Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 28 agosto 2017, n. 39464

Ritenute previdenziali e assistenziali - Omesso versamento - Reato continuato - Depenalizzazione

 

Ritenuto in fatto

 

1. Il Procuratore generale della Corte d'appello di Palermo ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Palermo, emessa ai sensi degli artt. 8 d.lgs n. 8 del 2016 e 129 cod.proc.pen., con la quale C.W. era stato assolto dal reato continuato di cui agli artt. 81, cpv., cod. pen., 2, comma 1-bis, d.l. 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n. 638, per aver omesso di versare le ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni corrisposte ai lavoratori dipendenti nei mesi di ottobre 2009 e novembre 2009, perché il fatto non è previsto dalla legge come reato ed aveva disposto la trasmissione degli atti all'INPS di Palermo e la revoca del decreto penale di condanna.

Secondo la sentenza impugnata, il d.lgs n. 8 del 2016 aveva depenalizzato tutte le fattispecie di reato punite con la sola pena della multa o dell'ammenda e poiché il reato di 261 omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali era punito con la sola multa, doveva pronunciarsi sentenza ex art. 129 cod.proc.pen. perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.

Per completezza deve darsi atto che con successiva ordinanza di correzione dell'errore materiale, il Giudice, preso atto che il reato de quo è punito con pena congiunta della reclusione e della multa e che il medesimo reato è stato depenalizzato per le omissioni di importo inferiore a € 10.000 annui, ha emesso ordinanza di correzione di errore materiale della motivazione nel senso della ritenuta depenalizzazione del reato.

2. A sostegno dell'impugnazione il Procuratore generale ricorrente denuncia, con un unico motivo di ricorso, la violazione di cui all'art. 606 comma 1 lett. b) cod.proc.pen. in relazione all'art. 2, comma 1-bis, d.l. 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n. 638.

Il Giudice avrebbe erroneamente ritenuto che il fatto contestato rientrasse nella previsione dell'art. 1 del d.lgs n. 8 del 2016, che ha depenalizzato i soli reati puniti con pena pecuniaria; al contrario il reato in oggetto è punito dalla pena detentiva e pecuniaria, e, comunque, non avrebbe considerato che la depenalizzazione opera, con riguardo al reato in oggetto, solo nei casi in cui l'importo omesso non sia superiore a euro 10.000 annui, applicandosi, in tal caso, la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 a euro 50.000 (art. 3, comma 6). Nel caso in esame, dal prospetto INPS, risulterebbe il superamento della soglia con riguardo all'annualità in oggetto.

Secondo il PG ricorrente, dunque, di fronte a contestazioni relative a periodi inferiori all'anno, il Gip avrebbe dovuto provvedere, ai sensi dell'art. 421 - bis cod. proc. pen., per accertare con apposita integrazione probatoria l'ammontare complessivo degli omessi versamenti con riferimento all'intero anno solare, e il superamento o meno della nuova soglia di punibilità.

3. In data 29/09/2016 il Procuratore generale ha depositato motivi aggiunti con i quali ha censurato l'ordinanza di correzione di errore materiale in quanto abnorme e comunque illegittima in quanto avrebbe corretto un errore di giudizio (e non dunque di un errore materiale) emendabile solo con l'impugnazione della sentenza.

 

Considerato in diritto

 

4. Il ricorso del Procuratore generale è pienamente fondato.

Ed invero, quanto al primo profilo di censura, è di palmare evidenza il vizio di violazione di legge della sentenza, in cui il proscioglimento dell'imputato per il reato di omesso versamento è stato disposto facendo richiamo all'art. 1, comma 1, del Decreto Legislativo 8/2016 che ha stabilito che <<non costituisce reato e sono soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro tutte le violazioni per le quali è prevista la sola pena della multa o dell'ammenda>>, laddove invece il reato contestato all'imputato è punito con pena alternativa e dunque non rientra in tale specifica previsione di depenalizzazione.

Corretto è, poi, il rilievo del ricorrente secondo cui non è riconducibile ad un errore materiale, come tale emendabile con la procedura di cui all'art. 130 cod.proc.pen., la correzione delle (diverse) ragioni della decisione, appartenendo queste all'area del giudizio. Non può, infatti, ritenersi corretta la soluzione procedimentale seguita nel tentare di porre rimedio all'errore commesso, ovvero l'adozione dell'ordinanza di correzione dell'errore materiale, ex art. 130 cod. proc. pen., con cui il G.I.P. palermitano ha provveduto a sostituire le ragioni considerate rilevanti per il proscioglimento.

Attraverso la procedura prevista dall'art. 130 cod. proc. pen., infatti, è consentita solo "la correzione delle sentenze, delle ordinanze e dei decreti inficiati da errori od omissioni che non determinano nullità, e la cui eliminazione non comporta una modificazione essenziale dell'atto"; diversamente, la sostituzione integrale di una parte della motivazione di un provvedimento, in quanto comporta una modificazione essenziale dell'atto, della ratio decidendi, non è suscettibile di correzione secondo la procedura indicata dall'art. 130 cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 7785 del 05/12/2013, dep. 19/02/2014, Bonanno, Rv. 258836). L'ordinanza, pertanto, deve essere annullata.

Ma non solo, è, anche, fondato il motivo di doglianza relativo alla non corretta applicazione dell'art. 3, comma 6, del D. Lvo n. 8 del 2016.

A mente del citato decreto, il delitto di omesso versamento di ritenute previdenziali e assistenziali, di cui all'art. 2, comma 1-bis d.l. 12.9.1983 n. 463, conv. in legge 11/11/1983 n. 638, è stato sostituito dalla seguente formulazione: «L'omesso versamento delle ritenute di cui al comma 1, per un importo superiore a euro 10.000 annui, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a euro 1.032. Se l'importo omesso non è superiore a euro 10.000 annui, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 a euro 50.000. Il datore di lavoro non è punibile, né assoggettabile alla sanzione amministrativa, quando provvede al versamento delle ritenute entro tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell'avvenuto della violazione».

Stabilendo che l'omesso versamento delle ritenute previdenziali integra reato ove l'importo sia superiore a quello di 10.000 euro annui, il legislatore non si è limitato semplicemente ad introdurre un limite di "non punibilità" delle condotte lasciando inalterato, per il resto, l'assetto della precedente figura normativa (che, come noto, nessun limite prevedeva), ma ha configurato tale superamento, strettamente collegato al periodo temporale dell'anno, quale vero e proprio elemento caratterizzante il disvalore di offensività che viene a segnare, tra l'altro, il momento consumativo dello stesso (Sez. 3, n. 37232 del 11/05/2016, Lanzoni, Rv 268308).

In altri termini, il reato deve ritenersi già perfezionato, in prima battuta, nel momento e nel mese in cui l'importo non versato, calcolato a decorrere dalla mensilità di gennaio dell'anno considerato, superi l'importo di 10.000 euro senza che, peraltro, attesa la necessaria connessione con il periodo temporale dell'anno, le ulteriori omissioni che seguano nei mesi successivi dello stesso anno sino al mese finale di dicembre possano "aprire" un nuovo periodo e, dunque, dare luogo, in caso di secondo superamento, ad un ulteriore reato. Tali omissioni, infatti, contribuiscono ad accentuare la lesione inferta al bene giuridico per effetto del già verificatosi superamento dell'importo di legge sicché, da un lato, non possono semplicemente atteggiarsi quale post factum penalmente irrilevante e, dall'altro, approfondendo il disvalore già emerso, non possono segnare, in corrispondenza di ogni ulteriore mensilità non versata, un ulteriore autonomo momento di disvalore (che sarebbe infatti assorbito da quello già in essere).

Rispetto alla precedente figura di reato, il momento consumativo è dunque evidentemente diverso: mentre nel precedente assetto normativo il reato si consumava in corrispondenza di ogni omesso versamento mensile (cfr., da ultimo, Sez.3, n. 26732 del 05/03/2015, P.G. in proc. Bongiorno, Rv. 264031), nell'attuale e nuovo la consumazione appare coincidere, secondo una triplice diversa alternativa, o con il superamento, a partire dal mese di gennaio, dell'importo di euro 10.000 ove allo stesso non faccia più seguito alcuna ulteriore omissione, o con l'ulteriore o le ulteriori omissioni successive sempre riferite al medesimo anno ovvero, definitivamente e comunque, laddove anche il versamento del mese di dicembre sia omesso, con la data del 16 gennaio dell'anno successivo.

Per effetto di quanto detto, questa Corte ha già affermato (Sez. 3, n. 37232/2016 cit.) che la struttura del "nuovo" reato come sopra tratteggiata, impone di tenere conto, al fine dell'individuazione o meno del superamento del limite di legge di 10.000 euro, di tutte le omissioni verificatesi nel medesimo anno, incluse quelle eventualmente estinte per prescrizione (osservando, al riguardo, che la mera declaratoria di estinzione del reato per ragioni connesse al decorso del tempo non può significare elisione della materiale sussistenza del fatto di omesso versamento).

Orbene, applicando i ricordati principi alla situazione in esame, è da ritenersi comunque (anche cioè volendo superare il denunciato vizio procedurale dapprima rilevato) erronea la decisione con la quale il Gip, posto di fronte alla richiesta - all'epoca giustificata dalla allora vigente struttura "a consumazione mensile" della fattispecie - di emissione di decreto penale di condanna per il reato di omesso versamento di contributi previdenziali con riferimento solo ad alcune mensilità dell'anno solare, ha ritenuto di prosciogliere l'imputato perché il totale dei versamenti relativi a tali mensilità non superava la soglia di euro 10.000.

Infatti, per quanto detto in precedenza, la nuova struttura del reato, con le diverse ed alternative forme di consumazione sopra ricordate, impone adesso, qualora i singoli omessi versamenti mensili - da soli o in sommatoria fra loro - non travalichino il limite normativo, di verificare se tale soglia sia stata successivamente superata nel corso dell'anno solare per effetto dell'aggiungersi di ulteriori omissioni mensili (con il limite finale del versamento relativo al mese di dicembre).

Nella specifica scansione processuale in esame tale obbligo di verifica si traduce, in concreto, nel dovere del G.I.P. di rigettare - ai sensi dell'art. 459, comma 3, cod. proc. pen. - la richiesta di emissione del decreto penale di condanna eventualmente formulata con riferimento a omissioni "infraannuali" non superanti la nuova soglia normativa, ordinando la restituzione degli atti al PM perché provveda all'ulteriore accertamento indicato.

E' da ritenersi invece illegittimo - come nella fattispecie - un proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. dell'imputato perché il fatto non è previsto come reato, nella misura in cui non è possibile per il giudice, se non all'esito del riscontro annuale finale, "riconoscere" l'esistenza di una causa di non punibilità sotto forma di mancata integrazione della nuova soglia monetaria; è anche da escludersi, perché in contrasto con la regola procedimentale, l'epilogo invocato dal PM ricorrente che lamenta la mancata emissione, da parte del Gip, di una ordinanza ex art. 421-bis cod. proc. pen. finalizzata ad accertare con apposita integrazione probatoria l'ammontare complessivo degli omessi versamenti con riferimento all'intero anno solare, trattandosi di provvedimento tipico della fase della udienza preliminare e che invece è del tutto estraneo al procedimento per decreto, che si conclude o con l'emissione del provvedimento monitorio, o con la sentenza di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen., ovvero appunto con il rigetto della richiesta e la restituzione degli atti al PM.

Infine, quanto al diritto intertemporale, nel caso di superamento della soglia dovrà applicare, mettendo a confronto le due normativi, ai sensi dell'art. 2 comma 4 cod.pen., la norma più favorevole in particolare ai fini della prescrizione del reato calcolata mese per mese, tenuto conto del periodo di sospensione di mesi tre di cui all'art. 2, comma 1 quater del d.l. n. 463 del 1983 non modificato dalla legge in questione.

In conclusione, la sentenza va annullata senza rinvio e gli atti devono essere trasmessi al Tribunale di Palermo.

 

P.Q.M.

 

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e l'ordinanza di correzione e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Palermo.