Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 17 luglio 2018, n. 19013

Licenziamento disciplinare - Mancata osservanza di un ordine di servizio - Aggressione al superiore - Contrattazione collettiva - Sanzione non espulsiva

 

Svolgimento del processo

 

G.L.R. proponeva reclamo avverso la sentenza 24.3.15 del Tribunale di Prato con cui fu ritenuto legittimo il licenziamento disciplinare intimatogli dalla s.p.a. F.lli C. il 4.7.13 per avere ignorato un ordine di servizio in base al quale egli avrebbe dovuto iniziare il lavoro, il giorno 20.6.13, alle ore 10 anziché alle ore 6, come in effetti fece, ed inoltre per aver negato con veemenza di aver ricevuto tale ordine, aggredendo per giunta l'autore dell'o.d.s. (B.) colpendolo fisicamente.

Con sentenza depositata il 6.10.15, la Corte d'appello di Firenze, svolta attività istruttoria, ridimensionava il fatto contestato, ritenendolo punito dalla contrattazione collettiva con sanzione non espulsiva, sicché dichiarava illegittimo il licenziamento, con ordine di reintegra ex art. 18 S.L.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la società, affidato a due motivi. Resiste il L.R. con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

 

Motivi della decisione

 

l.-Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e\o falsa applicazione degli artt. 2119, 2106 c.c., 75, co. 2, c.c.n.I. industria tessile del 9.7.10.

Lamenta che la sentenza impugnata errò nell'escludere la sussunzione del fatto accertato (acceso diverbio col superiore B., con vie di fatto, in esito al quale questi dovette ricorrere alle cure del Pronto Soccorso) nel concetto di giusta causa di licenziamento, ritenendo inoltre, altrettanto erroneamente, che simile e grave episodio dovesse ricondursi ad ipotesi sanzionate dal c.c.n.I. con sanzione meramente conservativa.

Il motivo è fondato ed assorbe l'intero ricorso.

Pur essendo evidente che l'accertamento compiuto dalla Corte di merito in ordine al fatto contestato non sia più censurabile alla luce del novellato n. 5 dell'art. 360, co. 1 c.p.c., osserva il Collegio che la sentenza impugnata ha accertato che a fronte del rimprovero del superiore circa il mancato rispetto dell'ordine di servizio inerente l'orario di lavoro, il lavoratore abbia instaurato "un acceso diverbio col superiore con vie di fatto, in esito al quale quest'ultimo è dovuto ricorrere alle cure del pronto soccorso" (pag. 2 sentenza impugnata).

Va allora rammentato che (cfr., ex aliis, Cass. n. 18247\09) la giusta causa di licenziamento, quale fatto 'che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto', configura una norma elastica, in quanto costituisce una disposizione di contenuto precettivo ampio e polivalente destinato ad essere progressivamente precisato, nell'estrinsecarsi della funzione nomofilattica della Corte di Cassazione, fino alla formazione del diritto vivente mediante puntualizzazioni, di carattere generale ed astratto; che a tale processo non partecipa invece, la soluzione del caso singolo, se non nella misura in cui da essa sia possibile estrarre una puntualizzazione della norma mediante una massima di giurisprudenza; ne consegue che, mentre l'integrazione giurisprudenziale della nozione di giusta causa a livello generale ed astratto si colloca sul piano normativo, e consente, pertanto, una verifica di legittimità sotto il profilo della violazione di legge, l'applicazione in concreto del più specifico canone integrativo, così ricostruito, rientra nella valutazione di fatto devoluta al giudice di merito.

Nella specie entra in gioco la stessa nozione di giusta causa, così come elaborata dalla giurisprudenza di questa Corte, e la sussunzione dei fatti accertati nel suo alveo al cui interno non può non ricondursi l'acceso diverbio col superiore seguito da vie di fatto, all'esito del quale questi debba ricorrere, per effetto di un pugno sferratogli dal dipendente, alle cure del pronto soccorso (ove venne riscontrato un 'trauma facciale e contusioni multiple con prognosi di cinque giorni, doc.6 già versato in atti e prodotto nuovamente in questa sede, doc. 7), avendo peraltro la sentenza impugnata accertato che era stato ammesso dal lavoratore di aver colpito il B. con un pugno ("l'ammissione non riguarda se non il fatto di aver colpito il B.", pag 2 sentenza impugnata). A ciò aggiungasi che simile comportamento, oltre ad un illecito civile con evidente valenza sul rapporto di lavoro, configura altresì un illecito penale ex art. 582 c.p.

Le circostanze evidenziate dalla sentenza impugnata circa la verosimiglianza di un atteggiamento 'un pò aggressivo' del B., ovvero che nessuno dei testi aveva potuto riferire circa lo sferrare del pugno (a danno del superiore), per un verso non assurgono, neppure nella sentenza impugnata, all'attenuante della provocazione, per altro e decisivo verso contrastano con l'accertamento della medesima corte di merito circa l'acceso diverbio seguito da vie di fatto col superiore (colpito da un pugno sferratogli dal dipendente), all'esito del quale questi dovette ricorrere alle cure del pronto soccorso.

La mancata sussunzione di tale comportamento nel concetto di giusta causa quale elaborato da questa Corte, anche con riferimento alla violazione del cd. minimum etico, Cass. n. 5372\04, sovrattutto l'accertata violenza fisica (produttiva di lesioni personali accertate da un pronto soccorso) nei confronti di un superiore, non può dunque che ritenersi erronea.

A ciò aggiungasi che risulta (parimenti) erronea la tesi della sentenza impugnata secondo cui il c.c.n.I. prevedeva per 'casi analoghi' una sanzione conservativa (ciò rilevando a prescindere dalle considerazioni sul punto svolte dalla sentenza impugnata, e nel secondo motivo di ricorso, circa la tutela applicabile ex art. 18 S.L. così come modificato dalla L. n. 92\12).

Ed invero i casi menzionati dalla corte di merito (abbandono ingiustificato del posto di lavoro, et similia) nulla hanno a che vedere con le lesioni personali provocate al superiore gerarchico da parte del lavoratore, che aveva peraltro contravvenuto l'ordine di servizio inerente l'orario di lavoro.

La stessa sentenza impugnata ha rammentato che l'art. 75 del c.c.n.I. sanzionava col licenziamento il litigio di particolare gravità seguito da vie di fatto 'quando (esso) mostri una tendenza agli atti violenti. Nella specie non può discettarsi di 'tendenza’, essendo stato accertato un (grave) atto violento.

Il primo motivo del ricorso deve essere pertanto accolto, assorbito il secondo (inerente la pur connessa violazione dell'art. 18, commi 4 e 5 L. n. 300\70). La sentenza impugnata deve dunque cassarsi e, non essendo necessari ulteriori accertamenti, la causa viene decisa direttamente da questa Corte con il rigetto dell'originaria domanda.

Le spese di lite sono regolate, in base al principio della soccombenza, come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo del ricorso e dichiara assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e, decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta dal L.R. in primo grado. Condanna quest'ultimo al pagamento delle spese dell'intero processo, liquidate, quanto al primo grado in € 200,00 per esborsi ed € 1.500,00 per compensi; quanto al secondo in € 200,00 per esborsi ed € 2.500,00 per compensi; quanto al presente giudizio di legittimità in € 200,00 per esborsi ed € 3.500,00 per compensi, per tutte oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.