Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 17 ottobre 2018, n. 47107

Tributi - Imposte sui redditi - Dichiarazione annuale - Violazioni - Sanzioni penali - Art. 5, D.Lgs. n. 74/2000

 

Ritenuto in fatto

 

1. È impugnata la sentenza indicata in epigrafe con la quale la Corte di appello di Firenze ha parzialmente riformato la pronuncia emessa dal tribunale di Pistoia, riducendo la pena inflitta alla ricorrente in quella di mesi cinque e giorni venti di reclusione per il reato previsto dall'articolo 5 decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 perché, in concorso con M.V.I., G.C. e P.C. amministratori di fatto, V.R. amministratrice di diritto, ometteva di presentare la dichiarazione annuale della P.B. Srl relativa all'anno d'imposta 2011 per la quale la Direzione Provinciale dell'Agenzia delle Entrate di Pistoia ha calcolato le seguenti imposte evase: IRES per euro 160.396,00, Irap per euro 22.747,14 ed Iva per euro 122.072,0. Reato commesso in Pistoia nel 2012.

2. Per l'annullamento dell'impugnata sentenza la ricorrente, tramite il difensore, articola un unico motivo di impugnazione, qui enunciato, ai sensi dell'articolo 173 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura penale, nei limiti strettamente necessari per la motivazione.

2.1. Con esso la ricorrente deduce l'inosservanza e l'erronea applicazione della legge penale nonché la manifesta illogicità della motivazione (articolo 606, comma 1, lettere b) ed e), del codice di procedura penale), in relazione alla confisca per equivalente dei beni mobili ed immobili di proprietà della R. fino alla concorrenza di € 305.215,14.

Sostiene che la Corte di appello non ha correttamente osservato ed applicato il combinato disposto degli articoli 322-ter del codice penale e 1, comma 143, L. n. 244/07 (ora trasfusi nell'articolo 12-bis D.Lgs. n. 74 del 2000), giacché la confisca per equivalente è stata disposta in modo automatico senza prima verificare se la società P.B. srl - ancora attiva - avesse provveduto o meno al pagamento di quanto dovuto all'erario. Peraltro, il provvedimento ablatorio concerneva - oltre ai beni che erano già stati sottoposti a sequestro preventivo adottato dal GIP di Pistoia in data 19 settembre 2013 - "anche i beni personali della R., pur non direttamente attinta dal provvedimento di sequestro, in via analogica trattandosi di confisca obbligatoria".

La sentenza impugnata sarebbe perciò incorsa nel vizio di erronea applicazione dell'articolo 322-ter del codice penale, avendo la Corte di appello travisato la portata di detta norma, che non può essere applicata, atteso il suo carattere sanzionatorio, in modo automatico senza prima verificare, come già premesso, se sia stata pagata l'imposta dovuta; tanto più nel caso di specie, ove l'omessa dichiarazione dei redditi riguardava una persona giuridica (la P.B. srl) e la confisca per equivalente è stata estesa in via analogica ai beni dell'imputata.

Inoltre, la motivazione dei giudici di appello si mostrerebbe manifestamente illogica, posto che l'obbligatorietà della confisca prevista per i reati tributari non ne implica in ogni caso l'applicazione automatica.

 

Considerato in diritto

 

1. Il ricorso è parzialmente fondato nei limiti di seguito indicati.

2. Quanto all'omesso accertamento circa l'eseguito adempimento da parte della persona giuridica dell'imposta evasa, circostanza che precluderebbe l'irrogazione della confisca a carico della persona fisica che ha commesso il reato tributario a beneficio dell'ente, va chiarito come sull'interessato incomba un onere specifico di allegazione in proposito, che non equivale ad una inversione dell'onere della prova, perché non si richiede al soggetto attinto dalla misura ablatoria di assolvere una prova negativa, ma soltanto di introdurre nel processo elementi specifici, se a sua disposizione, che possono consentire un accertamento al riguardo, in maniera che non si verifichi un ingiustificato arricchimento dell'erario a danno del soggetto che subisce la misura.

Infatti, la mancata allegazione, mediante l'introduzione nel processo di fatti specifici, si risolve in un motivo generico (se l'allegazione vi sia stata, difettando tuttavia di specificità) o in una domanda nuova (se, come nel caso in esame, l'allegazione non sia stata in alcun modo proposta nei precedenti gradi di merito e sia sollevata per la prima volta nel giudizio di legittimità), che comporta l'inammissibilità del motivo, fermo restando che la parte interessata - qualora l'ente, che ha beneficiato del profitto connesso alla realizzazione del reato tributario, abbia adempiuto all'obbligazione tributaria mediante il pagamento, anche postumo, dell'ammontare dell'imposta evasa, degli interessi e delle sanzioni - può chiedere, in ogni tempo, al giudice dell'esecuzione la revoca del provvedimento sanzionatorio (proprio perché diversamente si verificherebbe un ingiustificato arricchimento della parte pubblica, aspetto che non viene meno sulla base della natura sanzionatoria della misura, perché questa trova la sua ragion d'essere proprio nell'esigenza di consentire il recupero del profitto ingiustamente conseguito da soggetto diverso dall'autore del reato e colpisce quest'ultimo - giammai la persona giuridica in quanto i reati tributari esulano dal novero di quelli per i quali la confisca per equivalente può essere disposta a carico dell'ente, sempre che presso la persona giuridica non sia stato rintracciato il profitto diretto - mediante l'ablazione di beni di valore corrispondente al profitto del reato tributario, del quale la persona fisica, per definizione, non ha beneficiato), ovvero, comunque, può rivalersi civilmente, sussistendone le condizioni, a carico dell'ente, che ha invece beneficiato del profitto stesso.

Allo stesso modo, quando si procede per reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, è legittimo il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente dei beni dell'imputato sul presupposto dell'impossibilità di reperire il profitto del reato nel caso in cui dallo stesso soggetto non sia stata fornita la prova (intesa come onere specifico di allegazione) della concreta esistenza di beni nella disponibilità della persona giuridica su cui disporre la confisca diretta (Sez. 3, n. 42966 del 10/06/2015, Kelin, Rv. 265158), non potendo essere il profilo dedotto genericamente per la prima volta, nel corso del giudizio di legittimità.

Ne consegue che, da entrambi i punti di vista, i rilievi evidenziati con il motivo di impugnazione non sono fondati.

3. E' invece fondato il rilievo sull'ampiezza della disposta confisca, ossia in ordine al quantum del profitto del reato confiscabile per equivalente.

La giurisprudenza di legittimità ha affermato, con indirizzo che va qui ribadito, che, nel sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, ai fini della quantificazione del profitto del reato tributario, è irrilevante l'evasione dell'imposta regionale sulle attività produttive (IRAP), non trattandosi di un'imposta sui redditi in senso tecnico (Sez. 3, n. 12810 del 26/01/2016, Monaco, Rv. 266486; Sez. 3, n. 11147 del 15/11/2011, dep. 2012, Prati, Rv. 252359).

La ragione di tale orientamento fonda sul rilievo che l'imposta regionale sulle attività produttive, avendo natura reale, si considera non incidente sul reddito e tale circostanza motiva l'esclusione della dichiarazione IRAP ai fini della quantificazione dell'imposta evasa.

Si tratta di un approdo che trova un aggancio nella Circolare del Ministero delle Finanze - (CIR) n. 154 E del 4 agosto 2000, secondo cui le dichiarazioni costituenti l'oggetto materiale dei reati tributari sono solamente le dichiarazioni dei redditi e le dichiarazioni annuali IVA, con la conseguenza che, nella citata circolare, sono state, ad esempio, ritenute escluse dalle relative fattispecie criminose le dichiarazioni prodotte, appunto, ai fini dell'IRAP nonché le dichiarazioni periodiche IVA e le dichiarazioni di successione.

Da ciò consegue che l'IRAP evasa non poteva essere calcolata ai fini della determinazione del profitto confiscabile.

Sebbene la questione non sia stata proposta in questi termini dalla ricorrente, che ha impugnato in toto la statuizione sulla confisca ma non per tale specifica ragione, deve tuttavia ritenersi, in conformità ad altre decisioni assunte da questa Sezione sul punto, che il profilo sia rilevabile d'ufficio.

Infatti, la confisca per equivalente, introdotta per i reati tributari dall'articolo 1, comma 143, I. n. 244 del 2007, ed ora prevista dall'articolo 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000, ha natura eminentemente sanzionatoria (ex multis, Sez. U, n. 18374 del 31/01/2013, Adani, Rv. 255037).

La natura sanzionatoria della confisca per equivalente è stata affermata dalla Corte costituzionale che ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 143, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, nella parte in cui, prevedendo, per i reati tributari, la confisca obbligatoria per un valore corrispondente a quello del profitto, ha stabilito che essa non opera retroattivamente. Invero, la mancanza di pericolosità dei beni che sono oggetto della confisca per equivalente, unitamente all'assenza di un "rapporto di pertinenzialità" tra il reato e detti beni, conferiscono all'indicata confisca una natura <<eminentemente sanzionatoria>>, che impedisce l'applicabilità a tale misura patrimoniale del principio generale dell'art. 200 cod. pen., secondo cui le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione, e possono essere, quindi, retroattive, sottolineando che a tale conclusione si giunge sulla base della duplice considerazione che il secondo comma dell'art. 25 Cost. vieta l'applicazione retroattiva di una sanzione penale e che la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo ha ritenuto in contrasto con i principi sanciti dall'art. 7 della Convenzione l'applicazione retroattiva di una confisca di beni riconducibile proprio ad un'ipotesi di confisca per equivalente (Corte cost. n. 301 del 23/09/2009, Rv. 0034107).

Logico corollario di tali approdi è che la confisca di valore, avendo natura eminentemente sanzionatoria, partecipa alla disciplina delle sanzioni penali, con la conseguenza che essa non può essere disposta ed eseguita per un valore superiore al profitto del reato, risolvendosi, in caso contrario, nell'applicazione di una pena illegale, alla quale sarebbe pienamente equiparabile, sicché, nel caso di superamento del valore confiscato rispetto al prezzo o profitto del reato, l'importo deve essere ridotto anche d'ufficio.

Nel caso in esame, la sentenza impugnata ha confermato sul punto la statuizione contenuta nella sentenza del Tribunale di Pistoia che aveva disposto nei confronti della sig.ra R. la confisca del profitto del reato fino alla concorrenza di euro 305.215,14 pari all'importo della somma evasa di cui al capo f) della rubrica che prevedeva le seguenti imposte evase: IRES per euro 160.396,00, Irap per euro 22.747,14 ed Iva per euro 122.072,00.

Ne consegue che il profitto confiscabile per equivalente deve essere rideterminato, sottraendo dall'importo complessivo di euro 305.215,14 la somma euro 22.747,14 per IRAP, erroneamente calcolata quale profitto del reato tributario.

Pertanto la sentenza impugnata va annullata senza rinvio limitatamente alla confisca del profitto del reato di cui all'articolo 5, decreto legislativo n. 74 del 2000 (capo F della rubrica) che va rideterminato in euro 282.468,00.

Il ricorso va rigettato nel resto.

 

P.Q.M.

 

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla quantificazione della disposta confisca che riduce ad euro 282.468,00.

Rigetta nel resto il ricorso.