Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 20 marzo 2017, n. 7116

Contratti di lavoro a termine - Subordinazione - Inserimento della prestazione nel contesto dell'assetto organizzativo aziendale

Svolgimento del processo

 

Con sentenza resa pubblica il 23/6/2014 la Corte d'Appello di Ancona confermava la pronuncia di primo grado con cui era stata accolta la domanda proposta da F. L. intesa a conseguire il pagamento di differenze retributive spettanti nel quinquennio 2005-2010 in relazione ad una serie di contratti di lavoro a termine, di natura subordinata, stipulati nel corso di detto periodo, con l'ex coniuge P. L. M. titolare della ditta A..

La Corte distrettuale a fondamento del decisum, argomentava, in estrema sintesi, che la stipula di un rapporto di lavoro subordinato a termine, era dato incontroverso fra le parti; che tale subordinazione era desumibile dai dati istruttori, inequivoci nel senso della sussistenza di un pieno inserimento della prestazione resa dalla lavoratrice, nel contesto dell'assetto organizzativo aziendale; che, di conseguenza, priva di supporto probatorio era da ritenersi la tesi accreditata dall'appellante in ordine alla natura simulata del rapporto medesimo; che sotto il profilo del quantum debeatur, l'entità del risarcimento del danno era rimasta incontestata in entrambi i gradi di giudizio, né risultavano proposti parametri di riferimento alternativi.

La cassazione di tale decisione è domandata dalla ditta A. con ricorso affidato a sei motivi.

Resiste con controricorso la parte intimata.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo si denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti ex art. 360 comma primo n. 5. Si critica la sentenza impugnata per avere ritenuto che la natura subordinata del rapporto di lavoro inter partes fosse dato incontroverso fra le parti, benché fosse stato sostenuto il carattere) simulato di tale rapporto, connotato invece dai canoni propri della collaborazione familiare nell'ambito dell'impresa agricola di cui era titolare esso ricorrente.

2. Il motivo è inammissibile.

Al di là di ogni considerazione in ordine alle evidenti lacune del motivo in punto di autosufficienza, non riportando i contenuti dei documenti sui quali la censura è articolata (libro giornale in cui la F. dava atto delle somme ricevute giornalmente dai clienti della azienda), va rilevato che, nella sostanza, viene contestato con detto motivo, l'accertamento in fatto operato dai giudici del merito.

Invero, la ricostruzione dei fatti e la loro valutazione, per le sentenze pubblicate - come nella specie - dal trentesimo giorno successivo alla entrata in vigore della legge 7 agosto 2012 n. 134 (pubblicata sulla G.U. n. 187 dellll.8.2012), di conversione del d.l. 22 giugno 2012 n. 83, è censurabile in sede di legittimità solo nella ipotesi di "omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti".

Ma detto vizio non può essere denunciato per i giudizi di appello - quale quello di specie - instaurati successivamente alla data sopra indicata (art. 54, comma 2, del richiamato d.l. n. 83/2012) con ricorso per cassazione avverso la sentenza d'appello che conferma la decisione di primo grado, qualora il fatto sia stato ricostruito nei medesimi termini dai giudici di primo e di secondo grado ex art. 348 ter ultimo comma c.p.c. (cfr. Cass 18/12/2014 n. 26860). Ossia il vizio di cui all'art 360, co. 1, n. 5, c.p.c., non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d. doppia conforme (vedi Cass.11/10/2014 n. 26097, che ha altresì escluso dubbi di incostituzionalità della norma e, più di recente, in motivazione, Cass. 16/11/2016 n. 23358, Cass. 18/8/2016 n. 17166).

Pertanto la decisione della Corte territoriale, che ha fatto espressamente proprie le argomentazioni espresse dal primo giudice della sentenza de qua, ritenute condivisibili, avendo lo stesso operato una ricostruzione coerente con le risultanze processuali e il dato normativo, non può essere oggetto del sindacato di questa Corte a mente dell'art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c..

3. Con il secondo mezzo di impugnazione si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2094, 230 bis, 1414 e 2697 c.c.in relazione all'art. 360 comma primo n. 3 c.p.c.

Si lamenta che la Corte di merito abbia accertato la natura subordinata del rapporto fra le parti facendo leva su elementi - quali il nomen juris del contratto, il pagamento della retribuzione e dei contributi assicurativi e previdenziali - di natura meramente accessoria, non essenziale ai fini del decidere, a differenza del requisito della sottoposizione al potere disciplinare della parte datoriale, in cui si sostanzia il vincolo della subordinazione. In tal senso si ribadisce, come già argomentato in primo grado, che il rapporto di lavoro fra gli ex coniugi era riconducibile alla struttura della impresa familiare, ai sensi dell'art. 230 bis c.c.

4. Il motivo presenta evidenti profili di inammissibilità.

Occorre premettere che, secondo il costante orientamento espresso da questa Corte (vedi ex plurimis, Cass. 11/1/2016 n. 195, Cass. 16/7/2010 n. 16698), da ribadirsi in questa sede, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge ed implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all'esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l'aspetto del vizio di motivazione.

Nello specifico, non può tralasciarsi di considerare che i motivi tendono a conseguire - per il tramite della denuncia del vizio di violazione di legge - una rivisitazione degli approdi ermeneutici ai quali è pervenuta la Corte, che si palesa inammissibile in questa sede di legittimità anche alla luce dell'art. 360 comma primo n. 5 c.p.c. nella versione di testo applicabile ratione temporis, di cui alla novella del d.l. 22/6/12 n. 83 conv. in l. 7/8/12 n. 134.

Nella interpretazione resa dai recenti arresti delle Sezioni Unite di questa Corte, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 delle preleggi (vedi Cass. S.U. 7/4/2014 n.8053), la disposizione va letta in un'ottica di riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione. Scompare, quindi, nella condivisibile opinione espressa dalla Corte, il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta quello sull'esistenza (sotto il profilo dell'assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell'illogicità manifesta) della motivazione, ossia con riferimento a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata.

Il controllo previsto dal nuovo n. 5) dell'art. 360 cod. proc. civ. concerne, dunque, l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo.

L'omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l'omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti.

5. Applicando i suddetti principi alla fattispecie qui scrutinata, non può prescindersi dal rilievo che tramite la articolata censura, la parte ricorrente, contravvenendo ai detti principi, sollecita un'inammissibile rivalutazione dei dati istruttori acquisiti in giudizio, esaustivamente esaminati dalla Corte territoriale, auspicandone un'interpretazione a sé più favorevole, non ammissibile nella presente sede di legittimità.

Lo specifico iter motivazionale seguito dai giudici dell'impugnazione non risponde infatti ai requisiti dell'assoluta omissione, della mera apparenza ovvero della irriducibile contraddittorietà e dell'illogicità manifesta, che avrebbero potuto giustificare l'esercizio del sindacato di legittimità, onde la statuizione resiste comunque alla censura all'esame.

6. Con il terzo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 2094, 230 bis, 1414 e 2697 c.c.ed all'art. 437 c.p.c. ex art. 360 comma primo n. 3 c.p.c.. Ci si duole che il giudice dell'impugnazione, in relazione all'accertamento della natura del rapporto, non abbia consentito all'appellante di provare la simulazione del rapporto fra coniugi mediante l'ammissione dei mezzi istruttori specificamente dedotti al riguardo sin dal primo grado di giudizio e riproposti in sede di gravame.

7. Il motivo è privo di pregio.

Questa Corte ha affermato il principio, che va qui ribadito, secondo cui in tema di prova, spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, nonché la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni (vedi ex aliis, Cass. 13/6/2014 n. 13485, Cass. 8/2/12 n.1754).

Il mancato esercizio, da parte del giudice di appello, del potere discrezionale di invitare le parti a produrre la documentazione mancante o di ammettere una prova testimoniale non appare, dunque, sindacabile in questa sede di legittimità, al pari di tutti i provvedimenti istruttori assunti dal giudice ai sensi dell'art. 356 cod. proc. civ. (vedi Cass. cit. n.1754/2012).

8. Con la quarta critica si denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti ex art. 360 comma primo n. 5. Si lamenta l'omesso esame da parte della corte territoriale della documentazione ritualmente allegata al fascicolo di primo grado, relativa a dichiarazioni rese dalla F. in altro giudizio, con le quali ammetteva di collaborare saltuariamente alla attività aziendale.

Il motivo presenta le medesime carenze riscontrate in relazione al primo motivo giacché viene contestato l'accertamento in fatto operato dai giudici del merito inibito nella presente sede, alla stregua del disposto di cui all'art. 348 ter c.p.c..

9. Con il quinto mezzo di impugnazione si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2094, 230 bis, 1414 e 2697 c.c.in relazione all'art. 360 comma primo n. 3 c.p.c.. Si deduce che, una volta acclarata la effettiva natura del rapporto instauratosi fra coniugi come di collaborazione familiare, viene meno ogni necessità di accertamento della legittimità del licenziamento disciplinare, dovendosi tale atto qualificare come interruzione del rapporto di collaborazione.

Anche tale mezzo di impugnazione si palesa inammissibile, in quanto postula un accertamento - relativo alla natura del rapporto inter partes come assimilabile allo schema della parasubordinazione - non consentito nella presente sede, per quanto già dedotto in relazione al secondo e al terzo motivo di ricorso.

10. Con il sesto motivo è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 2119 e 1223 c.c. in relazione all'art. 360 comma primo n.3 c.p.c.

Si stigmatizza l'impugnata sentenza per aver trascurato le censure contenute nell'atto di gravame con le quali si contestava la liquidazione del danno scaturito dalla risoluzione ante tempus del contratto di lavoro a termine, determinato in euro 5.000,00 in assenza di alcuna prova da parte della F. che di tanto era onerata. Si lamenta altresì che non sarebbe stato fatto uso del criterio del lucro cessante.

La censura è priva di pregio.

Essa palesa un evidente difetto di autosufficienza.

Il ricorrente non ha infatti assolto all'onere di riportare nel ricorso per cassazione gli esatti termini con cui le critiche asseritamente non considerate dalla Corte territoriale, e che si assumono formulate avverso i criteri di calcolo adottati dalla lavoratrice, sarebbero state specificamente allegate nel giudizio introduttivo di primo grado.

Il ricorso per cassazione - per il principio di autosufficienza - deve, infatti, contenere in sé tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito, sicché il ricorrente ha l'onere di indicarne specificamente, a pena di inammissibilità, oltre al luogo in cui ne è avvenuta la produzione, gli atti processuali ed i documenti su cui il ricorso è fondato mediante la riproduzione diretta del contenuto che sorregge la censura oppure attraverso la riproduzione indiretta di esso con specificazione della parte del documento cui corrisponde l'indiretta riproduzione (cfr. Cass. 15/7/2015 n. 14784).

Nello specifico, come già riferito, non risulta riportato il tenore dell'atto sul quale si è fondato il giudizio dei Tribunale circa la non contestazione del quantum debeatur in ordine alla pretesa risarcitoria azionata dalla ricorrente che, peraltro, risulta formulata in coerenza con i dettami di cui all'art. 1223 c.c..

11. In definitiva, alla luce delle superiori argomentazioni, deve dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.

Il governo delle spese del presente giudizio di legittimità segue, infine, il principio della soccombenza nella misura in dispositivo liquidata.

Infine si dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell'art. 13 comma 1 quater d.p.r. n.115 del 2002.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 100,00 per esborsi ed euro 4.000,00 per compensi professionali oltre spese generali al 15%, ed accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.