Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 20 settembre 2016, n. 18402

Previdenza - Inps - Benefici contributivi ex art. 8 della L. n. 223/1991 - Fruizione - Cessazione effettiva dell'attività

 

Svolgimento del processo

 

Con la sentenza n. 89 del 2010, la Corte d'appello di Brescia, in riforma della sentenza del Tribunale della stessa sede, rigettava l'opposizione proposta da M.T. s.r.l. avverso la cartella esattoriale con la quale si ingiungeva il pagamento della somma di € 278.076,62 dovuta all'Inps per contributi, somme aggiuntive, interessi di mora e spese di notifica per il periodo settembre-dicembre 2003, importi che la società non aveva versato ritenendo di aver diritto al riconoscimento dei benefici contributivi previsti dall'art. 8 della L. n. 223 del 1991 in favore delle imprese che assumono personale licenziato a seguito di procedura di mobilità.

La Corte territoriale riferiva in fatto che i dipendenti di due società dichiarate fallite il 9 agosto 2002, all'esito della procedura di consultazione di cui all'art. 47 della L. n. 428 del 1990 ed in attuazione degli accordi sindacali intervenuti, dopo un periodo di Cigs venivano posti in mobilità dal curatore del fallimento in data 9.8.2003. M.T., che aveva preso in affitto con contratto del 15.11.2002 le suddette aziende, e quindi tutti i beni aziendali, senza subentro nei contratti in essere al momento del fallimento, ed aveva assunto i lavoratori in Cigs con contratti a tempo determinato con scadenza 31.7.2002, provvedeva in data 1.9.2003 ad assumerli a tempo indeterminato dalle liste di mobilità.

La Corte d’appello riteneva che la società non potesse usufruire dei suddetti benefici contributivi, in quanto non vi era stata la cessazione effettiva dell'attività delle aziende di provenienza e l'assunzione presso diversa azienda, per tale dovendosi intendere un complesso di beni organizzati per la produzione, in quanto il contratto di affitto con le procedure fallimentari non aveva creato un nuovo complesso produttivo.

Per la cassazione della sentenza M.T. ha proposto ricorso, affidato a sei motivi, illustrati anche con memoria ex art. 378 c.p.c., cui ha resistito l'Inps con controricorso. Esatri Equitalia s.p.a. è rimasta intimata.

 

Motivi della decisione

 

I motivi di ricorso possono essere così riassunti:

1. Come primo motivo, M.T. srl addebita alla soluzione della Corte territoriale, che ha negato i benefici contributivi, violazione e falsa applicazione dell'art. 8 commi 1, 4 e 4 bis della L. n. 223 del 1991, dell'articolo 15 comma sei della L. n. 264 del 1949, degli artt. 2555, 2561 e 2562 del codice civile; degli articoli 2112 c.c., 47 comma cinque della L. n. 8 del 1990; degli artt. 90 e 105 del R.D. n. 267 del 1942; dell'art. 3 commi e 3 della L. n. 223 del 1991, dell'art. 8 comma 4 della L. n. 160 del 1988.

Sostiene che nel caso in esame non ricorreva alcuna delle ipotesi che ostano alla concessione dei benefici previste dall’art. 8 della L. n. 223 del 1991. Osserva che è errato ritenere che la fattispecie de quo integrerebbe un trasferimento d'azienda, e che comunque anche se lo fosse non sarebbe ad essa applicabile la normativa ordinaria, che esclude I' applicazione dei benefici. Rileva infatti che nel caso del fallimento, proprio perché l'operazione avviene sotto il controllo delle organizzazioni sindacali, della Direzione provinciale del lavoro, del curatore, del comitato dei creditori e del Tribunale fallimentare, devono escludersi intenti fraudolenti e vengono raggiunte la finalità di consentire la nascita di una nuova impresa/azienda, di rioccupare i lavoratori licenziati o destinati al licenziamento, di sollevare l’Inps dal pagare l'indennità di Cigs e di mobilità e di consentirgli di incassare i contributi previdenziali dalla nuova impresa/azienda, prima ridotti e poi interi e di risolvere il problema sociale creato dalla perdita dei posti di lavoro. Aggiunge che quando non vi sia, come nel caso, l'esercizio provvisorio previsto dall'articolo 90 del R.D. n. 267 del 1942, si crea la definitiva cessazione dell'impresa/azienda fallita, e quindi una cesura invalicabile tra la precedente e la nuova azienda; nel caso, peraltro, al momento delle assunzioni il curatore non era più il gestore delle società, da oltre un anno affittate a M.T., né era un imprenditore, perché la dichiarazione di fallimento senza esercizio provvisorio con messa in Cigs concorsuale di tutti i dipendenti aveva determinato la definitiva cessazione dell'impresa/azienda fallita.

2. Come secondo motivo, la società ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli articoli 116 comma 8 e ss. della L. 388 del 2000 e nullità della sentenza per violazione dell'articolo 115 c.p.c.. Argomenta che M.T. aveva contestato nella memoria di costituzione in appello di essersi conformata alle istruzioni regolamentari dell' Inps, esposte nella circolare 24 giugno 2003 n. 109 prodotta nel fascicolo di primo grado, che espressamente ammetteva che I' unica deroga all'applicazione dell'art. 2112 c.c. ed alla conseguente inapplicabilità dei benefici rimane quella espressamente prevista dall'art. 47, c. 5, della legge n. 428/1990, per cui non avrebbe potuto essere per questo sanzionata.

3. Come terzo motivo, lamenta nullità della sentenza per violazione dell'articolo 115 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli articoli 116 comma 8 e ss. della L. 388 del 2000, dell'art. 1 comma 217 e ss. della L. n. 662 del 1996, come modificato dall'articolo 59 comma 22 della L. n. 449 del 1997. Ribadisce la censura, già formulata nel ricorso di primo grado, secondo la quale le sanzioni sono state calcolate, secondo quanto riferito nella cartella esattoriale, nella misura prevista dall'art. 1 commi 217 ss. della L. n. 662 del 1996, mentre tale disposizione non è applicabile alle somme afferenti periodi posteriori al 1 gennaio 2001.

4. Come quarto motivo, lamenta violazione e falsa applicazione dell'articolo 116 comma 10 della legge 388 del 2000 e sostiene che le sanzioni avrebbero dovuto comunque essere quelle minori dovute per situazioni incerte.

5. Come quinto motivo, lamenta violazione e falsa applicazione dell'articolo 116 comma otto lettere a) e b) della L. n. 388 del 2000 e sostiene che ove avessero dovuto applicarsi le sanzioni, si tratterebbe di ritardato pagamento sanzionato con l'ipotesi dell'omissione e che la Corte territoriale avrebbe erroneamente non attribuito rilevanza all'elemento intenzionale che, solo, è idoneo a qualificare l'ipotesi dell'evasione.

6. Con il sesto motivo, chiede la condanna dell'Inps alla rifusione delle spese dei giudizi d'appello e di cassazione.

7. Il primo motivo non è fondato, avendo fatto la Corte territoriale corretta applicazione della normativa di riferimento, nell'interpretazione che ne è stata data da questa Corte.

Occorre premettere che la disposizione la cui applicazione è invocata dalla parte ricorrente è l'art. 8 comma 4 della L. n. 223 del 1991 (poi abrogato ad opera dalla L. n. 92 del 2012, art. 2 comma 71 lett. b), che al comma 4 dispone che: "Al datore di lavoro che, senza esservi tenuto ai sensi del comma 1, assuma a tempo pieno ed indeterminato i lavoratori iscritti nelle liste di mobilità è concesso, per ogni mensilità di retribuzione corrisposta al lavoratore, un contributo mensile pari al cinquanta per cento della indennità di mobilità che sarebbe stata corrisposta al lavoratore".

L'ipotesi che osta alla fruizione espressamente richiamata è quella dell' art. 8, comma 1, che stabilisce che: "per i lavoratori in mobilità, ai fini del collocamento, si applica il diritto di precedenza nell’assunzione di cui alla L. 29 settembre 1949, n. 264, art. 15, comma 6, e successive modificazioni ed integrazioni". La L. n. 264 del 1949, art. 15, comma 6, e successive modificazioni, prevede a sua volta che "I lavoratori licenziati da un'azienda per riduzione di personale hanno la precedenza nella riassunzione presso la medesima azienda entro un anno" (termine ridotto a sei mesi dal D.Lgs. n. 297 del 19.12.2002, art. 6, in vigore dal 30.1.2003).

L' art. 2 comma 1 del d.l. n. 299 del 1994, conv. in L. 451 del 1994, ha poi aggiunto un'ulteriore ipotesi eccettiva, costituita dall'art. 8 comma 4 bis, a mente del quale "Il diritto ai benefici economici di cui ai commi precedenti è escluso con riferimento a quei lavoratori che siano stati collocati in mobilità, nei sei mesi precedenti, da parte di impresa dello stesso settore di attività che, al momento del licenziamento, presenta assetti proprietari sostanzialmente coincidenti con quelli dell'impresa che assume ovvero risulta con quest'ultima in rapporto di collegamento o controllo. L'impresa che assume dichiara, sotto la propria responsabilità, all’atto della richiesta di avviamento, che non ricorrono le menzionate condizioni ostative. La predetta esclusione non opera nel caso in cui l'assunzione dei lavoratori in mobilità venga effettuata nell'ambito di programmi concordati, presso l'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, con le organizzazioni territoriali dei sindacati maggiormente rappresentativi.".

7.1. Questa Corte si è più volte pronunciata sulla portata delle disposizioni oggetto di causa, anche con riferimento a procedure concorsuali. In particolare, con la sentenza n. 8800 del 2001, giudicando in relazione alla posizione di lavoratori dipendenti di un'impresa posta in concordato preventivo, richiamando Cass. 4 marzo 2000 n. 2443, ha chiarito che il legislatore ha individuato specifiche circostanze ostative (tempo di durata della mobilità, rapporti tra imprese consistenti in assetti proprietari sostanzialmente coincidenti, o in rapporti di collegamento o controllo tra imprese) impeditive - una volta accertate - degli indicati benefici, perché ritenute capaci di concretizzare comportanti elusivi e fraudolenti. Ha quindi ribadito che il riconoscimento dei benefici contributivi de quo presuppone che venga accertato che la situazione di esubero del personale posto in mobilità sia effettivamente sussistente e che l’assunzione a tempo pieno ed indeterminato di detto personale da parte di una nuova impresa risponda a reali esigenze economiche e non concretizzi invece condotte elusive degli scopi legislativi, finalizzati al solo godimento degli incentivi, mediante fittizie e preordinate interruzioni dei rapporti lavorativi. Conseguentemente il diritto alle agevolazioni contributive va escluso ove si accerti che fra l'impresa ammessa alla procedura di mobilità e quella che procede all’assunzione dei lavoratori licenziati è intervenuto un contratto di affitto avente ad oggetto il complesso unitario di tutti i beni aziendali ed idoneo a configurare un vero e proprio trasferimento d'azienda che, ai sensi dell'art. 2112 c.c., importa la continuazione dei rapporti di lavoro con l’acquirente ed è quindi incompatibile con il riconoscimento dei benefici contributivi. Gli stessi principi sono stati ribaditi da Cass. n. 17071 del 2007 con riferimento a dipendenti di azienda in amministrazione controllata e da Cass. n. 15789 del 2008, con riferimento a dipendenti di impresa fallita.

7.2. Che i benefici de quo non spettino quando tra l'impresa che ha collocato i lavoratori in mobilità e quella che li assume siano configurabili gli elementi oggettivi della cessione d'azienda costituisce peraltro orientamento più volte ribadito da questa Corte (Cass. 09/09/2015 n. 17838, 14/12/2011, n. 26873; 08/04/2011, n. 8069).

Tale esclusione discende dal fatto che la finalità delle agevolazioni è quella di favorire l'occupazione dei lavoratori effettivamente espulsi dal mercato del lavoro; poiché, a norma dell'art. 2112, primo comma, cod. civ., in caso di trasferimento di un' azienda (o di un suo ramo), il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il trasferimento non costituisce di per sé motivo di licenziamento, questi è tenuto all'assunzione dei lavoratori; la sussistenza di un obbligo di assunzione ostativo alla percezione dei benefici viene dunque riferita al medesimo complesso produttivo che ha collocato i lavoratori in mobilità, senza che ne rilevi la diversa titolarità. Una formalizzazione di un negozio traslativo che rivesta i caratteri oggettivi della cessione d'azienda non può quindi comunque determinare elusione della normativa previdenziale, non disponibile dalle parti per effetto delle sue ripercussioni sulla finanza pubblica. E sempre in questa direzione, è necessario evidenziare come questa Corte ha anche affermato che ai fini dì ottenere l’applicazione dei benefici contributivi, qualora sia stata accertata la presenza di significativi elementi di permanenza della preesistente struttura aziendale, quali lavoratori ed oggetto sociale, è onere dell’azienda dare dimostrazione degli elementi di novità intervenuti nella struttura (cfr. al riguardo Cass. 12 novembre 1999 n. 12589 e Cass. n. 8800 del 2001, già richiamata) e, si aggiunge, delle significative integrazioni apportate al complesso originario per consentire al complesso ceduto di svolgere autonomamente la propria funzione produttiva (v. da ultimo sul tema Cass. n. 9582 del 2016).

7.3. Occorre quindi esaminare la questione della portata dell' art. 47, comma 5, della legge 29 dicembre 1990 n. 428 (legge comunitaria per il 1990), nel testo operante ratione temporis, che dispone:

"Qualora il trasferimento riguardi aziende o unità produttive delle quali il CIPI abbia accertato lo stato di crisi aziendale a norma dell’articolo 2, quinto comma, lettera c), della legge 12 agosto 1977, n. 675, o imprese nei confronti delle quali vi sia stata dichiarazione di fallimento, omologazione di concordato preventivo consistente nella cessione dei beni, emanazione del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa ovvero di sottoposizione all’amministrazione straordinaria, nel caso in cui la continuazione dell'attività non sia stata disposta o sia cessata e nel corso della consultazione di cui ai precedenti commi sia stato raggiunto un accordo circa il mantenimento anche parziale dell'occupazione, ai lavoratori il cui rapporto di lavoro continua con l'acquirente non trova applicazione l'articolo 2112 del codice civile, salvo che dall'accordo risultino condizioni di miglior favore. Il predetto accordo può altresì prevedere che il trasferimento non riguardi il personale eccedentario e che quest’ultimo continui a rimanere, in tutto o in parte, alle dipendenze dell'alienante" Il comma 6 prosegue: "I lavoratori che non passano alle dipendenze dell'acquirente, del l'affittuario o del subentrante hanno diritto di precedenza nelle assunzioni che questi ultimi effettuino entro un anno dalla data del trasferimento, ovvero entro il periodo maggiore stabilito dagli accordi collettivi. Nei confronti dei lavoratori predetti, che vengano assunti dall’acquirente, dall'affittuario o dal subentrante in un momento successivo al trasferimento d'azienda, non trova applicazione l'articolo 2112 del codice civile".

7.4. La giurisprudenza più recente ha valorizzato la funzione che l'accordo sindacale raggiunto nella procedura ex art. 47 può assumere al fine di salvaguardare l'occupazione e consentire la ripresa effettiva dell'attività. Si è infatti affermato (Cass. n. 19282 del 22.9.2011, n. 16673 del 2003 e, da ultimo, n. 23473 del 04/11/2014) che la norma introduce indubbiamente una deroga alla generale operatività dell'art. 2112 c.c. stabilendo che, nel caso in cui la continuazione dell'attività imprenditoriale non sia continuata o sia cessata, nel corso degli accordi conclusi nell’ambito delle consultazioni sindacali, previste dai primi tre commi dell’art. 47 della legge n. 428 del 1990, ai lavoratori il cui rapporto di lavoro continua con l’acquirente non si applica l'art. 2112 c.c., a meno che non sia l'accordo stesso a prevedere condizioni di miglior favore. Ciò significa che le assunzioni da parte dell'impresa subentrante possono avvenire ex novo, senza conservazione dell'anzianità pregressa e senza applicazione del principio di cui all'art. 2103 c.c.. In pratica, il legislatore ha previsto un' ampia possibilità per l'impresa subentrante di concordare condizioni contrattuali per l'assunzione ex novo dei lavoratori, in deroga a quanto prevede l'art. 2112 c.c. ed ha altresì previsto la possibilità di escludere parte del personale eccedentario dal passaggio.

Tale disposizione, laddove si riferisce agli accordi sindacali intervenuti nel corso di una procedura fallimentare con finalità liquidatoria, non pone problemi di contrasto con la Direttiva 12 marzo 2001, 2001/23/CE, che ha sostituito la direttiva 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, come modificata dalla direttiva 29 giugno 1998, 98/50/CE. La Corte di Giustizia UE (Seconda Sezione) nella sentenza del 11 giugno 2009, nella causa C-561/07, avente ad oggetto la procedura promossa dalla Commissione delle Comunità europee contro la Repubblica italiana per inadempimento alla Direttiva 2001/23/CE sul trasferimento d'impresa, ai punti 35 e 38 ha infatti valorizzato proprio la differenza tra procedure di accertamento della crisi e procedure di insolvenza aperte nei confronti del cedente sotto il controllo di un'autorità pubblica competente.

7.5. Passando però ad esaminare gli effetti degli accordi ex art. 47 in relazione agli sgravi contributivi oggetto di causa, le sentenze di questa Corte già sopra richiamate, n. 8800 del 2001, n. 17071 del 2007 e 15789 del 2008, hanno affermato che essi tendono a disciplinare, con l'esclusione dell'applicabilità dell'art. 2112 c.c., la posizione contrattuale dei lavoratori nel passaggio alla nuova impresa, mentre il disposto dell'art. 8, comma 4 bis, legge n. 223 del 1991 ha riguardo ad una fattispecie distinta, che vede come destinatari per quanto attiene all'attribuzione dei contributi, l'Istituto previdenziale e le imprese, e dall’altro, per quanto attiene all'indennità dì mobilità, lo stesso Istituto ed i singoli lavoratori posti in mobilità. Corollario di un siffatto inquadramento ordinamentale è, dunque, l’impossibilità di assegnare nell'individuazione dell’ambito operativo del citato art. 8 della L. n. 223/1991 qualsiasi rilevanza al disposto del summenzionato art. 47 I. 428/1990.

7.6. La ratio dei benefici contributivi, di favorire l'occupazione dei lavoratori effettivamente espulsi dal mercato del lavoro, opera quindi anche nella procedura fallimentare, sicché tale diritto non spetta quando i lavoratori siano assunti in una con l'acquisto della titolarità dell'impresa fallita che resti nei suoi caratteri essenziali sostanzialmente immutata, o nel periodo di un anno dal trasferimento nel quale, essendo la loro assunzione obbligata per effetto del diritto di precedenza stabilito dal comma 6 dell'art. 47 della L. n. 428 del 1998 (ndr comma 6 dell'art. 47 della L. n. 428 del 1990), l'espulsione dal mercato del lavoro non si è ancora consolidata.

7.7. Poiché nella fattispecie che ne occupa la Corte territoriale, con ricostruzione delle risultanze fattuali che non è stata revocata in dubbio, ha accertato che M.T. è subentrata nel medesimo complesso produttivo facente capo alle aziende fallite, e l'assunzione del lavoratori è avvenuta in data 1.9.2003, a meno di un anno dal contratto di affitto relativo alle aziende fallite, datato 15.11.2002, correttamente è stato escluso il diritto alla fruizione degli sgravi.

8. I motivi dal 2 al 5, che attengono alle sanzioni applicate, sono invece fondati nei sensi di seguito illustrati.

In proposito, questa Corte ha in più occasioni riaffermato il principio di diritto, secondo cui: <<ln tema di obbligazioni contributive nei confronti delle gestioni previdenziali ed assistenziali, l'omessa o infedele denuncia mensile all'INPS (attraverso i cosiddetti modelli DM10) di rapporti di lavoro o di retribuzioni erogate, ancorché registrati nei libri di cui è obbligatoria la tenuta, concretizza l’ipotesi di "evasione contributiva" di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 8, lett. b), e non la meno grave fattispecie di "omissione contributiva" di cui alla lett. a) della medesima norma, che riguarda le sole ipotesi in cui il datore di lavoro, pur avendo provveduto a tutte le denunce e registrazioni obbligatorie, ometta il pagamento dei contributi, dovendosi ritenere che l'omessa o infedele denuncia configuri occultamento dei rapporti o delle retribuzioni o di entrambi e faccia presumere l'esistenza della volontà datoriale di realizzare tale occultamento allo specifico fine di non versare i contributi o i premi dovuti; conseguentemente, grava sul datore di lavoro inadempiente l'onere di provare la mancanza dell'Intento fraudolento e, quindi, la sua buona fede, onere che non può, tuttavia, reputarsi assolto in ragione dell'avvenuta corretta annotazione dei dati, omessi o infedelmente riportati nelle denunce, sui libri di cui è obbligatoria la tenuta; in tale contesto spetta al giudice del merito accertare la sussistenza, ove dedotte, di circostanze fattuali atte a vincere la suddetta presunzione, con valutazione intangibile in sede di legittimità ove congruamente motivata>> (Cass. n. 17119 del 25/08/2015, 25 giugno 2012, n. 10509, 27 dicembre 2011, n. 28966, 10 maggio 2010, n. 11261).

La Corte d'appello in merito alle sanzioni richieste ha argomentato che la fattispecie non è riconducibile ex articolo 116 comma otto della L. n. 388 del 2000 al concetto di mero ritardo nel pagamento, poiché nel caso in esame i modelli Dm 10 e 770 riportavano in compensazione un credito della società appellata per sgravi contributivi, e neppure era ravvisabile un'ipotesi di incertezza connessa a contrastanti orientamenti giurisprudenziali e amministrativi, atteso che nel 2003 la giurisprudenza era già uniforme e consolidata sui principi sopra riportati e che nello stesso anno e prima della riassunzione dei lavoratori si erano espressi in modo del tutto conforme anche l'Inps e il Ministero del lavoro. Nel far ciò, ritenendo di dover applicare l'ipotesi dell'evasione contributiva (art. 116 comma 8 lettera a) della L. n. 388 del 2000) in considerazione del contenuto delle denunce inoltrate all'Inps, non ha tuttavia valutato le risultanze di causa dalle quali potesse desumersi l'assenza del fine fraudolento, ovvero di un, volontario occultamento dei rapporti o delle retribuzioni al fine di evitare il pagamento dei contributi o dei premi dovuti, quali l'esistenza delle istruzioni dell' Inps contenute nella circolare 24 giugno 2003 n. 109, nonché il controllo cui l'intera operazione negoziale è stata sottoposta ad opera degli organi della procedura fallimentare e delle organizzazioni sindacali.

9. Resta assorbito Tesarne del sesto motivo.

10. Segue la cassazione della sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte d'appello di Brescia in diversa composizione che dovrà individuare il regime delle sanzioni applicabile valutando tutte le emergenze fattuali sulla base del principio sopra individuato. Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del presente giudizio, a norma dell'art. 385 cod.proc.civ.

 

P.Q.M.

 

Accoglie i motivi dal secondo al quinto del ricorso, rigetta il primo, assorbito il sesto. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'appello di Brescia in diversa composizione.