Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 09 gennaio 2019, n. 345

Tributi - Accertamento - Cessione dei diritti alle prestazioni sportive di calciatori - Riscossione

 

Svolgimento del processo

 

La controversia concerne il recupero a tassazione di minusvalenze ed ammortamenti derivanti dalla cessione dei diritti alle prestazioni sportive di calciatori.

In particolare, con riferimento agli anni d'imposta 2004 e 2005, l'Ufficio di M.o 1, con quattro distinti avvisi di accertamento, ha effettuato nei confronti della A.C. M. spa due recuperi ai fini Ires ed Irap.

Il primo ha riguardato l'indeducibilità di minusvalenze correlate alla cessione di contratti aventi ad oggetto i diritti alle prestazioni sportive di calciatori, sul rilievo che, trattandosi di cessioni avvenute in assenza di corrispettivo, non fosse applicabile l'art. 101, comma 1, TUIR, in base al quale le minusvalenze di beni relativi all'impresa sono deducibili solo ove realizzate mediante cessione a titolo oneroso.

Il secondo, invece, è stato inerente al recupero a tassazione di quote di ammortamento indebitamente detratte in relazione alla cessione dei contratti di prestazione sportiva dei calciatori D'A. e D. con accordo di compartecipazione al 50%.

Con separati ricorsi innanzi alla CTP di M.o, l'A.C. M. spa ha domandato l'annullamento degli avvisi sostenendo che:

-il trasferimento delle prestazioni sportive di un calciatore da un club all'altro sarebbe stato riconducibile ad una cessione di contratto tra datori di lavoro, con conseguente trasferimento del diritto di esigere la prestazione sportiva dietro pagamento dell'ingaggio annuale, circostanza che avrebbe reso evidente che detta cessione, pur se a costo zero, non sarebbe stata a titolo gratuito;

- l'Ufficio procedente errava nell'affermare che avrebbe dovuto iscrivere come immobilizzazione immateriale un valore minore.

La CTP di M.o, nel contraddittorio delle parti, riuniti i ricorsi, con sentenza n. 129/19/09, ha in parte accolto le richieste di parte ricorrente, annullando la pretesa fiscale relativa al mancato riconoscimento della deducibilità delle minusvalenze da cessione e confermando quella concernente il disconoscimento della maggior quota di ammortamento dedotta per l'acquisto in compartecipazione dei calciatori D. e D'A..

Con atto di appello depositato il 29 luglio 2010 l'Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di M.o 1, ha impugnato la sentenza summenzionata, nella parte in cui era stato in parte accolto il ricorso presentato dalla A.C. M. spa contro l'avviso di accertamento maggiore imposta Ires anno 2004.

L'A.C. M. spa si è costituita, proponendo appello incidentale quanto al capo di sentenza attinente ai maggiori ammortamenti dedotti.

La CTR, con sentenza n. 75/36/11, ha respinto l'appello principale ed accolto quello incidentale.

L'Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.

L'A.C. M. spa ha resistito con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

1.Con il primo motivo l'amministrazione ricorrente contesta la violazione e falsa applicazione dell'articolo 1406 c.c. e dell'articolo 5 della legge n. 91 del 1981 in combinato disposto con l'articolo 101 TUIR.

Ad avviso di parte ricorrente, la CTR avrebbe errato nel ritenere che la cessione, senza un corrispettivo, di un contratto, avente ad oggetto le prestazioni sportive di un calciatore, fosse un atto a titolo oneroso e non gratuito perché ad essa sarebbero conseguiti per il cessionario un vantaggio, rappresentato dall'acquisizione di un giocatore, con relativo sacrificio, costituito dal pagamento dell'ingaggio del professionista.

Inoltre, non sarebbe stato neppure contestabile che il diritto all'utilizzo esclusivo della prestazione dell'atleta, oggetto del contratto ceduto, fosse un bene immateriale strumentale dell’impresa e, quindi, ammortizzabile, ed il relativo costo una immobilizzazione, con la conseguenza che alla relativa cessione doveva applicarsi l'articolo 101 TUIR, nella versione vigente all'epoca dei fatti, in base al quale le minusvalenze di beni relativi all'impresa erano deducibili se realizzate mediante cessione a titolo oneroso, ipotesi che, nella specie, non ricorreva.

La doglianza merita accoglimento.

Secondo l'articolo 101, comma 1, del TUIR, nel testo successivo alla modifica apportata dall'articolo 1 del d.lgs. n. 344 del 12 dicembre 2003, applicabile alla fattispecie,perché concernente i periodi d’imposta 2004 e 2005, le minusvalenze dei beni relativi all'impresa, diversi da quelli indicati negli articoli 85, comma 1, e 87, determinate con gli stessi criteri stabiliti per la determinazione delle plusvalenze, sono deducibili se sono realizzate ai sensi dell'articolo 86, commi 1, lettere a, b e c, e 2.

L'articolo 86, comma 1, lettera a), TUIR dell'epoca prescrive che le plusvalenze dei beni relativi all'impresa, diversi da quelli indicati nel comma 1 dell'articolo 85, concorrono a formare il reddito se "sono realizzate mediante cessione a titolo oneroso".

Pertanto, se ne ricava che le minusvalenze dei beni relativi all'impresa sono deducibili, in virtù della normativa riportata, qualora siano realizzate con una cessione a titolo oneroso.

Nella specie, la A.C. M. spa ha ritenuto che le minusvalenze ricollegabili alla cessione di prestazioni sportive di calciatori avvenute senza un corrispettivo fossero detraibili in quanto effetto di cessione a titolo oneroso.

Sostiene, altresì, la società controricorrente che la cessione in questione, avendo ad oggetto un contratto di lavoro ex legge n. 91 del 1981, non comporterebbe un trasferimento di beni, non riguardando diritti reali su un bene materiale od immateriale, ma "rapporti giuridici cartolarmente ed unitariamente compresi in un contratto di lavoro".

Ricorrerebbe, pertanto, ad avviso dell'A.C. M. spa, un semplice "passaggio di una relazione giuridica", che determinerebbe il subentro del cessionario nell’intera posizione del cedente e non in uno specifico diritto di credito senza, però, acquisire un dominio incondizionato ed illimitato sul bene "che il contratto presuppone".

Le questioni da cui dipende la soluzione della controversia sono due.

In primo luogo, se il diritto di una società sportiva a godere della prestazione professionale di un calciatore rientri fra i beni relativi all'impresa ai sensi dell'articolo 101, comma 1, del TUIR.

Inoltre, nel caso di una risposta affermativa, se la relativa cessione da una società sportiva ad un'altra, qualora avvenga in assenza di un corrispettivo, sia qualificabile come a titolo gratuito o, in ragione dell'assunzione, ad opera della parte cessionaria, dell'obbligo di pagare il compenso del ceduto, sia da intendere a titolo oneroso.

La problematica iniziale si ricollega a quella concernente la stessa imponibilità ai fini Irap delle plusvalenze realizzate dalle società di calcio nel periodo anteriore al 2008 in conseguenza della cessione dei contratti di prestazione sportiva dei calciatori.

Le disposizioni in tema di Irap prevedono che la base imponibile sia determinata anche dalle plusvalenze derivanti dalla cessione di immobilizzazioni strumentali sia materiali che immateriali, vale a dire di beni correlati all'attività dell'impresa, da intendere, ai sensi dell'articolo 2424 bis c.c., quali elementi patrimoniali destinati ad essere utilizzati durevolmente.

Le società di calcio, pur iscrivendo di solito i costi collegati alle operazioni de quibus fra le immobilizzazioni immateriali in quanto diritti pluriennali alle prestazioni sportive dei calciatori, hanno negato in passato si trattasse di cessioni del contratto di prestazione sportiva perché, in realtà, si sarebbe verificata non una cessione contrattuale, ma una risoluzione anticipata dell'originario contratto fra il calciatore e la società presso cui giocava con successiva stipulazione fra il medesimo professionista e la sua nuova società di un nuovo contratto.

La somma eventualmente versata da una società all'altra sarebbe stata non il corrispettivo di una cessione insussistente, ma del diritto a contrarre con il calciatore in seguito alla risoluzione anticipata del rapporto con la società cedente.

La tesi contrapposta, invece, portata avanti dall'amministrazione finanziaria, è sempre stata nel senso che l'operazione rappresentasse una unitaria cessione contrattuale.

A favore di questa ultima impostazione è intervenuto il Consiglio di Stato che, con parere n. 5285 dell'11 dicembre 2012, ha chiarito che, nella specie, si realizza una cessione del contratto, per l'esattezza la cessione del diritto all'utilizzo esclusivo della prestazione dell'atleta verso corrispettivo, diritto da qualificare come bene immateriale strumentale all'esercizio dell'impresa.

Tale ricostruzione è stata sostanzialmente fatta propria anche da alcune recenti pronunce di legittimità (Cfr. in motivazione Cass., Sez. 6 - 5, n. 24588 del 2 dicembre 2015, che assume come ormai condivisa l'impostazione del parere summenzionato e dà atto del contrasto esistente nella giurisprudenza di merito).

Non sussistono, peraltro, valide ragioni per discostarsi dall'orientamento avallato dal Consiglio di Stato e, implicitamente, dalla Corte di Cassazione.

Infatti, la tesi che scompone in tre parti quella che appare essere una vicenda negoziale unitaria non riesce ad individuare l'interesse concreto che dovrebbe giustificare le stipulazioni in esame, che resterebbero senza causa se prese singolarmente.

Inoltre, essa contrasta con la lettera dell'articolo 5 della legge n. 91 del 1981, secondo cui, con riguardo alle prestazioni sportive dei calciatori, "è ammessa la cessione del contratto, prima della scadenza, da una società sportiva ad un'altra, purché vi consenta l'altra parte e siano osservate le modalità fissate dalle federazioni sportive nazionali".

Affermare, quindi, che vi sarebbe, nella specie, una prima risoluzione anticipata cui seguirebbero una nuova stipulazione di un contratto e il pagamento del valore del diritto a contrarre, condurrebbe a negare la ricorrenza di una "cessione del contratto" come espressamente richiesto dall'articolo 5 citato, considerato che, così argomentando, nulla sarebbe trasferibile, il vecchio rapporto essendosi risolto.

Non sarebbe neppure chiara la ragione della prescrizione del consenso del ceduto al trasferimento, dovendo egli solo accettare la risoluzione anticipata del suo contratto con la società sportiva di origine.

Non è, però, accettabile l'affermazione della società controricorrente, per la quale la cessione in questione, avendo ad oggetto un contratto di lavoro ex legge n. 91 del 1981, non comporterebbe un trasferimento di beni, non riguardando diritti reali su un bene materiale od immateriale, ma "rapporti giuridici cartolarmente ed unitariamente compresi in un contratto di lavoro".

Ciò che è trasferito, nel rapporto fra cedente e cessionario è il diritto a beneficiare della prestazione professionale del calciatore, una utilità giuridica assolutamente suscettibile di valutazione economica e di circolazione, con riferimento alla quale non sussistono ragioni per escluderla dal novero delle immobilizzazioni strumentali e, quindi, dei beni correlati all'attività dell'impresa ex articolo 2424 bis c.c., in particolare dei beni immateriali.

La ricostruzione dell'A.C. M. spa che nega possa parlarsi, nella fattispecie, di un trasferimento di beni perché questo dovrebbe riguardare un diritto reale su un bene materiale od immateriale e non un rapporto di lavoro non trova sostegno normativo, ma, anzi, è smentita dall'articolo 2424 c.c. che, con riferimento all'attivo, alla lettera B, relativa alle immobilizzazioni immateriali, inserisce rapporti che non sono riconducibili al classico schema dei diritti reali, come i diritti di brevetto industriale, le concessioni, le licenze, i marchi ecc. e chiude il tutto con la voce n. 7 altre che ha una valenza di chiusura.

Il fatto che la società cessionaria subentri nell'intera posizione del cedente rappresenta ulteriore argomento in favore della ricorrenza di un trasferimento fiscalmente rilevante nei termini prospettati dalla parte ricorrente, il diritto alla prestazione divenendo esclusivamente una utilità acquisita al patrimonio della nuova società.

D'altronde, la stessa società controricorrente si contraddice, nella misura in cui richiede di applicare l'articolo 101, comma 1, TUIR, in tema di minusvalenze.

Il diritto trasferito dal cedente al cessionario con la cessione del contratto avente ad oggetto le prestazioni sportive di un calciatore è, dunque, da considerare un bene immateriale strumentale all'esercizio dell'impresa (essendo nella natura delle società calcistiche mettere sotto contratto atleti) idoneo ad essere trasferito ed a generare minusvalenze ai sensi dell'articolo 101, comma 1, TUIR, all'epoca vigente.

Occorre a questo punto affrontare la seconda questione posta con il primo motivo, vale a dire se la cessione del contratto de quo da una società sportiva ad un'altra, qualora avvenga in assenza di un corrispettivo, sia qualificabile come a titolo gratuito o, in ragione dell'assunzione, ad opera della parte cessionaria, dell'obbligo di pagare il compenso del ceduto, sia da intendere a titolo oneroso.

Deve ritenersi che un atto posto in essere senza un corrispettivo sia, in linea di principio, a titolo gratuito, accogliendosi, dunque, una nozione di causa gratuita in termini di interesse al conferimento di beni o alla prestazione di servizi senza una corrispondente prestazione principale a carico del beneficiario.

Il fatto che da una cessione possa derivare un costo per il cessionario non comporta assolutamente che l'atto divenga a titolo oneroso, rilevando non la conseguenza indiretta del trasferimento, ma la sua giustificazione causale, intesa in concreto, vale a dire l'interesse del cedente a privarsi del suo diritto esclusivo a godere delle prestazioni sportive del calciatore senza ricevere nulla in cambio.

Ovviamente varie possono essere le ragioni del trasferimento, ma queste integrano meri motivi dello stesso, ben potendo con la cessione il cedente ottenere una utilità ovvero evitare un pregiudizio.

Eventualmente, però, la questione della convenienza, in termini puramente pratici, di una operazione per il cedente può rilevare ai fini della distinzione fra gratuità e liberalità dell'atto interessato.

Tale distinzione, che la società ricorrente sembra non tenere in adeguata considerazione, deve essere, invece, ribadita.

Infatti, nulla esclude che un atto, pur gratuito, arrechi un beneficio, in termini di esclusione di un costo, od eviti un danno a chi lo compie, mentre un atto donativo, sia tipico che atipico, presuppone, invece, una causa donandi o, comunque, negli atti direttamente traslativi, una notevole differenza di valore fra le controprestazioni.

È, al contrario, diffusa l'opinione che rientrino nell'ambito dell'arricchimento donativo le sole prestazioni di dare e quelle di fare che si sostanzino in un dare; in particolare, fuori di tale ambito, si avrebbe un contratto a titolo gratuito, integrante gli estremi di un effetto-vantaggio gratuito e non quelli di un effetto-arricchimento liberale.

L'esclusione delle prestazioni di fare conduce, soprattutto, ad espungere dallo schema donativo il risparmio di spesa, così come il mancato guadagno.

Quanto al cessionario, si rileva che, argomentando come la CTR, secondo la quale il pagamento dell'ingaggio del giocatore renderebbe la cessione a titolo oneroso, sarebbe impossibile compiere atti a titolo gratuito o liberalità che riguardino diritti reali immobiliari, a questi essendo ricollegato sempre un costo economico.

Occorre avere ben presente che la cessione di un contratto è essa stessa un contratto che prescinde dalla natura onerosa o gratuita di quello ceduto, rispetto al quale ha una propria autonomia (arg. Cass., n. 5244 del 15 marzo 2004), tanto che quest'ultimo resta immutato negli elementi oggettivi essenziali, cambiando solo dal lato soggettivo (arg. Cass., n. 16635 del 5 novembre 2003).

Pertanto, non è corretto desumere il carattere oneroso della cessione dal fatto che il rapporto ceduto è esso oneroso, venendo confusi profili che devono rimanere distinti.

La tesi della società controricorrente è, poi, non convincente perché esclude, nella sostanza, che la cessione di un contratto come quello in esame possa essere a titolo gratuito, non essendo possibile che il giocatore ceduto non percepisca un compenso.

Deve ritenersi, quindi, che la cessione da una società sportiva ad un'altra di un contratto avente ad oggetto la prestazione professionale di un calciatore senza il pagamento di un corrispettivo sia atto a titolo gratuito, non rilevando la circostanza che la parte cessionaria dovrà corrispondere al giocatore ceduto il compenso dovutogli.

Non condivisibile è la riflessione del Procuratore generale, il quale ha affermato, in udienza, il carattere oneroso dell'operazione alla luce dei principi esposti dalla sentenza delle Sez. U. n. 6538 del 18 marzo 2010.

A prescindere dalla diversità della fattispecie in esame, si osserva che detta sentenza è coerente con la conclusione cui è giunto il Collegio. Infatti, la decisione appena menzionata, con riferimento alla tematica della dichiarazione di inefficacia degli atti a titolo gratuito ex articolo 64 legge fall., sostiene che <<la valutazione di gratuità od onerosità di un negozio va compiuta con esclusivo riguardo alla causa concreta, costituita dalla sintesi degli interessi che lo stesso è concretamente diretto a realizzare, al di là del modello astratto utilizzato, e non può quindi fondarsi sull'esistenza, o meno, di un rapporto sinallagmatico e corrispettivo tra le prestazioni sul piano tipico ed astratto, ma dipende necessariamente dall'apprezzamento dell'interesse sotteso all'intera operazione da parte del "solvens", quale emerge dall'entità dell'attribuzione, dalla durata del rapporto, dalla qualità dei soggetti e soprattutto dalla prospettiva di subire un depauperamento, collegato o meno ad un sia pur indiretto guadagno ovvero ad un risparmio di spesa. Pertanto, nell'ipotesi di estinzione da parte del terzo, poi fallito, di un'obbligazione preesistente cui egli sia estraneo, l'atto solutorio può dirsi gratuito, ai predetti effetti solo quando dall'operazione - sia essa a struttura semplice perché esaurita in un unico atto, sia a struttura complessa, in quanto si componga di un collegamento di atti e di negozi - il terzo non tragga nessun concreto vantaggio patrimoniale, avendo egli inteso così recare un vantaggio al debitore; mentre la causa concreta deve considerarsi onerosa tutte le volte che il terzo riceva un vantaggio per questa sua prestazione dal debitore, dal creditore o anche da altri, così da recuperare anche indirettamente la prestazione adempiuta ed elidere quel pregiudizio, cui l'ordinamento pone rimedio con l'inefficacia "ex lege">>.

Nel caso in esame, il concreto atteggiarsi dell'operazione conclusa induce ad accogliere la qualificazione della stessa come gratuita, non essendo possibile scomporla in più negozi, ma rappresentando essa una vicenda giuridica ed economica unitaria, finalizzata ad ottenere certo un risparmio di spesa per la società ricorrente, cui, però, si è accompagnata la perdita, per la medesima società, del diritto a beneficiare della prestazione del calciatore, mentre la parte cessionaria, oltre a conseguire il godimento della prestazione de qua, ne ha acquisito, altresì, il relativo costo.

Se ne ricava, in assenza della pattuizione di un corrispettivo ulteriore in favore del cedente ed a carico del cessionario, integrante gli estremi di una controprestazione principale collegata al trasferimento del diritto a ricevere la prestazione dell'atleta, la sostanziale gratuità della cessione.

2.Con il secondo motivo l'amministrazione ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'articolo 103 TUIR.

Infatti, ad avviso di parte ricorrente, la CTR avrebbe erroneamente ritenuto che, nonostante l'avvenuta iscrizione a bilancio di una quota di ammortamento superiore a quella fiscalmente riconoscibile ad opera della controparte, non si sarebbe, però, verificato un danno per l'erario, poiché una somma più alta sarebbe stata indicata nella voce ricavi e, quindi, comunque, tassata.

In particolare, l'A.C. M. spa avrebbe mal calcolato la quota di ammortamento de qua in quanto avrebbe inserito fra le immobilizzazioni immateriali, con riferimento alla cessione di due calciatori con accordo di compartecipazione al 50% risolto, in seguito, in favore della medesima società, il costo complessivo delle due cessioni originarie (pari in un caso a € 4.000.000,00 e nell'altro ad € 260.000) e non quello del valore della compartecipazione sommato all'esborso sostenuto per il riacquisto (nella prima ipotesi di € 2.800.000,00, nella seconda di € 160.000,00).

La doglianza è inammissibile, non cogliendo la ratio della decisione.

Infatti, la CTR ha riconosciuto la correttezza dell'impostazione dell'amministrazione finanziaria.

Pertanto, ha affermato il condivisibile principio che, nell'eventualità della cessione del diritto alle prestazioni sportive di un calciatore con accordo di compartecipazione al 50% risolto, in seguito, in favore di una delle società sportive coinvolte, deve essere inserito fra le immobilizzazioni immateriali un valore pari non al costo complessivo della cessione originaria, ma alla somma del valore della compartecipazione e dell'esborso per il riacquisto.

Essa ha, però, pure rilevato che, in concreto, non vi era stato un danno per l'erario, essendo stata la differenza in questione inserita fra i ricavi ed integralmente tassata nell'anno di riferimento.

Tale affermazione non è stata contestata se non in maniera estremamente generica, con la conseguenza che, perciò, il motivo è inammissibile.

3.Il ricorso va, pertanto, accolto, limitatamente al primo motivo, e la sentenza impugnata deve essere cassata.

Sussistono i presupposti per decidere la causa nel merito, ai sensi dell'articolo 384 c.p.c., non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto.

Pertanto, alla luce di quanto esposto, sono accolti i ricorsi proposti in primo grado dalla A.C. M. spa limitatamente al recupero a tassazione delle quote di ammortamento detratte in relazione alla cessione dei contratti di prestazione sportiva dei calciatori D'A. e D., mentre sono respinti per la restante parte.

Le spese di lite di tutti i gradi di giudizio sono compensate ex articolo 92 c.p.c., in ragione della novità delle questioni.

 

P.Q.M.

 

- accoglie il primo motive di ricorso e dichiara inammissibile il secondo;

-cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie i ricorsi proposti in primo grado dalla A.C. M. spa limitatamente al recupero a tassazione delle quote di ammortamento detratte in relazione alla cessione dei contratti di prestazione sportiva dei calciatori D'A. e D., respingendoli per la restante parte;

- compensa le spese di lite di tutti i gradi di giudizio.