il termine per la presentazione della dichiarazione per il periodo d'imposta successivo, con compensazione del credito eventualmente risultante, fermo restando che il contribuente può chiedere il rimborso entro quarantotto mesi dal versamento ed, in ogni caso, opporsi, in sede contenziosa, alla maggiore pretesa tributaria dell'Amministrazione finanziaria».

In particolare, nella motivazione della richiamata decisione le Sezioni Unite hanno precisato: «La natura giuridica della dichiarazione fiscale quale mera esternazione di scienza, il principio di capacità contributiva di cui all'art. 53 Cost., il disposto dell'art. 10 dello Statuto del contribuente - secondo cui i rapporti tra contribuente e fisco sono improntati al principio di collaborazione e buona fede - nonché il diverso piano sul quale operano le norme in materia di accertamento e riscossione, rispetto a quelle che governano il processo tributario, comportano poi l'inapplicabilità in tale sede, delle decadenze prescritte per la sola fase amministrativa. Oggetto del contenzioso giurisdizionale è infatti l'accertamento circa la legittimità della pretesa impositiva, quand'anche fondata sulla base di dati forniti dal contribuente. E' agevole rilevare che, in tal caso, non si vede in tema di "dichiarazione integrativa" ex art. 2 cit., o di richiesta di rimborso ex art. 38 cit., onde non può escludersi, sulla base dei suesposti principi, il diritto del contribuente a contestare il provvedimento impositivo, fornendo prova delle circostanze, quali anche errori o omissioni presenti nella dichiarazione fiscale».

In tale prospettiva, le Sezioni Unite hanno condiviso l'orientamento che riconosce la possibilità per il contribuente, in sede contenziosa, di opporsi alla maggiore pretesa tributaria azionata dal fisco - anche con diretta iscrizione a ruolo a seguito di mero controllo automatizzato - allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella sua redazione ed incidenti sull'obbligazione tributaria.

6. In conclusione, deve essere accolto il secondo motivo di ricorso, nei termini sopra precisati. La sentenza impugnata deve essere, pertanto, cassata con rinvio, anche per le spese del presente giudizio dì legittimità, alla Commissione Tributaria Regionale della Puglia, in diversa composizione.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il secondo motivo di ricorso; rigetta nel resto. Cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Puglia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.