Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 11 maggio 2017, n. 11560

Cartella esattoriale in favore dell'Inps - Opposizione - Notifica - Quaranta giorni

 

Fatti di causa

 

Si controverte dell'opposizione, da parte della G.L.C. s.p.a., alla cartella esattoriale in favore dell'Inps per la somma di € 35.700,94 a titolo di contributi e somme aggiuntive in relazione al periodo 11/2001 - 06/2004.

Il Tribunale di Mantova aveva dichiarato inammissibile tale opposizione in quanto proposta oltre il termine di cui all'art. 24 del D.Lvo n. 46/1999.

La Corte d'appello di Brescia, investita dall'impugnazione della società opponente, ha confermato la gravata decisione dopo aver rilevato che il primo giudice aveva correttamente ritenuto perentorio il termine di quaranta giorni dalla notifica della cartella per la proposizione dell'opposizione, termine, questo, in relazione al quale non erano previste cause di risoluzione o di sospensione, e dopo aver precisato che la contestata disposizione normativa che lo contemplava non presentava profili di illegittimità costituzionale.

Per la cassazione della sentenza ricorre la società G.L.C. s.p.a. con due motivi, illustrati da memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c.

Resiste con controricorso l'Inps, anche in rappresentanza della società di cartolarizzazione dei crediti Inps.

 

Ragioni della decisione

 

1. Col primo motivo, dedotto per falsa applicazione dell'art. 24 del d.lvo n. 46/1999 in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., la ricorrente assume che attraverso la lettera r.r. del 20.7.2006 l'Inps non si sarebbe limitato a sospendere l'esecuzione per consentire alla parte debitrice di presentare una richiesta di dilazione di pagamento o per altri motivi, ma avrebbe deciso di verificare l'esistenza stessa del suo credito ed il relativo ammontare, onde accertare se lo stesso era oggetto di sgravio totale o se spettava in tutto o in parte, per cui veniva meno il presupposto per l'applicazione della norma di cui all'art. 24 del citato d.lvo n. 46/1999, ovvero la richiesta di pagamento della somma oggetto di causa, così come era da ritenere sospeso il termine previsto dalla stessa norma. Conseguentemente si sarebbe avuta, secondo la ricorrente, non solo la sospensione della riscossione della somma, ma anche della stessa cartella opposta, per cui non avrebbe potuto nemmeno decorrere il termine di quaranta giorni stabilito a pena di decadenza.

1.1. Il motivo è infondato.

Invero, come questa Corta ha già avuto modo di statuire (Cass. sez. lav. n. 11596 del 6.6.2016), "in tema di iscrizione a ruolo dei crediti previdenziali, il termine per proporre opposizione nel merito ex art. 24, comma 5, del d.lgs. n. 46 del 1999, è previsto a pena di decadenza, sicché la sospensione della riscossione del credito, disposta ai sensi del successivo art. 25, comma 2, non incide sul suo decorso."

Infatti, l'art. 24 del d.lgs. n. 46/1999 stabilisce che contro l'iscrizione a ruolo il contribuente può proporre opposizione al giudice del lavoro entro il termine di quaranta giorni dalla notifica della cartella di pagamento e secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte si tratta di un termine perentorio previsto a pena di decadenza (Cass. 17978/2008; 21365/2010). L'art. 25, comma 2 del d.lgs. n. 46/1999 prevede che dopo l'iscrizione a ruolo l'ente, in pendenza di gravame amministrativo, può sospendere la riscossione con provvedimento motivato notificato al concessionario ed al contribuente. Il provvedimento può essere revocato ove sopravvenga fondato pericolo per la riscossione.

1.2. Come risulta dalla lettera della legge e dalla sua lettura sistematica la sospensione in discorso incide soltanto sulla riscossione del credito (ovvero sugli effetti esecutivi successivi alla formazione del ruolo) e non ha invece alcun effetto sul termine per impugnare in giudizio il ruolo, in seguito alla notifica della cartella. Il provvedimento di sospensione viene emesso in sede di autotutela dall'Ente, a prescindere dall'esercizio o meno della stessa facoltà di impugnazione del ruolo (già esercitata oppure no). Esso in base alla legge non ha perciò alcun raccordo con la facoltà di impugnazione da esercitare entro il termine di decadenza.

1.3. D'altra parte, venendo in questione un termine di impugnazione previsto a pena di decadenza, vale pure il principio stabilito dall'art. 2964 c.c. secondo Il quale la decadenza non può essere sospesa, salvo che sia altrimenti disposto. Né è previsto che il termine per impugnare il ruolo possa ritenersi a sua volta sospeso a seguito dell'esercizio del potere di sospensione in questione. Non avendo effetti sulla facoltà di impugnazione, il debitore dovrà perciò provvedere nei termini alla contestazione della pretesa dell'INPS all'interno del giudizio di cognizione, nell'ambito del quale l'INPS dovrà comprovare la fondatezza della pretesa contributiva. Neppure conta ai fini del rispetto del termine di impugnazione del ruolo la motivazione del provvedimento di sospensione che, secondo la tesi di parte ricorrente, era stato assunto in attesa di verificare l'an ed il quantum del credito stesso. Tale censura non ha pregio in quanto diretta a supportare l'esercizio di un potere che ha, in base alla legge, effetti sospensivi soltanto della riscossione del ruolo e che non implica alcuna rinuncia della pretesa sostanziale. Il provvedimento di sospensione non era perciò idoneo a prorogare il termine di impugnazione "sine die". Pertanto, e per le stesse ragioni, esso era pure inidoneo a suscitare alcun legittimo affidamento in tal senso.

2. Col secondo motivo, dedotto per falsa applicazione dell’art. 152 c.p.c. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., si contesta la natura perentoria del termine di cui all'art. 24 del d.lvo n. 46/1999, come affermata dalla Corte di merito, e nel contempo si dubita della legittimità costituzionale di tale norma, assumendosi che il cittadino che riceve un decreto ingiuntivo è chiaramente informato che in mancanza di opposizione entro quaranta giorni subirà gli effetti di un decreto divenuto definitivo, mentre un analogo avvertimento non è contemplato nella cartella esattoriale emessa ai sensi del decreto legislativo n. 46 del 1999, con conseguente difformità di trattamento, anche in termini di tutela giurisdizionale, il tutto in contrasto con gli artt. 3, 24 e 76 della Costituzione. Inoltre, secondo la ricorrente, la norma di cui all’art. 24 del d.lvo n. 46/99 sarebbe incostituzionale nella parte in cui non consente l'impugnazione tardiva laddove il ritardo sia imputabile all'ente impositore, facendo al riguardo osservare che nella fattispecie l'opponente aveva confidato nella veridicità di quanto assunto dall'ente procedente circa la sospensione della cartella, per cui avrebbe potuto essere ravvisata l'ipotesi della forza maggiore alla base della tardiva proposizione dell'opposizione. Infine, la ricorrente lamenta il vizio di motivazione nella parte in cui la Corte territoriale ha dichiarato manifestamente infondata la questione di incostituzionalità sulla scorta del rilievo che il destinatario della cartella aveva a disposizione un termine adeguato per proporre opposizione.

2.1. Il motivo è infondato.

Infatti, alla giurisprudenza consolidata di legittimità sopra richiamata (Cass. 17978/2008; 21365/2010; Cass. sez. lav. n. 11596 del 6.6.2016) in ordine alla natura perentoria del termine in esame si è di recente aggiunto l'ultimo pronunciamento delle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. Un. n. 23397 del 17.11.2016) secondo le quali "la scadenza del termine - pacificamente perentorio - per proporre opposizione a cartella di pagamento di cui all'art. 24, comma 5, del d.lgs. n. 46 del 1999, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l'effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche la cd. "conversione" del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale, secondo l'art. 3, commi 9 e 10, della I. n. 335 del 1995) in quello ordinario (decennale), ai sensi dell'art. 2953 c.c. Tale ultima disposizione, infatti, si applica soltanto nelle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo, mentre la suddetta cartella, avendo natura di atto amministrativo, è priva dell'attitudine ad acquistare efficacia di giudicato. Lo stesso vale per l'avviso di addebito dell'INPS, che, dall' 1 gennaio 2011, ha sostituito la cartella di pagamento per i crediti di natura previdenziale di detto Istituto (art. 30 del d.l. n. 78 del 2010, conv., con modif., dalla I. n. 122 del 2010)."

2.2. Quanto ai dubbi di legittimità costituzionale, che secondo la ricorrente sarebbero stati insufficientemente risolti dalla Corte di merito, si osserva che al contrario quest'ultima ha adeguatamente scrutinato le questioni che al riguardo le sono state sottoposte nel momento in cui ha affermato che non sussiste la lamentata discriminazione, attesa la diversità del procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo rispetto a quello di opposizione a cartella esattoriale e che, comunque, il destinatario di quest'ultima gode di un termine congruo per esperire tale rimedio. La motivazione dell'impugnata sentenza è altresì adeguata, sia nella parte in cui viene posta in risalto l'apprestata garanzia della effettività della tutela giurisdizionale, a prescindere dalla mancata indicazione delle conseguenze della perentorietà del termine, sia nel momento in cui è evidenziato, con giudizio di fatto insindacabile in cassazione In quanto esente da vizi di ordine logico-giuridico, che la società non aveva allegato, né tantomeno provato il caso fortuito o la forza maggiore a giustificazione del proprio ritardo, sia allorquando si precisa che nessuna induzione in errore era imputabile all'Inps, la cui nota conteneva esclusivamente la comunicazione della sospensione della riscossione del credito, senza riferimento alcuno al termine per l'opposizione.

2.3. Tali rilievi sono senz'altro condivisibili, stante l'adeguatezza e la logicità delle relative motivazioni espresse dalla Corte di merito, tanto più che anche la Corte Costituzionale (Ord. n. 111 del 2007), chiamata a pronunciarsi sulla questione di legittimità costituzionale dell'art. 24 del d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, censurato, in riferimento all'art. 111, comma secondo, Cost., nella parte in cui attribuisce agli enti previdenziali il potere di riscuotere i propri crediti attraverso un titolo, il ruolo esattoriale, che si forma prima e al di fuori del giudizio, ha affermato quanto segue: "Da un lato, non è irragionevole la scelta del legislatore di consentire ad un creditore, attesa la sua natura pubblicistica e l'affidabilità derivante dal procedimento che ne governa l'attività, di formare unilateralmente un titolo esecutivo, e, dall'altro lato, è rispettosa del diritto di difesa e dei principi del giusto processo la possibilità, concessa al preteso debitore, di promuovere, entro un termine perentorio ma adeguato, un giudizio ordinario di cognizione nel quale far efficacemente valere le proprie ragioni, sia grazie alla possibilità di ottenere la sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo e/o dell'esecuzione, sia grazie alla ripartizione dell'onere della prova in base alla posizione sostanziale (e non già formale) assunta dalle parti nel giudizio di opposizione."

2.4. In definitiva, la specialità della tutela giurisdizionale apprestata dall'ordinamento per l'opposizione a cartella esattoriale, la congruità del termine stabilito per esperire un tale rimedio processuale, la possibilità di ottenere la sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo, la cognizione piena che scaturisce dalla proposizione del relativo giudizio nel quale vige il principio del riparto dell'onere della prova in base alla posizione sostanziale assunta dalle parti, rappresentano nel loro complesso elementi idonei di effettiva garanzia difensiva atti a fugare i dubbi di legittimità costituzionale riproposti in tale sede dalla ricorrente.

Pertanto, il ricorso va rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza della ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio nella misura di € 4200,00, di cui € 4000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.