Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 26 settembre 2016, n. 18858

Lavoro - Licenziamento - Natura discriminatoria - Sussistenza del fatto addebitato - Accertamento

 

Svolgimento del processo

 

1. La Corte d’Appello di Bologna, con la sentenza n. 145 del 2015, depositata il 2 febbraio 2015, rigettava il reclamo proposto da B. P., ai sensi dell’art. 1, comma 58, della legge n. 92 del 2012, nei confronti del Comune di Sala Bolognese e dell'Unione Terre d’Acqua, avverso la sentenza n. 751 del 2014 emessa tra le parti dal Tribunale di Bologna.

2. Con ricorso ai sensi dell’art. 1, comma 48, della legge n. 92 del 2012, la B., in servizio presso il suddetto Comune come istruttore di polizia municipale, con inquadramento nella area C (ex V qualifica funzionale), posizione economica C3. e transitata per mobilità alle dipendenze della Unione Terre d’Acqua dal Io gennaio 2013, adiva il Tribunale per ottenere, previa declaratoria di illegittimità della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per un giorno, 2 dicembre 2012, per 3 giorni dal 19 marzo 2012, e per cinque giorni dal 15 maggio 2012, l’annullamento delle sanzioni conservative e la condanna degli enti convenuti a rifondere le somme indebitamente trattenute, nonché per ottenere, previa declaratoria della nullità e/o inefficacia e/o ingiustificatezza dei licenziamenti con preavviso del 18 luglio 2012 e del 19 dicembre 2012, in via principale la tutela reale ex art. 18 legge 300 del 1970, in via subordinata, nel caso in cui non fosse stata riconosciuta la natura discriminatoria del recesso, il pagamento di una indennità risarcitoria pari a 12 mensilità.

In via di estremo subordine, nel caso in cui si fosse ritenuto applicabile il novellato art. 18, e non si fosse ravvisata la insussistenza del fatto o la punibilità dello stesso con sanzioni conservative, il pagamento di una indennità risarcitoria di 24 mensilità.

3. Il Tribunale, con ordinanza in data 24 settembre 2013, ex art. 1, comma 51 della legge n. 92 del 2012, rigettava la domanda.

4. La B. proponeva opposizione. Il Tribunale di Bologna con la sentenza n. 751 del 2014 rigettava l’opposizione.

5. Per la cassazione della sentenza di appello, che decideva sul reclamo intentato contro la suddetta sentenza n. 751 del 2014, ricorre B. P. prospettando quattro motivi di ricorso.

6. Resistono con distinti controricorsi, entrambi assistiti da memoria, l’Unione Terre d’Acqua e il Comune.

 

Motivi della decisone

 

1. Occorre premettere che la Corte d!Appello ha delimitato il thema decidendum limitandolo al licenziamento con preavviso irrogato ai sensi del d.lgs. n. 165 del 2001, il 2 gennaio 2013, previa contestazione dell’addebito il 19 dicembre 2012, per la mancata valida giustificazione relativamente all’assenza per sette giorni di malattia (21 giugno; 3-5 luglio; 9-11 luglio del 2012).

2. Tanto premesso può passarsi all’esame dei motivi di ricorso.

3. Con il primo motivo è dedotta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 55-quater comma 1, lettera b), 55-septies, del d.lgs. n. 165 del 2001, per avere ritenuto che i certificati dei medici fiscali non rappresentassero valida giustificazione dell’assenza per malattia della ricorrente. Assume la ricorrente che, essendo intervenuta visita fiscale, all’esito della quale veniva rilasciato certificato medico che confermava l’esistenza della patologia inabilitante al lavoro, e facendo parte i medici fiscali di una struttura sanitaria pubblica, la malattia era stata certificata secondo quanto previsto dall’art. 55-septies del d.lgs. n. 165 del 2001.

Erroneamente, quindi, la Corte d’Appello aveva affermato che il certificato del medico curante o della struttura sanitaria pubblica era l’unica documentazione giustificativa dell’impedimento del dipendente a recarsi al lavoro.

3.1. Il motivo non è fondato e deve essere rigettato.

Occorre rilevare che l’art. 55-septies del d.lgs. n. 165 del 2001, introdotto dal decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, al comma 1, ha sancito che «nell'ipotesi di assenza per malattia protratta per un periodo superiore a dieci giorni, e, in ogni caso, dopo il secondo evento di malattia nell'anno solare l'assenza viene giustificata esclusivamente mediante certificazione medica rilasciata da una struttura sanitaria pubblica o da un medico convenzionato con il Servizio sanitario nazionale». Dunque, il legislatore ha inteso porre a carico del lavoratore l’obbligo di attivarsi nei suddetti sensi, atteso che, come previsto dall’art. 55-quater, comma 1, lettera b, è prevista la sanzione disciplinare del licenziamento senza preavviso in presenza di «assenza priva di valida giustificazione per un numero di giorni, anche non continuativi, superiore a tre nell'arco di un biennio o comunque per più di sette giorni nel corso degli ultimi dieci anni ovvero mancata ripresa del servizio, in caso di assenza ingiustificata, entro il termine fissato dall'amministrazione».

Parallelamente all’obbligo che grava sul lavoratore di rivolgersi ad una struttura sanitaria pubblica o ad un medico convenzionato, potendo solo la certificazione rilasciata dagli stessi giustificare l’assenza per malattia, il legislatore (art. 55-septies, comma 2) ha stabilito che quest’ultimi provvedano ad inviare la certificazione per via telematica all’INPS che, a sua volta,' la inoltra immediatamente all’Amministrazione interessata. Anche l’inosservanza di tale obbligo di trasmissione costituisce illecito disciplinare.

Dunque non è sufficiente che il lavoratore informi il datore di lavoro dell’assenza per malattia, come avvenuto nella specie, ma il lavoratore deve attivare, rivolgendosi per l’accertamento del proprio stato di salute/malattia ad una struttura sanitaria pubblica o ad un medico convenzionato con il Servizio sanitario nazionale, il procedimento di cui all’art. 55-septies, commi 1 e 2, che si conclude con l’inoltro (e la ricezione) della certificazione medica al datore di lavoro da parte dell’INPS.

Ed è alla mancanza di tale certificazione, che conforti la ragione della malattia quale causa dell’assenza, che l’art. 55-quater, comma 1, lettera b), riconduce il licenziamento senza preavviso.

Su di un piano diverso si pone, dunque, la visita fiscale, che nella ratio della legge n. 150 del 2009 non è alternativa alla certificazione rilasciata dalla struttura sanitaria pubblica o da un medico convenzionato con il Servizio sanitario nazionale, a cui deve rivolgersi il lavoratore.

Le Amministrazioni pubbliche, infatti, non sono più obbligate a procedere sempre alla cd. visita fiscale, ma (art. 55-septies, comma 5, d.lsg. n. 165 del 2001) «dispongono per il controllo sulle assenze per malattia dei dipendenti valutando la condotta complessiva del dipendente e gli oneri connessi all'effettuazione della visita, tenendo conto dell'esigenza di contrastare e prevenire l'assenteismo». Il controllo, infatti, è richiesto, in ogni caso, sin dal primo giorno, solo quando l’assenza si verifica nelle giornate precedenti o successive a quelle non lavorative.

Correttamente, quindi, la Corte d’Appello ha escluso che i referti medici fiscali non potevano costituire valida giustificazione alla assenza per malattia della B..

4. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione degli artt. 1175, 1375, 2104, 2210, 2016 cc, nonché degli artt. 55 e 55-quater del d.lgs. 165 del 2001, per avere ritenuto che la ricorrente fosse consapevole della necessità di munirsi di certificato del medico curante e per aver ritenuto il giudice di non potere sindacare la proporzionalità del licenziamento inflitto.

Assume la ricorrente che persiste la discrezionalità del giudice, dovendosi valutare la gravità oggettiva e soggettiva dell’inadempimento anche nel caso in esame, verificando in concreto la gravità del fatto addebitato, in particolare con riguardo ai motivi del comportamento e alle circostanze in forza delle quali lo stesso è stato posto in essere, tenuto conto anche delle norme e dei principi generali di buona fede e correttezza. Nella specie, la ricorrente assolveva all’obbligo di comunicare la propria assenza per malattia e si era resa reperibile alla immediata visita del medico fiscale.

4.1. Il motivo è fondato e deve essere accolto.

Come più volte affermato da questa Corte (Cass., n. 22798 del 2012), deve escludersi la configurabilità in astratto di qualsivoglia automatismo nell’irrogazione di sanzioni disciplinari, specie laddove queste consistano nella massima sanzione, permanendo il sindacato giurisdizionale sulla proporzionalità della sanzione rispetto al fatto addebitato.

Questa Corte, inoltre, ha affermato che la giusta causa di licenziamento deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e, in particolare, dell’elemento fiduciario, dovendo il giudice valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi e all’intensità del profilo intenzionale, dall’altro, la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, per stabilire se la lesione dell'elemento fiduciario, su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro, sia tale, in concreto, da giustificare la massima sanzione disciplinare; quale evento "che non consente la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto", la giusta causa di licenziamento integra una clausola generale, che richiede di essere concretizzata dall'interprete tramite valorizzazione dei fattori esterni relativi alla coscienza generale e dei principi tacitamente richiamati dalla norma (Cass. n. 6498 del 2012).

Ciò precisato, deve rilevarsi che nella specie, ritenendo legittima la sanzione espulsiva, escludendo di dover vagliare la sussistenza della proporzionalità alla luce delle circostanze concrete - quali la circostanza che la visita fiscale era intervenuta, e in un breve arco di tempo, dopo al comunicazione, e che la malattia era risultata effettivamente sussistente - la Corte territoriale non ha fatto corretta applicazione dei principi affermati dalla giurisprudenza richiamata.

5. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione degli artt. 18, 15 e 16 dello statuto dei lavoratori, dell’art. 3 della legge n. 108 del 1990, dell’art. 4 della legge n. 604 del 1966, per aver avere escluso la Corte d’Appello, la natura discriminatoria e/o ritorsiva del licenziamento.

Espone la ricorrente che il provvedimento espulsivo costituiva un’ingiusta ed arbitraria reazione dell’Amministrazione al particolare interessamento dimostrato da essa lavoratrice proprio negli ultimi mesi dell’anno 2001, nei confronti della regolarità degli apparecchi autovelox situati nel Comune di Sala Bolognese, con la richiesta di informazioni sull’appalto relativo.

5.1. Il motivo non è fondato. Ed infatti, lo stesso si limita ad enunciare una circostanza del tutto generica quanto alle modalità con cui si sarebbe realizzata, senza precisare se la stessa fosse già stata introdotta nel corso del giudizio, e senza chiarire il prospettato nesso causale, non potendo ciò sostanziarsi nella mera successione temporale degli eventi prospettati.

6. All’accoglimento del secondo motivo di ricorso, segue l’assorbimento del quarto motivo, con il quale si censura la sentenza per violazione di norme di diritto relative al procedimento disciplinare (art. 55-bis, commi 3 e 4, del d.lgs. n. 165 del 2001, art. 7 dello statuto dei lavoratori).

7. La sentenza deve esser cassata in relazione al secondo motivo accolto, con rinvio alla Corte d’Appello di Bologna in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio. Rigettati il primo ed il terzo motivo di ricorso. Assorbito il quarto motivo di ricorso.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il primo ed il terzo motivo di ricorso. Accoglie il secondo. Assorbito il quarto. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese del presente giudizio alla Corte d’Appello di Bologna in diversa composizione.