Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 21 giugno 2017, n. 15380

Licenziamento - Trasferimento di ramo di azienda - Soppressione della posizione ricoperta - Motivo ritorsivo - Accertamento

 

Fatti di causa

 

1. A.M.C., dirigente responsabile della rete E.V. nel periodo dall'8 maggio 2006 al 1 gennaio 2009, poi transitata alle dipendenze della società C.P. controllata dalla società C.A. - cui era stato trasferito il ramo di azienda della E.V., ha impugnato il licenziamento intimatole dalla C.P. in data 7 gennaio 2009 in seguito alla deliberata soppressione della posizione ricoperta con avocazione dei compiti da parte dell'amministratore delegato e direttore generale della società e soppressione delle posizione assegnate ad interim alla C. distribuite in altre società del gruppo.

1.2. Per quanto qui ancora interessa, nel denunciare l'ingiustificatezza del recesso, ha chiesto la condanna della convenuta al pagamento dell'indennità supplementare ed al risarcimento del danno non patrimoniale patito per effetto del recesso intimatole. Inoltre ha chiesto la condanna della convenuta al pagamento della somma spettante a titolo di ricalcolo dei bonus annuali percepiti sull'indennità di mancato preavviso quantificato in € 77.169,00 oltre accessori di legge.

2. Il Tribunale riteneva giustificato il licenziamento e rigettava le domande connesse mentre accoglieva la domanda di condanna al pagamento delle differenze chieste sull'indennità di mancato preavviso e la Corte di appello, pur confermando la statuizione relativa al licenziamento riformava la sentenza nella parte in cui aveva condannato la società datrice al pagamento delle somme chieste a titolo di incidenza sull'indennità di mancato preavviso degli importi erogati nel corso del rapporto a titolo di bonus per i risultati conseguiti.

2.1. La Corte territoriale, dopo aver preliminarmente rilevato che nessuna censura era stata mossa alla sentenza di primo grado nella parte in cui aveva escluso che il licenziamento fosse stato causato da un motivo ritorsivo o discriminatorio, ha poi accertato che lo stesso, oltre ad essere regolare sotto il profilo formale, era del pari giustificato escludendo che nel comportamento della società fosse ravvisabile una violazione dei doveri di correttezza e buona fede in relazione alla mancata attribuzione della carica di direttore generale della società cessionaria.

2.2. Sostiene il giudice di appello che l'inadempimento della promessa di attribuire il ruolo di direttore generale successivamente al trasferimento del ramo di azienda, ove pure provato, non potrebbe incidere sulla valutazione della giustificatezza del recesso ma costituirebbe, semmai, il titolo per ottenere un risarcimento del danno da inadempimento che, tuttavia, nello specifico, non era stato chiesto. In sostanza la Corte territoriale ha evidenziato che la legittimità del recesso doveva essere verificata attraverso l'indagine sulla effettività della ragione posta a suo fondamento al momento in cui lo stesso era stato intimato e che la mancata assegnazione del ruolo promesso rilevava invece sotto il diverso profilo della responsabilità negoziale.

2.3. Evidenzia poi che non era stata offerta una prova rassicurante della concretezza della promessa proveniente, peraltro da un soggetto esterno alla società (il direttore centrale del gruppo Cattolica assicurazioni), rispetto al quale non era dimostrato il potere di vincolare la società.

2.4. Quanto al risarcimento del danno reclamato, la Corte di merito oltre ad aver accertato l'insussistenza di una condotta illegittima ha poi escluso che ne fosse stata allegata e provata l'esistenza.

2.5. Con riferimento alla computabilità nell'indennità di mancato preavviso dei bonus annuali ricevuti in ragione del conseguimento degli obiettivi assegnati, poi, il giudice di secondo grado, ha ritenuto fondato l'appello incidentale della società osservando che all'ampia dizione utilizzata nelle comunicazioni che di volta in volta hanno riconosciuto il diritto a tali compensi conseguiva che l'inclusione del bonus nell'indennità di preavviso avrebbe attivato un meccanismo di moltiplicazione atteso che tale indennità si computa nel calcolo del TFR.

3. Per la Cassazione della sentenza ricorre A.M.C. che articola tre motivi cui resiste con controricorso la C.P. s.p.a.. Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell'art. 378 cod. proc. civ.

 

Ragioni della decisione

 

4. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 35 e 37 del c.c.n.I. dei Dirigenti delle Imprese Assicuratrici. Sostiene la ricorrente che erroneamente la Corte di appello ha ritenuto giustificato il recesso senza verificare se la decisione dell'azienda si inserisse o meno in una serie di comportamenti connotati da correttezza e buona fede, nella specie identificati dalla ricorrente nell'essere venuta meno la società alla promessa di attribuirle la carica di direttore generale nella nuova organizzazione aziendale che pure le era stata assicurata nella fase prodromica alla cessione del ramo di azienda. Sottolinea la ricorrente che sul punto la Corte di appello si è limitata a verificare che il posto ricoperto dalla C. era stato soppresso e che, semmai, la denunciata violazione dei doveri di correttezza e buona fede sarebbe stata rilevante ai fini della valutazione di una domanda risarcitoria, contrattuale o precontrattuale per inadempimento senza considerare che la domanda di indennità supplementare mira proprio a sanzionare con tale peculiare ristoro una condotta che viola proprio il dovere di correttezza e buona fede.

5. Con il secondo motivo di ricorso ci si duole della violazione e falsa applicazione dell'art. 2121 e dell'art. 32 del c.c.n.I. dei Dirigenti delle Imprese Assicuratrici. Sostiene la ricorrente che erroneamente la Corte di appello avrebbe escluso che i bonus annuali erogati in relazione al conseguimento degli obiettivi assegnati non fossero computabili nell'indennità sostitutiva del preavviso sul rilievo che le somme per tale ragione erogate sarebbero già comprensive "di tutte le incidenze di ogni istituto contrattuale o normativo, diretto o indiretto, e non costituirà quindi base per il calcolo del tfr e delle contribuzioni per prestazioni previdenziali o di assistenza" ritenendo l'espressione così ampia da essere totalmente inclusiva. Sostiene la ricorrente che tale interpretazione violi il disposto dell'art. 2121 cod. civ. che contiene una previsione di onnicomprensività della retribuzione non derogabile, cui fa riferimento anche l'art. 32 del c.c.n.I. di settore applicabile al rapporto, e che non può essere unilateralmente derogato con le dichiarazioni contenute nelle comunicazioni con le quali la società rendeva edotta la lavoratrice della liquidazione del compenso.

6. Con il terzo motivo di ricorso, infine, si lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 cod.civ. e degli artt. 421 e 437 cod. proc. civ.. Sostiene la ricorrente che la Corte di merito avrebbe dovuto procedere agli approfondimenti istruttori chiesti dai quali avrebbe potuto trarre ulteriori elementi di prova a conferma della ingiustificatezza del licenziamento.

7. Il primo ed il terzo motivo di ricorso possono essere esaminati congiuntamente poiché investono sotto diversi profili il capo della decisione con il quale è stata esclusa l'ingiustificatezza del licenziamento intimato alla odierna ricorrente e sono state respinte le richieste economiche conseguentemente formulate.

7.1. Va rammentato che come è stato anche di recente confermato da questa Corte, il licenziamento individuale del dirigente d'azienda può fondarsi sia su ragioni soggettive ascrivibili al dirigente che su ragioni oggettive concernenti esigenze di riorganizzazione aziendale. Queste ultime, poi, non debbono necessariamente coincidere con I impossibilità della continuazione del rapporto o con una situazione di crisi tale da rendere particolarmente onerosa detta continuazione atteso che il principio di correttezza e buona fede, che costituisce il parametro su cui misurare la legittimità del licenziamento, deve essere coordinato con la libertà di iniziativa economica, garantita dall'art. 41 Cost. (cfr. Cass. 20/06/2016 n. 12668, 08/03/2012 n. 3268 e 15/07/2009 n. 16498). L'indennità supplementare compete al dirigente licenziato solo nei casi in cui il recesso non sia assistito da giustificatezza e, rilevante perciò qualsiasi motivo che lo sorregga, l'accertamento da compiere da parte del giudice di merito deve essere sorretto da una motivazione coerente e fondata su ragioni apprezzabili ma non richiede una analitica verifica di specifiche condizioni, essendo sufficiente una valutazione globale, che escluda l'arbitrarietà del recesso, in quanto intimato con riferimento a circostanze idonee a turbare il rapporto fiduciario con il datore di lavoro, nel cui ambito rientra l'ampiezza di poteri attribuiti al dirigente (cfr. Cass. 17/03/2014 n. 6110) ovvero, come nel caso in esame, perché non esista più una posizione lavorativa esattamente sovrapponibile a quella del lavoratore licenziato senza che rilevi, di per sé, la circostanza che le mansioni precedentemente svolte siano state affidate ad altro dirigente in aggiunta a quelle sue proprie (Cfr. Cass. 21/10/2010 n. 21748).

7.2. Orbene la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi sopra esposti e - preso atto dell'insussistenza di una natura discriminatoria del licenziamento, per essere l'accertamento in tal senso del giudice di primo grado passato in giudicato - ha escluso l'esistenza di specifiche condotte contrastanti con buona fede e correttezza rispetto alla scelta di risolvere il rapporto di lavoro per effetto della diversa organizzazione aziendale. La corte ha poi verificato, con accertamento di merito non censurabile, che non vi era prova di un impegno vincolante all'assegnazione dell'incarico ventilato e che comunque tutti i compiti già svolti dalla ricorrente erano stati attribuiti al direttore generale della società cessionaria.

7.3. Quanto alla denunciata violazione degli artt. 421 e 437 cod.proc.civ. con riguardo alla dedotta mancata ammissione delle prove testimoniali articolate, la cui richiesta era stata reiterata in appello, ed all'omessa integrazione, anche officiosa, del materiale probatorio già acquisito, si osserva che la valutazione dell'ammissibilità e rilevanza della prova, vale a dire la sua utilità per il caso da decidere, appartiene al giudice di merito e può essere censurata in cassazione solo ove risulti che siano stati violati i principi in tema di distribuzione degli oneri probatori - circostanza che nel caso in esame non si è verificata poiché il giudice di merito nell'esercizio del suo potere discrezionale l'ha ritenuta ininfluente rispetto alla prova documentale già acquisita - ovvero se la scelta sia censurata in relazione ad un omesso esame di un fatto decisivo (ai sensi dell'art. 360 comma 1 n. 5 cod. proc. civ. novellato) neppure nello specifico ravvisabile, poiché nemmeno allegato. Peraltro il mancato esercizio dei poteri istruttori d'ufficio, censurabile in Cassazione solo sotto il profilo del vizio di motivazione, impone al ricorrente di riportare in ricorso gli atti processuali dai quali emerge l'esistenza di una "pista probatoria", rispetto alla quale non si è esplicata l'officiosa attività di integrazione istruttoria, nonché di allegare di aver espressamente e specificamente richiesto, nel giudizio di merito, l'intervento probatorio del giudice (Cassazione civile, sez. VI, 29/12/2014, n. 27431). Nella fattispecie di causa, da un lato, la allegazione degli elementi di prova già acquisiti manca di specificità, dall'altro è carente ogni allegazione circa la richiesta dell'intervento officioso al giudice del merito che, come ripetutamente affermato da questa Corte, deve essere espressamente e specificamente sollecitato onde non sovrapporre la volontà del giudicante a quella delle parti in conflitto di interessi e non valicare il limite obbligato della terzietà (Cfr. Cass. 14/09/2016 n. 18075, Cass. 29/12/2014, n. 27431 e Cass. 16/05/2002 n. 7119).

8. Il secondo motivo di ricorso con il quale ci si duole della violazione e falsa applicazione dell'art. 2121 e dell'art. 32 del c.c.n.I. dei Dirigenti delle Imprese Assicuratrici è invece fondato. La Corte di appello, diversamente dal giudice di primo grado, in accoglimento dell'appello incidentale proposto dalla C.P. s.p.a., ha escluso che i bonus annuali, erogati in relazione al conseguimento degli obiettivi assegnati, fossero computabili nell'indennità sostitutiva del preavviso. Il giudice di secondo grado è pervenuto a tale conclusione decisione in esito ad una analisi del contenuto delle note con le quali la Società comunicava alla C. l'erogazione del riconoscimento economico. Secondo la ricostruzione del giudice di secondo grado, infatti, la precisazione che la somma era comprensiva "di tutte le incidenze di ogni istituto contrattuale o normativo, diretto o indiretto, e non costituirà quindi base per il calcolo del tfr e delle contribuzioni per prestazioni previdenziali o di assistenza era così ampia da essere totalmente inclusiva e da estendersi quindi al calcolo dell'indennità sostitutiva del preavviso che, per sua natura, deve essere computata nel calcolo del TFR. Osserva tuttavia il Collegio che tale interpretazione viola l'art. 2121 cod. civ. che contiene una previsione di onnicomprensività della retribuzione non derogabile, alla quale si accompagna l'onnicomprensività della retribuzione prevista dalla disposizione collettiva di settore che regola il preavviso (art. 32 del c.c.n.I. dei dirigenti del comparto delle assicurazioni), Ne consegue che ogni determinazione contraria è nulla e le lettere con le quali è stata comunicata la deroga, unilateralmente disposta, non hanno alcun valore. L'art. 2121 cod. civ. prescrive infatti che "L'indennità di cui all'articolo 2118 deve calcolarsi computando le provvigioni, i premi di produzione, le partecipazioni agli utili o ai prodotti ed ogni altro compenso di carattere continuativo, con esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese." Non v'è dubbio allora che i compensi erogati annualmente in relazione ai risultati raggiunti non potessero essere unilateralmente esclusi da quelli che rientrano nella base di calcolo dell'indennità in questione se non in virtù di un accordo nella specie pacificamente insussistente. Ne consegue che la pronuncia sul punto deve essere cassata e, incontestato l'importo chiesto a tale titolo, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto è possibile decidere nel merito la controversia sul punto e, conseguentemente, condannare la società controricorrente al pagamento in favore della C. della somma già riconosciuta dal Tribunale di € 77.169,00 oltre interessi legali sulle somme rivalutate dalla domanda giudiziaria al saldo.

9. Quanto alle spese del processo , valutato l'esito complessivo della lite e la reciproca parziale soccombenza, ritiene il Collegio che, ferma la regolazione adottata dalla Corte di appello, le spese del giudizio di legittimità debbano essere compensate per metà tra le parti mentre la restante metà va posta a carico della società C.P. s.p.a. e sono liquidate per l'intero in € 10.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre accessori dovuti per legge.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il primo ed il terzo motivo di ricorso. Accoglie il secondo. Cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e decidendo nel merito condanna la società controricorrente al pagamento in favore di A.M.C. della somma di € 77.169,00 con interessi e rivalutazione dalla domanda giudiziaria al saldo.

Conferma le statuizioni di merito in ordine alle spese del primo grado e dell'appello. Condanna parte controricorrente al pagamento di metà delle spese del giudizio di legittimità che liquida, per l'intero in € 10.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie, accessori dovuti per legge. Compensa tra le parti la restante metà.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell'art. 13 comma 1 bis del citato d.P.R.