Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 28 luglio 2017, n. 18844

Risoluzione del rapporto di lavoro - Per giusta causa - Gravissimo abuso di fiducia - Lesione del patrimonio aziendale - Diritto di difesa - Mancata audizione

 

Fatti di causa

 

1. C.F., dipendente della M.M. spa con qualifica di impiegato di II livello e mansioni di addetto dal 1987 alla fatturazione e, contestualmente, dal febbraio 2006, anche amministratore unico della G.M. srl che intratteneva rapporti commerciali con la prima società, in data 22.9.2011 riceveva missiva di risoluzione del rapporto di lavoro, dalla citata M.M. spa, per giusta causa ai sensi dell'art. 2119 cc e 229 CCNL del terziario per gravissimo abuso di fiducia e lesione del patrimonio aziendale per il mancato rientro della posizione debitoria della G.M. srl.

2. Impugnato giudizialmente il recesso il Tribunale di Roma, per quello che interessa in questa sede, dichiarava illegittimo il licenziamento, con conseguente ordine di reintegra nel posto di lavoro e condanna al risarcimento dei danni, ritenendo che vi fosse stata violazione dell'art. 7 della legge n. 300/1970 perché, a seguito della contestazione mossa al lavoratore con lettera del 6.9.2011, in data 7.9.2011 il F. aveva fornito per iscritto le proprie giustificazioni ed aveva espressamente richiesto di essere ascoltato sui fatti addebitati, mentre il licenziamento era stato adottato senza la previa audizione.

3. Adita in sede di gravame, la Corte di appello di Roma confermava tale decisione ribadendo che il colloquio informale avvenuto dopo la ricezione della lettera di contestazione non poteva ritenersi equipollente alla audizione in quanto avvenuto prima ancora della lettera di giustificazioni inviata dal F. il giorno successivo e perché in sede di audizione il lavoratore avrebbe potuto farsi assistere da un rappresentante sindacale.

4. Per la cassazione propone ricorso la M.M. spa affidato a due motivi.

5. Resiste con controricorso C.F..

6. La società ha depositato memoria ex art. 378 cpc.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 7, 2° comma, legge n. 300/1970 che vincola il datore di lavoro all'audizione del dipendente incolpato solo ed esclusivamente in presenza di una univoca e certa richiesta in tal senso che, nel caso in esame, non era dato riscontrare.

2. Con il secondo motivo la società si duole della violazione e falsa applicazione dell'art. 7 della legge n. 300/1970 (art. 360 n. 3 cpc) che, a differenza di quanto sostenuto dai giudici di seconde cure, non impone alcun requisito di forma e di sostanza e, soprattutto, non prevede né che l'audizione debba precedere o sostituire le giustificazioni scritte né che vi debba essere un secondo o terzo colloquio una volta che un confronto sulla lettera di contestazione disciplinare sia già avvenuta.

Ribadisce che non vi è un obbligo del datore di lavoro di sentire il lavoratore, senza la (prevista ma non chiesta) assistenza sindacale, tante volte quante il lavoratore stesso ne faccia richiesta.

3. Il primo ed il secondo motivo, da trattarsi congiuntamente per la loro connessione logico-giuridica, non sono fondati.

4. L'audizione del lavoratore nel corso di un colloquio a carattere informale accordato è in linea con le garanzie di difesa quando il prestatore abbia la possibilità di esporre le proprie ragioni e formulare le proprie controdeduzioni (Cass. 20.1.1998 n. 476).

5. Nel caso di specie è incontestato, in fatto, che il colloquio informale avvenne poco dopo la ricezione della lettera di contestazione e, quindi, in un breve lasso temporale dalla presa d'atto degli addebiti mossi; il giorno dopo, poi, il lavoratore presentò una lettera di giustificazioni in cui rappresentò di restare in attesa di una convocazione per essere "finanche" personalmente ascoltato sui fatti addebitati.

6. Orbene, l'assunto della Corte territoriale è condivisibile perché il colloquio informale, per le modalità temporali in cui era avvenuto, non avrebbe potuto sicuramente essere ritenuto equipollente ad una audizione espletata dopo una accurata e meditata conoscenza delle contestazioni disciplinari rispetto alle quali il legislatore, in via generale, concede un termine (ritenuto in astratto congruo) di cinque giorni per difendersi.

7. Le argomentazioni della Corte distrettuale si rivelano corrette, ai fini di ritenere non adeguato il colloquio informale ad assolvere il pieno esercizio del diritto di difesa, anche sotto il profilo del comportamento complessivo delle parti, perché a fronte di una richiesta contenuta nelle giustificazioni presentate il giorno successivo e, quindi, tempestivamente, in cui si precisava di essere in attesa di convocazione, la locuzione adoperata dal dipendente ("finanche") non avrebbe potuto avere altro significato che quello di volere essere ascoltato sui fatti addebitati: altrimenti la precisazione di essere in attesa di una convocazione non avrebbe avuto alcun senso.

8. Alcuna ambiguità, dal contesto testuale della lettera di giustificazioni e dalle modalità spazio-temporali dell'avvenuto colloquio informale, avrebbe potuto, quindi, desumersi in ordine alla richiesta del F. di essere sentito. E, in ogni caso, la condotta datoriale avrebbe dovuto conformarsi, in assenza di un palese atteggiamento ostruzionistico dell'incolpato, ad un favor difensivo per il lavoratore in ordine alla necessità prospettata tempestivamente di fornire chiarimenti e difese, che non incontra limiti di forme e/o di assistenza (cfr. Cass. 14.6.2011 n. 12978).

9. Né, infine, avrebbe potuto assumere rilevanza la circostanza che la richiesta fosse stata avanzata contestualmente alla comunicazione di giustificazioni scritte, seppure esse apparissero ampie ed esaustive, perché in caso di richiesta di essere sentito il datore di lavoro non può omettere l'audizione del lavoratore (Cass. 9.1.2017 n. 204).

10. La questione sulla eventuale partecipazione del rappresentante sindacale, alla stregua di quanto esposto circa la necessità di dovere procedere alla audizione del dipendente, resta assorbita non rivestendo carattere decisivo.

11. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

12. Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.