Prassi - AGENZIA DELLE ENTRATE - Circolare 26 settembre 2016, n. 39/E

Modifiche normative in materia di deducibilità dei costi sostenuti in Paesi a fiscalità privilegiata - Chiarimenti

Premessa

1. Il regime vigente fino al periodo d’imposta 2014

2. Regime in vigore nel periodo d’imposta 2015

2.1 Deducibilità dei costi black list nei limiti del valore normale

2.2 Valore normale

2.3 Esimente per la deduzione dei costi eccedenti il valore normale

2.4 Ambito soggettivo ed oggettivo di applicazione dell’articolo 110 del TUIR

2.5 Obblighi dichiarativi

2.6 Novità in materia di istanze di interpello costi black list

2.7 Rapporti con la normativa convenzionale

2.8 Rapporti con la CFC rule

3. L’individuazione dei regimi fiscali privilegiati: l’evoluzione normativa

3.1 I regimi fiscali privilegiati vigenti fino al periodo di imposta 2014

3.2 I regimi fiscali privilegiati in vigore nel periodo d’imposta 2015

4. Regime vigente a partire dal periodo d’imposta 2016

4.1 Abrogazione dell’articolo 110, commi da 10 a 12-bis del TUIR

4.2 Le nuove regole di deducibilità dei costi black list

4.3 Obbligo di separata indicazione in dichiarazione dei costi black list

4.4 Applicabilità delle sanzioni per le violazioni commesse in relazione ai periodi d’imposta pregressi

4.5 La lista degli Stati o territori a fiscalità privilegiata

4.6 Raccolta di informazioni riguardanti le operazioni con soggetti esteri

 

Premessa

 

La disciplina riguardante il regime di deducibilità delle spese e degli altri componenti negativi di reddito derivanti da operazioni intercorse con imprese e professionisti residenti ovvero localizzati in Stati o territori a fiscalità privilegiata (di seguito costi black list), contenuta nell’articolo 110, commi da 10 a 12-bis, del Testo unico delle imposte sui redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), è stata riformata per effetto di importanti interventi normativi succedutesi nel corso del 2015 e 2016.

Al riguardo, giova ricordare che la disciplina delle transazioni intercorse con controparti estere è stata introdotta nel nostro ordinamento con l’articolo 11, comma 12, della legge 30 dicembre 1991, n. 413, prevedendo la totale indeducibilità dei relativi costi, salvo dimostrazione di specifiche esimenti, in deroga ai principi generali di rilevanza fiscale dei componenti negativi di reddito contenuti nell’articolo 109 del TUIR.

In particolare, con la presente circolare saranno commentate le modifiche alla disciplina in esame introdotte dalle seguenti disposizioni normative:

- legge 23 dicembre 2014, n. 190 (cd. legge di stabilità 2015)

Con la disposizione contenuta nell’articolo 1, comma 678, della legge di stabilità 2015 sono stati modificati i criteri fissati per l’identificazione dei Paesi a fiscalità privilegiata (c.d. paradisi fiscali), rilevanti ai fini della redazione della lista contenuta nel d.m. 23 gennaio 2002, facendo esclusivo riferimento "alla mancanza di un adeguato scambio di informazioni";

- decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147 (c.d. decreto internazionalizzazione)

L’articolo 5, commi 1 e 4, del decreto internazionalizzazione, in attuazione del criterio direttivo stabilito dall’articolo 12, comma 1, lettera b) della delega fiscale di cui alla legge 11 marzo 2014, n. 23 (NOTA 1), ha modificato la disciplina applicabile ai costi black list, introducendo un diverso regime fiscale basato sul riconoscimento: i) della deducibilità dei costi black list fino a concorrenza del relativo valore normale, ii) della deducibilità dell’eventuale importo del costo black list eccedente il valore normale del bene o servizio acquistato, a condizione che sia dimostrato l’effettivo interesse economico, da parte del soggetto residente, a porre in essere l’operazione (c.d. seconda esimente) e, naturalmente, l’avvenuta esecuzione della operazione medesima;

- legge 28 dicembre 2015, n. 208 (c.d. legge di stabilità 2016)

Il comma 142 dell’articolo 1 della legge di stabilità 2016 ha abrogato i commi da 10 a 12-bis dell’articolo 110 TUIR, con la conseguente soppressione tout court del trattamento fiscale specifico riservato ai costi derivanti da transazioni commerciali intercorse con controparti estere localizzate in Paesi a fiscalità privilegiata.

Dall’analisi della recente evoluzione normativa che ha caratterizzato la disciplina dei costi black list emerge un deciso mutamento nell’approccio adottato dal legislatore fiscale.

Infatti, il regime sulle restrizioni piene alla deducibilità dei costi black list, che per lungo tempo ha governato le transazioni effettuate con fornitori localizzati in Paesi a fiscalità privilegiata, è stato sostituito - in una prima fase - da un regime basato su limitazioni parziali collegate ad un certo limite prestabilito (i.e. eccedenza rispetto al valore normale del bene o servizio acquistato), fino a giungere, con l’ultimo intervento normativo, ad ammettere i costi in esame alle regole ordinarie di deducibilità previste per la generalità dei componenti negativi di reddito.

 

1. Il regime vigente fino al periodo d’imposta 2014

 

La disciplina contenuta nell’articolo 110, comma 10 e seguenti del TUIR, in vigore prima degli interventi normativi in commento, prevedeva:

i) una presunzione relativa di indeducibilità totale delle spese e degli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse con fornitori black list;

ii) la disapplicazione di tale regola di indeducibilità ove l’impresa residente fosse stata in grado di fornire la prova che "le imprese estere svolgono prevalentemente un’attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione". Si trattava di esimenti tra loro alternative la cui di mostrazione poteva essere fornita dal contribuente in sede di controllo, oppure in via preventiva, inoltrando all’Amministrazione finanziaria apposita istanza di interpello ai sensi dell’articolo 11, comma 13, della legge n. 413 del 1991;

iii) la separata indicazione dei costi black list nella dichiarazione dei redditi.

Al riguardo, si ricorda che nel comma 11 dell’articolo 110 del TUIR, per effetto dell’articolo 1, comma 301, lettere a) e b) della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), la disciplina relativa all’obbligo dichiarativo era stata modificata, rispetto al passato, con la conseguenza che l’esposizione in dichiarazione dei costi sostenuti nei confronti di fornitori situati in Paesi "black list", pur conservando natura obbligatoria, cessava di costituire una condizione per la deducibilità dei costi medesimi. A fronte della violazione del citato obbligo dichiarativo, il comma 302 dell’unico articolo della legge finanziaria 2007, aggiungendo il comma 3-bis all’articolo 8 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, ha introdotto - in luogo della previgente indeducibilità dei relativi costi - una specifica sanzione, "pari al 10 per cento dell’importo complessivo delle spese e dei componenti negativi non indicati nella dichiarazione dei redditi, con un minimo di euro 500 ed un massimo di euro 50.000".

Tali modifiche normative, inoltre, sono state accompagnate dai chiarimenti resi nei documenti di prassi dell’amministrazione finanziaria (si vedano la circolare del 3 novembre 2009, n. 46/E, paragrafo 3.1 e la risposta al quesito 9 della circolare del 15 febbraio 2013, n. 1/E).

In particolare, è stato precisato che l’omessa separata indicazione dei costi black list nella dichiarazione dei redditi, nell’ipotesi di sussistenza di una delle esimenti richieste dal legislatore, non comportava l’indeducibilità dei medesimi costi ma l’applicazione della sola sanzione di cui al comma 3-bis dell’articolo 8 del d.lgs. n. 471 del 1997, per violazione dell’obbligo dichiarativo;

iv) con riguardo all’individuazione degli Stati o territori esteri rilevanti ai fini della disciplina in commento, nelle more dell’emanazione di una lista  formulata ai sensi dell’articolo 168-bis del TUIR (la cui emanazione non è mai stata effettuata), prevista dall’articolo 1, comma 83, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, continuavano, in ogni caso, ad applicarsi le disposizioni vigenti sino al 31 dicembre 2007 (cfr. articolo 1, comma 88, della menzionata legge n. 244 del 2007).

Ne conseguiva che, ai fini della disciplina vigente nel periodo d’imposta 2014, continuava ad assumere rilevanza la lista contenuta nel decreto ministeriale 23 gennaio 2002 che contemplava una serie di Paesi esteri "in ragione del livello di tassazione sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia, della mancanza di un adeguato scambio di informazioni, ovvero di altri criteri equivalenti" (cfr. paragrafo 9 della circolare del 6 ottobre 2010, n. 51/E).

 

2. Regime in vigore nel periodo d’imposta 2015

 

2.1 Deducibilità dei costi black list nei limiti del valore normale

L’articolo 5, comma 1, del decreto internazionalizzazione ha recato importanti modifiche alla disciplina dei costi black list, rivisitando il previgente comma 10 dell’articolo 110 del TUIR (NOTA 2). Si tratta di un intervento radicale che ha segnato il superamento della previgente regola di indeducibilità, ai fini fiscali, dei costi derivanti da transazioni effettuate nei confronti di fornitori residenti o localizzati in Stati o territori a fiscalità privilegiata.

Con la nuova impostazione che, ai sensi del comma 4 del citato articolo 5, trova applicazione a decorrere dal periodo d’imposta in corso alla data del 7 ottobre 2015, si passa da un regime di indeducibilità totale dei costi black list (rectius da una presunzione legale relativa, con inversione dell’onere della prova in capo al contribuente) superabile tramite la dimostrazione alternativa delle due citate esimenti, ad un regime in base al quale tali costi sono deducibili nei limiti del loro valore normale. In linea generale, si osserva come il capovolgimento di approccio adottato dal legislatore fa sì che la rilevanza fiscale delle spese black list non risulti più subordinata alla dimostrazione dell’esistenza di una delle due esimenti ma operi fino a capienza del corrispondente valore normale dei beni o dei servizi acquistati, a condizione che l’operazione da cui derivano le spese in questione abbia avuto concreta esecuzione (fermo restando, naturalmente, il rispetto di tutte le altre condizioni ed eventuali specifici limiti di deducibilità dei componenti negativi di reddito previsti dall’ordinamento).

L’onere della dimostrazione del valore normale dei beni e servizi acquistati è in capo al contribuente.

In particolare, la nuova formulazione del primo periodo del comma 10 dell’articolo 110 del TUIR stabilisce che "Le spese e gli altri componenti negativi derivanti da operazioni, che hanno avuto concreta esecuzione, intercorse con imprese residenti ovvero localizzate in Stati o territori aventi regimi fiscali privilegiati sono ammessi in deduzione nei limiti del loro valore normale, determinato ai sensi dell'articolo 9".

Nell’ambito dei rapporti con i fornitori localizzati nei Paesi a fiscalità privilegiata, l’elemento di novità apportato dal legislatore è, dunque, l’introduzione di un criterio quantitativo (i.e. valore normale) nei limiti del quale i componenti negativi di reddito risultano deducibili secondo le regole generali (inerenza, competenza, certezza e oggettiva determinabilità).

Si osserva che qualora il costo sia inferiore o uguale al valore normale del bene o servizio, lo stesso sarà deducibile per l’intero valore. Viceversa, se il costo in questione risultasse superiore, lo stesso sarà comunque ammesso in deduzione fino a concorrenza del valore normale. L’eventuale eccedenza, rispetto al valore normale, potrà essere dedotta dal reddito d’impresa del soggetto residente qualora risultino soddisfatte le condizioni contenute nel comma 11 dell’articolo 110 del TUIR.

E’ solo il caso di osservare che, in continuità rispetto al previgente regime, la formulazione della norma in vigore nel 2015 conserva l’ovvio richiamo al requisito della concreta esecuzione delle operazioni poste in essere con il fornitore localizzato in un Paese a fiscalità privilegiata. Al pari di qualsiasi altro componente negativo di reddito, infatti, la deducibilità dei costi in esame presuppone che questi siano generati da operazioni che hanno avuto concreta esecuzione e siano inerenti all’attività svolta dalla stessa impresa, a prescindere dalla circostanza che tali costi siano pari al valore normale del bene o servizio acquistato.

 

2.2 Valore normale

Come già anticipato, ai fini della disciplina in esame, il legislatore ha utilizzato quale criterio generale per la deducibilità dei costi black list quello del valore normale, determinato ai sensi dell’articolo 9 del TUIR (NOTA 3).

Al riguardo, è importante sottolineare che il Governo, in sede di iter di formazione del decreto internazionalizzazione, non ha accolto l’osservazione formulata dalla VI Commissione Finanze della Camera dei Deputati circa l’opportunità di precisare "che i costi si ritengono sostenuti al valore normale, salvo prova contraria".

Conseguentemente, si ritiene che la prova della congruità del costo dedotto rispetto al relativo valore normale del bene o servizio acquistato deve essere fornita dallo stesso contribuente. Più precisamente, qualora il contribuente abbia portato in deduzione l’importo integrale del costo, in sede di eventuale controllo, dovrà fornire la dimostrazione che tale importo è corrispondente al valore normale del bene acquistato o del servizio ricevuto da operatori localizzati in un paradiso fiscale. Al riguardo, si rammenta che nel comma 2 dell’articolo 1 del decreto internazionalizzazione il legislatore ha previsto che le imprese che aderiscono al regime dell’adempimento collaborativo hanno accesso alla procedura di preventiva definizione in contradditorio con l’Agenzia delle entrate anche per i metodi di calcolo del valore normale delle operazioni di cui all’articolo 110, comma 10, del TUIR (NOTA 4).

 

2.3 Esimente per la deduzione dei costi eccedenti il valore normale

Con il decreto internazionalizzazione è stato modificato anche il comma 11 dell’articolo 110 del TUIR che, nella nuova formulazione, nel primo periodo, statuisce quanto segue: "Le disposizioni di cui al comma 10 non si applicano quando le  imprese residenti in Italia forniscano la prova che le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione".

Viene, dunque, prevista la disapplicazione del precedente comma 10, vale a dire la possibilità di dedurre i costi black list, anche oltre il limite del relativo valore normale, a condizione che sia provato l’effettivo interesse economico dell’operazione posta in essere.

Si tratta della cd. "seconda esimente" che rimane confermata, quale unica esimente, in continuità con il precedente regime, limitatamente alla quota eccedente il valore normale del bene o servizio acquistato, avendo il decreto in esame espunto la cd. "prima esimente" che subordinava la deducibilità dei costi black list alla prova dello svolgimento in via prevalente, da parte del fornitore estero, di un’effettiva attività commerciale.

Con l’intervento normativo effettuato dall’articolo 5 del decreto internazionalizzazione sulla disciplina di deducibilità dei costi black list si vengono a delineare, in sostanza, due regimi paralleli: i) un regime di deducibilità del costo black list che opera entro i limiti del valore normale della transazione (cfr. articolo 110, comma 10, del TUIR); ii) un regime di deducibilità del costo black list eccedente il valore normale, subordinato alla prova della cd. "seconda esimente" (cfr. articolo 110, comma 11, del TUIR).

Secondo il nuovo dettato normativo, la rilevanza dei costi black list è ammessa nei limiti del valore normale (di cui il contribuente deve fornire prova), senza la necessità, tuttavia, che lo stesso debba dimostrare la sussistenza di alcuna esimente. Inoltre, qualora lo stesso contribuente dimostri che le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico, ne consegue la disapplicazione del comma 10 dell’articolo 110 del TUIR e, dunque, la deduzione del costo black list spetterà in misura piena.

Con riguardo alla sussistenza dell’esimente relativa all’effettivo interesse economico, si precisa che rimangono valide le considerazioni contenute al paragrafo 9 della circolare del 6 ottobre 2016, n. 51/E, secondo cui la valutazione in oggetto va effettuata tenendo conto di tutti gli elementi e le circostanze che caratterizzano il caso concreto, attribuendo rilevanza alle condizioni complessive dell’operazione.

In particolare, si ritiene che ai fini della prova dell’interesse economico debbano essere valorizzate tutte quelle circostanze, legate alla specificità del caso concreto che, rivestendo carattere di eccezionalità, giustifichino un valore sostenuto superiore a quello di mercato, rendendo le transazioni non comparabili sul mercato da un punto di vista soggettivo o oggettivo.

 

2.4 Ambito soggettivo ed oggettivo di applicazione dell’articolo 110 del TUIR

Le novità introdotte dal decreto internazionalizzazione non hanno modificato l’ambito soggettivo ed oggettivo di applicazione della disciplina.

Al riguardo, valgono, in quanto compatibili, i chiarimenti resi nei precedenti documenti di prassi dell’Amministrazione finanziaria (si vedano, in particolare, i paragrafi 9.1 e 9.2 della circolare del 6 ottobre 2010, n. 51/E e il paragrafo 4 della circolare del 20 settembre 2012, n. 35/E).

 

2.5 Obblighi dichiarativi

L’articolo 5 del decreto internazionalizzazione, nel comma 11 dell’articolo 110 del TUIR, ha mantenuto l’obbligo di separata indicazione nella dichiarazione dei redditi dei costi black list, prevedendo, in linea con il nuovo assetto normativo, nella seconda parte del comma 11 dell’articolo 110 del TUIR, che "le spese e gli altri componenti negativi deducibili ai sensi del primo periodo del presente comma e ai sensi del comma 10 sono separatamente indicati nella dichiarazione dei redditi".

Dalla lettura della norma risulta, dunque, che le spese in questione debbano essere esposte separatamente nella dichiarazione dei redditi a prescindere dalla circostanza che le stesse risultino o meno superiori al valore normale. In altre parole, anche nella nuova disciplina, i costi black list continuano ad essere identificati separatamente nella dichiarazione dei redditi del contribuente che pone in essere operazioni con fornitori residenti o localizzati in Paesi a fiscalità privilegiata, non solo nell’ipotesi un cui il contribuente debba dimostrare l’effettivo interesse economico, ma anche quando la deducibilità del menzionato costo è ammessa nei limiti del valore normale del bene o servizio acquistato.

Con riguardo alla separata indicazione in dichiarazione dei costi black list, è utile ricordare che, come chiarito nella circolare n. 35/E del 20 settembre 2012, paragrafo 4.4, anche in presenza di un parere positivo di disapplicazione della disciplina antielusiva, il contribuente residente continua ad essere soggetto all’obbligo di separata indicazione in dichiarazione. Ciò al fine di consentire all’Amministrazione finanziaria di indirizzare puntualmente i controlli verso quelle operazioni per le quali il legislatore ha voluto alzare la soglia di attenzione perché potenzialmente elusive, verificando la correttezza delle informazioni fornite nell’istanza di interpello, nonché l’esecuzione dell’operazione stessa.

Si ritiene, inoltre, che il mancato rispetto dell’obbligo di separata indicazione dei costi black list nella dichiarazione dei redditi, sia per la parte eccedente il valore normale dei beni servizi acquistati, sia nei limiti di detto valore, comporta l’irrogazione della sanzione prevista dal menzionato comma 3- bis dell’articolo 8 del d.lgs. n. 471 del 1997. Resta inteso che oltre a tale sanzione troverà applicazione la sanzione correlata all’infedele dichiarazione qualora, in presenza di una deduzione del costo black list oltre il valore normale del bene o servizio acquistato, non sia dimostrata la prova dell’esimente richiesta al comma 11 dell’articolo 110 del TUIR.

 

2.6 Novità in materia di istanze di interpello costi black list

Ai sensi dell’ultima parte del comma 11, articolo 110 del TUIR, il legislatore ha disposto che: "l'Amministrazione, prima di procedere all'emissione dell'avviso di accertamento d'imposta o di maggiore imposta, deve notificare all'interessato un apposito avviso con il quale viene concessa al medesimo la possibilità di fornire, nel termine di novanta giorni, le prove predette. Ove l'Amministrazione non ritenga idonee le prove addotte, dovrà darne specifica motivazione nell'avviso di accertamento. A tal fine il contribuente può interpellare l'amministrazione ai sensi dell'articolo 11, comma 1, lettera b), della legge 27 luglio 2000, n. 212, recante lo Statuto dei diritti del contribuente".

Come era previsto nella previgente disciplina, l’amministrazione finanziaria subordina l’emissione dell’avviso di accertamento ad un contradditorio preventivo. In particolare, nel nuovo impianto normativo viene concesso il termine di novanta giorni all’interessato per fornire la prova del valore normale del bene o servizio acquistato e, in presenza di un’eventuale eccedenza del costo sostenuto rispetto a tale valore normale, per dimostrare che l’operazione posta in essere risponda ad un effettivo interesse economico e che la stessa abbia avuto concreta esecuzione.

Pertanto, qualora il contribuente abbia presentato elementi probatori atti a determinare il valore normale del bene o servizio ricevuto ma l’amministrazione finanziaria ritenga che il valore normale sia inferiore e che non sussista l’esimente previsto dalla norma in esame, la stessa provvederà ad emettere un avviso di accertamento specificamente motivato, a rettifica della parte del costo dedotto eccedente il suddetto valore normale.

Nel comma 11 dell’articolo 110 del TUIR, ultimo capoverso, si fa espresso richiamo alla possibilità concessa al contribuente di presentare istanza di interpello, ai sensi dell'articolo 11, comma 1, lettera b), della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto del Contribuente) al fine di dimostrare il particolare interesse che legittima la deduzione extra valore normale (NOTA 5).Tale facoltà è stata introdotta nel nuovo testo dell’articolo 110 del TUIR ad opera dell’articolo 7, comma 5, del decreto legislativo n. 156 del 24 settembre 2015.

Come noto, anche nella precedente disciplina, al contribuente era concessa la facoltà di presentare istanza di interpello, ai sensi dell’articolo 11, comma 13, della legge 30 dicembre 1991, n. 413, in relazione alla deducibilità dei componenti negativi derivanti da operazioni intercorse tra l'istante e le imprese e i professionisti residenti o localizzati in Stati o territori a fiscalità privilegiata.

Tuttavia, tale possibilità non era espressamente prevista nell’articolo 110 del TUIR ma si desumeva dal combinato disposto degli articoli 11, comma 13 e dell’articolo 21 della legge 30 dicembre 1991, n. 413. In considerazione del richiamo all’interpello introdotto nell’articolo 110 TUIR e vista la portata generale dell’articolo 11 dello Statuto del contribuente, per esigenze di omogeneità e razionalizzazione della disciplina, l’articolo 7, comma 6, del decreto legislativo del 24 settembre 2015 n. 156 ha abrogato il citato articolo 11, comma 13, della legge 30 dicembre 1991, n. 413.

Nell’attuale impianto normativo, dunque, i contribuenti che intendono ricevere un parere dell’amministrazione finanziaria sull’idoneità delle prove in loro possesso, ai fini del superamento dell’indeducibilità (o dei limiti di deducibilità) delle spese intercorse con imprese residenti in Stati o territori aventi regime fiscale privilegiato, possono presentare istanza di interpello. A partire dal 1° gennaio 2016 anche a tale tipologia di interpello cd. probatorio, si applicheranno le norme previste dal d.lgs. n. 156 del 24 settembre 2015, le regole procedurali stabilite dal provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate del 4 gennaio 2016 n. 27, nonché le indicazioni di prassi fornite dalla circolare del 1° aprile 2016, n. 9/E.

Alla luce di tali novità normative, le modifiche più rilevanti apportate all’interpello previsto dall’articolo 110, comma 11, del TUIR rispetto alla previgente disciplina sono: i) la presentazione dell’istanza alla Direzione Centrale Normativa nel caso di soggetti di più rilevante dimensione; ii) la possibilità di regolarizzazione dell’istanza che può essere fatta dall’amministrazione finanziaria, nei casi previsti dall’articolo 3, comma 3, del d.lgs. del 24 settembre 2015 n. 156; iii) la perentorietà del termine di risposta (120 giorni decorrenti dalla presentazione dell’istanza stessa) non più collegato alla cd. diffida che il contribuente doveva inoltrare qualora non avesse ricevuto riscontro dall’Agenzia delle Entrate.

 

2.7 Rapporti con la normativa convenzionale

In vigenza dell’articolo 110, comma 10, del TUIR è stato sollevato il problema della compatibilità del regime ivi previsto con la norma convenzionale di cui all’articolo 24, par. 4, del Modello OCSE di Convenzione contro le doppie imposizioni, relativa alla cd. clausola di non discriminazione.

Tale clausola prevede che "fatta salva l’applicazione delle disposizioni contenute nel paragrafo 4 dell’articolo 12, gli interessi, i canoni e le altre somme pagate da un’impresa di uno Stato contraente ad un residente dell’altro Stato contraente, sono deducibili, ai fini di determinare gli utili imponibili di detta impresa, alle stesse condizioni in cui sarebbero deducibili se fossero pagati ad un residente del primo Stato".

In applicazione di tale disciplina convenzionale, dunque, le spese sostenute nei confronti di un residente dell’altro Stato contraente debbono essere ammesse in deduzione alle stesse condizioni che sarebbero applicabili qualora la controparte fosse residente nel medesimo Stato dell’impresa acquirente /committente.

La formulazione della norma convenzionale non appare, tuttavia, in contrasto con la disposizione antielusiva domestica, vigente fino al periodo d’imposta 2015.

In particolare, si osserva come la disciplina in materia di costi black list, nella sua formulazione ante decreto internazionalizzazione, non vietava in assoluto la deduzione delle spese e degli altri componenti negativi per operazioni intercorse con soggetti localizzati in Paesi a fiscalità privilegiata, ma richiedeva la sussistenza delle esimenti previste dal comma 11 del medesimo articolo.

Come affermato anche dalla Corte di Cassazione, con sentenza del 23 febbraio 2010, n. 4272, la disposizione antielusiva domestica non è in rapporto antinomico con il principio di non discriminazione sancito dalla Convenzione in quanto "entrambe le norme suppongono, di necessità logica, la effettività del costo".

In sostanza, l’effettività delle operazioni economiche intrattenute, oltre ad essere un elemento imprescindibile ai fini della deducibilità dei costi, costituisce un presupposto di applicazione dello stesso articolo 24, par. 4, del Modello OCSE di Convenzione che, nell’utilizzare l’espressione "pagati" presuppone il reale compimento dell’operazione, in conformità con il dettato del comma 11 dell’articolo 110 del TUIR.

Si osserva, altresì, che la circostanza per cui la deducibilità di componenti negativi sostenuti con imprese e professionisti localizzati in Paesi black list fosse subordinata alla dimostrazione delle esimenti è coerente con le finalità perseguite dalla Convenzione.

Il paragrafo 75 del Commentario all’articolo 24 del Modello OCSE chiarisce espressamente che il principio di non discriminazione non impedisce allo Stato di prevedere obblighi informativi aggiuntivi che siano diretti ad assicurare livelli simili di conformità e verifica nel caso di pagamenti effettuati a residenti e a non-residenti ("Also, paragraph 4 does not prohibit additional information requirements with respect to payments made to non-residents since these requirements are intended to ensure similar levels of compliance and verification in the case of payments to residents and non-residents").

Non si reputa, quindi, discriminatoria la richiesta di ulteriori informazioni al contribuente italiano volta alla dimostrazione di una delle esimenti per verificare la realtà economica dell’operazione che, coinvolgendo un soggetto localizzato in un Paese a fiscalità privilegiata, si presenta a più alto rischio di abuso rispetto alletransazioni meramente domestiche.

Le medesime considerazioni, inoltre, valgono anche in ordine all’adempimento richiesto dal comma 11 dell’articolo 110 del TUIR, inerente alla separata indicazione in dichiarazione dei costi in argomento.

Si evidenzia, infine, che lo spirito delle Convenzioni contro le doppie imposizioni di ripartire la potestà impositiva tra gli Stati contraenti deve essere considerato unitamente all’esigenza di evitare fenomeni di abuso. Il paragrafo 9.5 del Commentario all’articolo 1 del Modello OCSE definisce come un principio guida quello di negare i benefici convenzionali se lo scopo principale di una transazione è quello di ottenere una posizione e trattamenti fiscali di maggior favore che sarebbero contrari allo scopo delle disposizioni pattizie ("A guiding principle is that the benefits of a double taxation convention should not be available where a main purpose for entering into certain transactions or arrangements was to secure a more favourable tax position and obtaining that more favourable treatment in these circumstances would be contrary to the object and purpose of the relevant provisions").

A fortiori, si esclude che tale antinomia possa sussistere in relazione alla disciplina introdotta dal decreto internazionalizzazione che ha consentito, anche in caso di operazioni con soggetti localizzati in un Paese a fiscalità privilegiata, la deduzione delle spese e degli altri componenti negativi fino a concorrenza del valore normale.

 

2.8 Rapporti con la CFC rule

L’articolo 110, comma 12, del TUIR regola i rapporti intercorrenti tra la disciplina dei costi black list e la normativa sulle imprese estere controllate.

Nel precedente impianto normativo, il menzionato comma 12 prevedeva l’inapplicabilità delle regole sui costi black list per le operazioni intercorse con operatori non residenti cui risulti applicabile la cd. CFC rule, di cui agli articoli 167 o 168 del TUIR. In base a tale previsione normativa, al ricorrere dei presupposti ivi stabiliti, la disciplina CFC si applicava prioritariamente, rispetto al regime di indeducibilità in esame. Pertanto, nel caso in cui il reddito della partecipata estera veniva attratto a tassazione per trasparenza in Italia, in capo al socio residente, nei confronti di quest’ultimo non trovava applicazione il disposto del comma 10 dell’articolo 110 del TUIR relativamente ai costi derivanti da transazioni intercorse con la medesima partecipata estera (cfr. la Circolare n. 51/E del 2010, par. 9.4).

Più precisamente, era previsto che, nell’ipotesi di risposta negativa da parte dell’Amministrazione finanziaria a fronte della presentazione dell’istanza di interpello di disapplicazione degli articoli 167 o 168 del TUIR (tassazione per trasparenza del reddito estero), conseguiva la deducibilità dei costi sostenuti nei confronti di soggetti residenti nei "paradisi fiscali".

Diversamente, nell’ipotesi in cui l’Amministrazione finanziaria avesse fornito una risposta positiva all’istanza di interpello CFC presentata dal contribuente, non trovavano applicazione gli articoli 167 e 168 del TUIR, con la conseguente applicazione dell’articolo 110, comma 10, del TUIR per le operazioni intercorse con la medesima partecipata estera.

Tuttavia, come chiarito nella menzionata circolare n. 51/E del 2010, par. 9.3, in virtù della maggior ampiezza probatoria richiesta alla disciplina CFC, l’interpello favorevole in merito all’esimente di cui all’articolo 167, comma 5, lettera a) del TUIR era da considerare valido anche ai fini della deducibilità dei costi sostenuti con imprese domiciliate in paradisi fiscali.

Per gli stessi motivi, invece, era da escludere la validità automatica, anche ai fini CFC, dell’interpello favorevole rilasciato in materia di deducibilità di costi black list, stante i requisiti probatori di minor ampiezza richiesti per la dimostrazione dell’esimente relativa a detta disciplina.

Tanto premesso, si evidenzia come nel comma 12 dell’articolo 110 del TUIR sia stato previsto che "le disposizioni di cui ai commi 10 e 11 non si applicano per le operazioni intercorse con soggetti non residenti cui risulti applicabile l’articolo 167, concernente disposizioni in materia di imprese estere partecipate".

Anche nell’impianto normativo vigente nel periodo d’imposta 2015, permane il principio secondo cui la CFC rule si applica prioritariamente rispetto al regime di limitazione di deducibilità dei costi sostenuti in paradisi fiscali. Tuttavia, la nuova disposizione va interpretata anche alla luce delle modifiche normative che hanno eliminato la c.d. prima esimente nel comma 11 dell’articolo 110 del TUIR. Inoltre, occorre tener conto del fatto che: i) l’articolo 8, comma 3, del decreto internazionalizzazione ha abrogato l’articolo 168 del TUIR, per cui la CFC rule resta applicabile alle sole società estere controllate; ii) il D.lgs. n.156 del 24 settembre 2015 ha apportato importanti cambiamenti sulla disciplina degli interpelli, rendendo, nel caso di specie, l’interpello CFC facoltativo.

Si ritiene, pertanto, che in assenza delle esimenti previste nell’articolo 167, comma 5, del TUIR, il socio residente dovrà tassare per trasparenza il reddito estero e, conseguentemente, potrà portare in deduzione i costi black list derivanti da transazioni commerciali intercorse con la medesima partecipata estera (a prescindere dal parametro del valore normale).

Nell’ipotesi in cui, viceversa, sussistano le condizioni per la disapplicazione della CFC rule, il socio residente non sarà tenuto a tassare per trasparenza il reddito estero ai sensi dell’articolo 167 del TUIR e, ai fini della deducibilità del costo eccedente il limite del valore normale, sarà necessario valutare il ricorrere delle condizioni per l’eventuale disapplicazione dell’articolo 110, comma 10, del TUIR.

A questo riguardo si precisa che il parere positivo alla disapplicazione della disciplina CFC basato sulla dimostrazione che la partecipata estera svolge un’effettiva attività economica, radicata nel mercato estero di insediamento, non potrà più valere ai fini della disciplina dei costi black list, essendo stata eliminata la c.d. prima esimente dal comma 11 dell’articolo 110 del TUIR. Pertanto, a partire dal 2015, i soggetti che sostengono costi per beni o servizi da una partecipata estera localizzata in un paradiso fiscale possono dedurre un ammontare superiore al valore normale di tali beni e servizi solo se sono in grado di dimostrare la sussistenza di un effettivo interesse economico nell’operazione, a nulla rilevando un’eventuale risposta positiva alla disapplicazione della disciplina CFC in relazione alla medesima partecipata estera (sia se ricorre la lettera a) che la lettera b) del comma 5 dell’articolo 167 del TUIR).

Analogamente, è da escludere che l’interpello favorevole rilasciato in materia di deducibilità dei costi black list possa esplicare effetti anche ai fini CFC, stante la diversità dell’esimente relativa a detta disciplina.

 

3. L’individuazione dei regimi fiscali privilegiati: l’evoluzione normativa

 

L’individuazione degli ordinamenti a fiscalità privilegiata ai fini della deducibilità delle spese e degli altri componenti negativi di reddito ha subìto importanti modifiche a seguito dei recenti interventi normativi. Per illustrare compiutamente gli interventi adottati dal legislatore, è opportuno distinguere i criteri applicabili nel previgente regime (ante modifiche in commento), quelli adottabili per il periodo d’imposta 2015, per poi giungere alla situazione vigente al periodo di imposta 2016.

 

3.1 I regimi fiscali privilegiati vigenti fino al periodo di imposta 2014

Nel previgente regime (ante modifiche in commento) l’individuazione degli Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, ai fini dell’applicazione della disciplina contenuta nell’articolo 110, commi 10 e 12-bis, del TUIR, era contenuta nel decreto ministeriale del 23 gennaio 2002 (pubblicato in G.U. n. 29 del 4 febbraio 2002).

Il menzionato decreto del 23 gennaio 2002 ricalcava quello già predisposto con il decreto ministeriale 21 novembre 2001 e, per espressa previsione normativa, era stato inizialmente redatto sulla base dei medesimi criteri ivi adottati, ossia il livello di imposizione sensibilmente inferiore a quello vigente in Italia, la mancanza di un adeguato scambio di informazioni o altri criteri equivalenti.

Il sistema è rimasto inalterato nonostante la legge finanziaria 2008 avesse modificato l’impostazione relativa all’individuazione dei "paradisi fiscali", contenuta nel comma 10 dell’articolo 110 del TUIR (NOTA 6).

Più precisamente, il comma 10 dell’articolo 110 del TUIR, a seguito delle modifiche menzionate, stabiliva che il regime fiscale dei costi black list si sarebbe applicato ai costi "derivanti da operazioni con imprese residenti ovvero localizzate in Stati o territori diversi da quelli individuati nella lista di cui al decreto ministeriale emanato ai sensi dell’art. 168-bis" (cd. white-list).

Nelle intenzioni del legislatore della finanziaria per il 2008, la black list era  destinata ad essere eliminata e sostituita da una white list, che in relazione alla disciplina in esame, doveva essere composta dai Paesi che assicuravano uno scambio di informazioni effettivo e adeguato.

Nelle more dell’emanazione continuavano, comunque, ad applicarsi le disposizioni vigenti sino al 31 dicembre 2007 (cfr. articolo 1, comma 88, della legge 24 dicembre 2007, n. 244), ossia l’elenco di cui al d.m. 23 gennaio 2002.

 

Nella tabella sottostante è riassunta la situazione degli Stati o territori che, al 31 dicembre 2014, erano considerati dal legislatore dei paradisi fiscali.

 

D.M. 23 gennaio 2002

 

Art.1 Alderney (Isole del Canale), Andorra, Anguilla, Antille Olandesi, Aruba, Bahamas, Barbados, Barbuda, Belize, Bermuda, Brunei, Filippine, Gibilterra, Gibuti (ex Afar e Issas), Grenada, Guatemala, Guernsey (Isole del Canale), Herm (Isole del Canale), Hong Kong, Isola di Man, Isole Cayman, Isole Cook, Isole Marshall, Isole Turks e Caicos, Isole Vergini britanniche, Isole Vergini statunitensi, Jersey (Isole del Canale), Kiribati (ex Isole Gilbert), Libano, Liberia, Liechtenstein, Macao, Maldive, Malesia, Montserrat, Nauru, Niue, Nuova Caledonia, Oman, Polinesia francese, Saint Kitts e Nevis, Salomone, Samoa, Saint Lucia, Saint Vincent e Grenadine, Sant'Elena, Sark (Isole del Canale), Seychelles, Tonga, Tuvalu (ex Isole Ellice), Vanuatu.

Art. 2 Bahrein, con esclusione delle società che svolgono attività di esplorazione, estrazione e raffinazione nel settore petrolifero; Emirati Arabi Uniti, con esclusione delle società operanti nei settori petrolifero e petrolchimico assoggettate ad imposta; Monaco, con esclusione delle società che realizzano almeno il 25% del fatturato fuori dal Principato;

Singapore, con esclusione della Banca Centrale e degli organismi che gestiscono anche le riserve ufficiali dello Stato (NOTA 7).

Art. 3 Angola, con riferimento alle società petrolifere che hanno ottenuto l'esenzione dall'Oil Income Tax, alle società che godono di esenzioni o riduzioni d'imposta in settori fondamentali dell'economia angolana e per gli investimenti previsti dal Foreign Investment Code; Antigua, con riferimento alle international business companies, esercenti le loro attività al di fuori del territorio di Antigua, quali quelle di cui all'International Business Corporation Act, n. 28 del 1982 e successive modifiche e integrazioni, nonché con riferimento alle società che producono prodotti autorizzati, quali quelli di cui alla locale legge n. 18 del 1975 e successive modifiche e integrazioni; Costarica, con riferimento alle società i cui proventi affluiscono da fonti estere, nonché con riferimento alle società esercenti attività ad alta tecnologia;

Dominica, con riferimento alle international companies esercenti l'attività all'estero;

Ecuador, con riferimento alle società operanti nelle Free Trade Zones che beneficiano dell'esenzione dalle imposte sui redditi;

Giamaica, con riferimento alle società di produzione per l'esportazione che usufruiscono dei benefici fiscali dell'Export Industry Encourage Act e alle società localizzate nei territori individuati dal Jamaica Export Free Zone Act;

Kenia, con riferimento alle società insediate nelle Export Processing Zones;

Mauritius, con riferimento alle società "certificate" che si occupano di servizi all'export, espansione industriale, gestione turistica, costruzioni industriali e cliniche e che sono soggette a Corporate Tax in misura ridotta, alle Off-shore Companies e alle International Companies;

Panama, con riferimento alle società i cui proventi affluiscono da fonti estere, secondo la legislazione di Panama, alle società situate nella Colon Free Zone e alle società operanti nelle Export Processing Zones;

Portorico, con riferimento alle società esercenti attività bancarie ed alle società previste dal Puerto Rico Tax Incentives Act del 1988 o dal Puerto Rico Tourist Development Act del 1993;

Svizzera, con riferimento alle società non soggette alle imposte cantonali e municipali, quali le società holding, ausiliarie e "di domicilio"; Uruguay, con riferimento alle società esercenti attività bancarie e alle holding che esercitano esclusivamente attività off-shore;

soggetti e attività insediati negli Stati di cui sopra che usufruiscono di regimi fiscali agevolati sostanzialmente analoghi a quelli ivi indicati, in virtù di accordi o provvedimenti dell'Amministrazione finanziaria dei medesimi Stati.

 

3.2 I regimi fiscali privilegiati in vigore nel periodo d’imposta 2015

È in questo contesto normativo che si innesta la previsione contenuta nell’articolo 1, comma 678, della legge di stabilità 2015 che, in attesa del passaggio al sistema "white list", ha revisionato i criteri per l’individuazione dei regimi fiscali privilegiati, ai fini della deducibilità dei componenti negativi di reddito, di cui alla lista contenuta nel citato d.m. 23 gennaio 2002.

In particolare, la legge di stabilità 2015, ai fini dell’applicazione delle disposizioni dell’articolo 110, comma 10, del TUIR, ha stabilito che: "nelle more dell’emanazione del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze di cui all’articolo 168-bis del medesimo testo unico, l’individuazione dei regimi fiscali privilegiati è effettuata, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, con esclusivo riferimento alla mancanza di un adeguato scambio di informazioni".

E stato, dunque, eliminato il criterio relativo "ad un livello adeguato di tassazione" a favore del criterio che fa esclusivo riferimento "alla mancanza di un adeguato scambio di informazioni".

In sostanza, pur mantenendo in vita l’approccio "black list" (in luogo dell’attesa white list) con la legge di stabilità 2015 è stata confermata l’innovazione introdotta sul punto con la finanziaria 2008, rappresentata dall’esigenza di individuare i "paradisi fiscali" indipendentemente dal livello di imposizione ma sulla base della mancanza di un effettivo scambio di informazioni con il Paese estero, tenendo debitamente conto degli accordi bilaterali con esso stipulati al riguardo.

In attuazione della disposizione contenuta nel comma 678 della legge di stabilità per il 2015, il Ministro dell’economia e delle Finanze, con d.m. del 27 aprile 2015, ha ridisegnato la lista dei Paesi black list interessati alla limitazione della deduzione dei costi, modificando l’elenco dei Paesi contenuto nel d.m. 23 gennaio 2002.

Ai fini della redazione della nuova lista, sono stati espunti tutti gli Stati con i quali sussiste una base giuridica di natura bilaterale (i.e. Convenzione contro le doppie imposizioni, TIEA - Tax Information Exchange Agreement) ovvero multilaterale (i.e. Convenzione multilaterale sulla mutua assistenza amministrativa in materia fiscale OCSE/Consiglio d’Europa) che consente lo scambio di informazioni, indipendentemente dal livello di imposizione fiscale ivi vigente.

Tale decreto, dunque, è stato formulato con la finalità di includere nella lista dei Paesi interessati alla limitazione della deducibilità dei costi solo quei Paesi opachi che non assicurano un adeguato scambio di informazioni con l’Italia.

Pertanto, ai fini della disciplina dei costi black list e limitatamente al periodo d’imposta 2015 (poiché sull’articolo 110 del TUIR è ulteriormente intervenuta la legge di stabilità 2016, che ne ha previsto la sua completa abrogazione), è sorta la necessità di adeguare il decreto ministeriale del 23 gennaio 2002 in modo da individuare gli Stati e i territori da considerare "paradisi fiscali" sulla base dei nuovi parametri normativi.

Per dare attuazione alla modifica normativa dell’articolo 1, comma 678, della legge di stabilità 2015, sono stati emanati i seguenti due decreti ministeriali:

- d.m. 27 aprile 2015, pubblicato in G.U. n. 107 del 11 maggio 2015, che ha rimosso dalla black list i seguenti Stati: Alderney (Isole del Canale), Anguilla, ex Antille Olandesi, Aruba, Belize, Bermuda, Costarica, Emirati Arabi Uniti, Filippine, Gibilterra, Guernsey (Isole del Canale), Herm (Isole del Canale), Isola di Man, Isole Cayman, Isole Turks e Caicos, Isole Vergini britanniche, Jersey (Isole del Canale), Malesia, Mauritius, Montserrat, Singapore;

- d.m. 18 novembre 2015, pubblicato in G.U. n. 279 del 30 novembre 2015, che ha espunto dalla black list anche Hong Kong.

In merito all’efficacia di tali modifiche, si fa presente che la disciplina di cui all’articolo 110, comma 10, del TUIR continua a trovare applicazione in relazione alle operazioni commerciali con gli Stati espunti dalla black list intercorse entro il giorno precedente l’entrata in vigore del relativo decreto modificativo. Più precisamente, i costi derivanti da operazioni con soggetti localizzati nei seguenti Stati: i) Alderney (Isole del Canale), Anguilla, ex Antille Olandesi, Aruba, Belize, Bermuda, Costarica, Emirati Arabi Uniti, Filippine, Gibilterra, Guernsey (Isole del Canale), Herm (Isole del Canale), Isola di Man, Isole Cayman, Isole Turks e Caicos, Isole Vergini britanniche, Jersey (Isole del Canale), Malesia, Mauritius, Montserrat, Singapore, rientrano nell’ambito applicativo della disciplina in esame se sostenuti entro il 10 maggio 2015;

ii) Hong Kong, sono considerati costi black list se sostenuti fino al 29 novembre 2015.

 

Nella tabella sottostante viene riassunta la situazione dei Paesi indicati nel d.m. 23 gennaio 2002, vigente al 31 dicembre 2015.

 

D.M. 23 gennaio 2002

 

Art.1 Andorra, Bahamas, Barbados, Barbuda, Brunei, Gibuti (ex Afar e Issas), Grenada, Guatemala, Isole Cook, Isole Marshall, Isole Vergini statunitensi, Kiribati (ex Isole Gilbert), Libano, Liberia, Liechtenstein, Macao, Maldive, Nauru, Niue, Nuova Caledonia, Oman, Polinesia francese, Saint Kitts e Nevis, Salomone, Samoa, Saint Lucia, Saint Vincent e Grenadine, Sant'Elena, Sark (Isole del Canale), Seychelles, Tonga, Tuvalu (ex Isole Ellice), Vanuatu.

Art. 2 Bahrein, con esclusione delle società che svolgono attività di esplorazione, estrazione e raffinazione nel settore petrolifero; Monaco, con esclusione delle società che realizzano almeno il 25% del fatturato fuori dal Principato.

Art. 3 Angola, con riferimento alle società petrolifere che hanno ottenuto l'esenzione dall'Oil Income Tax, alle società che godono di esenzioni o riduzioni d'imposta in settori fondamentali dell'economia angolana e per gli investimenti previsti dal Foreign Investment Code;

Antigua, con riferimento alle international business companies, esercenti le loro attività al di fuori del territorio di Antigua, quali quelle di cui all'International Business Corporation Act, n. 28 del 1982 e successive modifiche e integrazioni, nonché con riferimento alle società che producono prodotti autorizzati, quali quelli di cui alla locale legge n. 18 del 1975 e successive modifiche e integrazioni;

Dominica, con riferimento alle international companies esercenti l'attività all'estero;

Ecuador, con riferimento alle società operanti nelle Free Trade Zones che beneficiano dell'esenzione dalle imposte sui redditi;

Giamaica, con riferimento alle società di produzione per l'esportazione che usufruiscono dei benefici fiscali dell'Export Industry Encourage Act e alle società localizzate nei territori individuati dal Jamaica Export Free Zone Act;

Kenia, con riferimento alle società insediate nelle Export Processing Zones; Panama, con riferimento alle società i cui proventi affluiscono da fonti estere, secondo la legislazione di Panama, alle società situate nella Colon Free Zone e alle società operanti nelle Export Processing Zones;

Portorico, con riferimento alle società esercenti attività bancarie ed alle società previste dal Puerto Rico Tax Incentives Act del 1988 o dal Puerto Rico Tourist Development Act del 1993;

Svizzera, con riferimento alle società non soggette alle imposte cantonali e municipali, quali le società holding, ausiliarie e "di domicilio"; Uruguay, con riferimento alle società esercenti attività bancarie e alle holding che esercitano esclusivamente attività off-shore; soggetti e attività insediati negli Stati di cui sopra che usufruiscono di regimi fiscali agevolati sostanzialmente analoghi a quelli ivi indicati, in virtù di accordi o provvedimenti dell'amministrazione finanziaria dei medesimi Stati.

 

4. Regime vigente a partire dal periodo d’imposta 2016

 

4.1 Abrogazione dell’articolo 110, commi da 10 a 12-bis del TUIR

Come anticipato in premessa, con il cd. decreto internazionalizzazione era stata già avviata una profonda rivisitazione della disciplina dei costi black list, in forza della quale la presunzione relativa di indeducibilità dei menzionati costi era stata sostituita con una deducibilità nei limiti del valore normale del bene o servizio acquistato dal fornitore ubicato nel Paese a fiscalità privilegiata.

Rimaneva, tuttavia, indeducibile la parte di costo eccedente il valore normale, sempre che il contribuente non avesse fornito la prova circa l’effettivo interesse economico nel porre in essere l’operazione. A pochi mesi di distanza da tale modifica, il legislatore fiscale è nuovamente intervenuto sul regime in parola con l’articolo 1, comma 142, della legge di stabilità 2016.

In particolare, tale ultimo intervento normativo ha ulteriormente modificato la disciplina delle transazioni con fornitori localizzati in Paesi a fiscalità privilegiata, prescrivendo l’abrogazione tout court dello speciale regime di limitazione di deducibilità riservato ai costi black list. Con l’eliminazione dei commi da 10 a 12-bis dell’articolo 110 del TUIR e, dunque, della disciplina ad hoc prevista per i suddetti costi, si vengono a verificare i seguenti effetti:

- la deducibilità integrale dei costi black list (previo rispetto dei requisiti ordinari di deducibilità previsti dall’ordinamento);

- il venir meno dell’obbligo, precedentemente previsto, della separata indicazione in dichiarazione dei costi black list e della inapplicabilità della relativa sanzione;

- il venir meno degli elenchi tassativi degli Stati o territori a fiscalità privilegiata.

Con riguardo alle modifiche introdotte per effetto del menzionato comma 142 della legge stabilità 2016, si precisa che le stesse producono i loro effetti dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015 (NOTA 8), ossia a decorrere dal 1° gennaio 2016 per i soggetti con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare.

 

4.2 Le nuove regole di deducibilità dei costi black list

Per effetto della abrogazione dei commi da 10 a 12-bis dell’art. 110 del TUIR, è stata eliminata la disciplina fiscale riservata ai costi black list, con la conseguenza che alle spese e agli altri componenti negativi di reddito derivanti da operazioni intercorse con imprese o professionisti residenti ovvero localizzati in Stati o territori a fiscalità privilegiata è stato restituito il regime generale di deducibilità cui soggiacciono i componenti negativi di reddito.

In altre parole, le novità introdotte dalla legge di stabilità 2016 hanno portato ad un radicale cambiamento del regime dei c.d. costi black list per cui gli stessi costi seguono le ordinarie regole di deducibilità contenute nel TUIR. Ne consegue che, dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015, i costi black list sono deducibili per il loro intero ammontare, restando soggetti solo alle ordinarie regole di deducibilità previste per gli analoghi costi sostenuti nei confronti di qualsiasi fornitore. Resta inteso che per i costi sostenuti nei confronti di un operatore estero, residente in un Paese considerato black list in base alla previgente normativa ed appartenente al medesimo gruppo societario del soggetto residente in Italia, continuano a trovare applicazione le regole dettate in materia di transfer pricing. Gli interventi normativi in commento non hanno, infatti, introdotto modifiche ai commi 7 e 9 dell’articolo 110 del TUIR.

 

4.3 Obbligo di separata indicazione in dichiarazione dei costi black list

Un ulteriore effetto dell’abrogazione della norma in esame è la conseguente eliminazione dell’obbligo di separata indicazione nella dichiarazione dei redditi dei costi black list, così come precedentemente previsto dal comma 11, secondo periodo, dell’articolo 110 del TUIR e della inapplicabilità della relativa sanzione in caso di inadempimento dell’obbligo in questione.

Al riguardo, nel paragrafo 2.5 è stato già chiarito che, nel regime vigente fino al periodo d’imposta 2015, tale inadempimento ha comportato l’applicazione della sanzione amministrativa per violazione dell’obbligo dichiarativo di cui al comma 3-bis dell’articolo 8 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471 "in misura pari al 10 per cento delle spese non segnalate, con un minimo di 500 ed un massimo di 50.000 euro".

E’ appena il caso di segnalare che il legislatore non ha, tuttavia, previsto contestualmente all’eliminazione della disciplina dei costi black list l’abrogazione esplicita del menzionato comma 3-bis dell’articolo 8, del decreto legislativo n. 471 del 1997.

Ad ogni modo, si precisa che tale norma sanzionatoria debba essere considerata implicitamente abrogata per effetto della cancellazione della norma primaria, di cui al comma 11 dell’articolo 110 del TUIR, dalla stessa richiamata, con effetto a decorrere dal periodo di efficacia dell’abrogazione della disciplina dei costi black list.

Pertanto, il venir meno dell’obbligo della separata indicazione in dichiarazione dei costi black list, con riferimento alle dichiarazioni relative ai periodi d’imposta 2016 e successivi (per i soggetti con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare), comporta anche l’inapplicabilità della relativa sanzione amministrativa disposta per la violazione di tale obbligo.

 

4.4 Applicabilità delle sanzioni per le violazioni commesse in relazione ai periodi d’imposta pregressi

Per quanto concerne i periodi di imposta anteriori al 2016, si pone il dubbio circa l’applicabilità o meno delle sanzioni correlate alla disciplina dei costi black list.

In particolare, la questione riguarda:

- la sanzione per la mancata separata indicazione dei costi black list nella dichiarazione dei redditi (cfr. articolo 8, comma 3-bis, del decreto legislativo n. 471 del 1997);

- la sanzione per dichiarazione infedele (cfr. articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 471 del 1997), qualora tali costi black list fossero considerati (parzialmente) indeducibili, per insussistenza dell’esimente.

Al riguardo, come recentemente affermato anche dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 6651 del 21 gennaio 2016, non assume rilevanza lo ius superveniens rappresentato dalla norma abrogativa della disciplina in esame stante l’irretroattività prevista sia, in linea generale, dall’articolo 11 delle preleggi, sia dalla specifica disciplina transitoria di cui all’articolo 1, comma 144, della legge di stabilità 2016. In particolare, si ricorda che il citato comma 144 recita testualmente: "le disposizioni di cui ai commi 142 e 143 si applicano a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015".

In virtù di tale disciplina transitoria non può essere invocato neanche il principio del favor rei, previsto nel nostro sistema tributario nell’ambito delle disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie.

Dall’esame del comma 2 dell’articolo 3 del d.lgs. n. 472 del 1997, si evince che il principio generale del favor rei può essere derogato dal legislatore con una espressa previsione di legge. Tale possibilità di deroga, infatti, è enunciata nell’incipit del predetto comma 2 in cui si dispone: "salvo diversa previsione di legge".

Con riferimento alla disciplina in esame, la suprema Corte ha confermato l’esercizio di tale potere di deroga da parte del legislatore, prevedendo l’irretroattività delle norme più favorevoli.

Pertanto, con riferimento ai periodi d’imposta precedenti al 2016, si ritiene che potranno essere applicate sia la sanzione prevista per l’omessa separata indicazione dei costi black list, sia la sanzione per dichiarazione infedele qualora tali costi fossero considerati indeducibili (o parzialmente indeducibili), in assenza dell’esimente.

Per completezza si ricorda che, a seguito della nuova disciplina del ravvedimento, con la legge di stabilità 2015 è stato modificato, dal legislatore, l’articolo 13 del decreto legislativo n. 472 del 18 settembre 1997 ed è stata introdotta la possibilità di regolarizzare gli errori o le omissioni anche dopo la constatazione della violazione.

 

4.5 La lista degli Stati o territori a fiscalità privilegiata

Come già evidenziato nel paragrafo 3 della presente circolare, a partire dal periodo d’imposta 2016 non assume più alcuna rilevanza l’individuazione degli ordinamenti a fiscalità privilegiata, ai fini della deducibilità delle spese e degli altri componenti negativi di reddito.

Ricordiamo che prima della entrata in vigore della legge di stabilità 2016, che ha abrogato tout court l’articolo 110, commi 10 e 12-bis, del TUIR, l’individuazione degli Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato era affidata al decreto ministeriale del 23 gennaio 2002. Sebbene non formalmente abrogata dalla modifiche normative in commento, perde ogni valenza la citata lista contenente l’individuazione degli Sati o territori a fiscalità privilegiata. In altre parole, l’individuazione degli Stati considerati a fiscalità privilegiata, ai fini della deducibilità dei costi black list, per mezzo di un apposito decreto viene superata dalla legge di stabilità 2016.

 

4.6 Raccolta di informazioni riguardanti le operazioni con soggetti esteri

Al fine di garantire un adeguato presidio al contrasto dell’evasione fiscale internazionale, a fronte dell’abrogazione della disciplina sui c.d. costi black list, la legge di stabilità 2016, all’articolo 1, comma 147, ha disposto la raccolta delle informazioni relative agli acquisti di beni e alle prestazioni di servizi ricevute da soggetti residenti fuori dal territorio dello Stato. I criteri generali di raccolta di tali informazioni saranno stabiliti con un apposito decreto del Ministro dell’economia e delle finanze mentre le modalità tecniche di applicazione saranno definite con un provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate che disporrà anche la soppressione di eventuali duplicazioni di adempimenti già esistenti.

In merito alle operazioni poste in essere nei c.d. paradisi fiscali, si ricorda che, in attuazione dell’articolo 1 del decreto legge 25 marzo 2010, n. 40, convertito con legge 22 maggio 2010 n. 73, i soggetti passivi IVA sono tenuti a comunicare all’Agenzia delle entrate i dati relativi alle operazioni effettuate nei confronti di operatori economici aventi sede, residenza o domicilio negli Stati o territori individuati dai decreti del 4 maggio 1999 e del 21 novembre 2001. In particolare, la predetta segnalazione riguarda le seguenti operazioni:

a) cessioni di beni;

b) prestazioni di servizi rese;

c) acquisti di beni;

d) prestazioni di servizi ricevute.

La finalità di tale disposizione - che prevede l’obbligo di trasmissione per via telematica all’Agenzia delle Entrate delle operazioni sopra richiamate - è quella di individuare con maggiore celerità i soggetti passivi italiani che operano con soggetti situati in Paesi a fiscalità privilegiata, al fine di indirizzare tempestivamente l’attività di controllo. Come stabilito nel decreto legislativo 21 novembre 2014, n. 175 (cd. Decreto Semplificazioni), la comunicazione in questione deve essere effettuata a cadenza annuale, e non più mensile o trimestrale, per le operazioni di importo complessivo annuale superiore a 10 mila euro.

Per completezza si segnala che, con provvedimento del Direttore dell’Agenza delle Entrate n. 45144 del 25 marzo 2016, è stato disposto il differimento al 20 settembre 2016 del termine per la comunicazione dei dati relativi al 2015 delle operazioni con soggetti residenti nei paesi a fiscalità privilegiata.

 

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Note:

(1) In forza dell’articolo 12, comma 1, lettera b) della legge 11 marzo 2014, n. 23 (c.d. delega fiscale), il Governo è stato delegato alla revisione della disciplina impositiva riguardante le operazioni transfrontaliere, con particolare riferimento "al regime di rimpatrio dei dividendi provenienti dagli Stati con regime fiscale privilegiato, al regime di deducibilità dei costi di transazione commerciale dei soggetti insediati in tali Stati ".

(2) Ai sensi dell’articolo 5, comma 1 del decreto internazionalizzazione è previsto che: "All'articolo 110 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) il comma 10 è sostituito dal seguente: «10. Le spese e gli altri componenti negativi derivanti da operazioni, che hanno avuto concreta esecuzione, intercorse con imprese residenti ovvero localizzate in Stati o territori aventi regimi fiscali privilegiati sono ammessi in deduzione nei limiti del loro valore normale, determinato ai sensi dell'articolo 9. Si considerano privilegiati i regimi fiscali di Stati o territori individuati con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, in ragione della mancanza di un adeguato scambio di informazioni.»;

b) al comma 11, nel primo periodo le parole: «le imprese estere svolgono prevalentemente un'attività commerciale effettiva, ovvero che» sono soppresse e nel secondo periodo le parole: «del primo periodo» sono sostituite dalle seguenti: «del primo periodo del presente comma e ai sensi del comma 10»;

c) al comma 12-bis le parole: «in Stati o territori diversi da quelli individuati nella lista di cui al decreto ministeriale emanato ai sensi dell'articolo 168-bis. Tale disposizione non si applica ai professionisti domiciliati in Stati dell'Unione europea o dello Spazio economico europeo inclusi nella lista di cui al citato decreto» sono sostituite dalle seguenti: «in Stati o territori individuati con il decreto di cui al comma 10».

(3) Si ricorda che l’articolo 9 del TUIR prevede che: "3. Per valore normale, salvo quanto stabilito nel comma 4 per i beni ivi considerati, si intende il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi. Per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle camere di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d'uso. Per i beni e i servizi soggetti a disciplina dei prezzi si fa riferimento ai provvedimenti in vigore. 4. Il valore normale è determinato: a) per le azioni, obbligazioni e altri titoli negoziati in mercati regolamentati italiani o esteri, in base alla media aritmetica dei prezzi rilevati nell'ultimo mese; b) per le altre azioni, per le quote di società non azionarie e per i titoli o quote di partecipazione al capitale di enti diversi dalle società, in proporzione al valore del patrimonio netto della società o ente, ovvero, per le società o enti di nuova costituzione, all'ammontare complessivo dei conferimenti; c) per le obbligazioni e gli altri titoli diversi da quelli indicati alle lettere a) e b), comparativamente al valore normale dei titoli aventi analoghe caratteristiche negoziati in mercati regolamentati italiani o esteri e, in mancanza, in base ad altri elementi determinabili in modo obiettivo".

(4) L’articolo 1, comma 2 del decreto internazionalizzazione ha previsto al D.P.R., n.600 del 1973, dopo l'articolo 31-bis l’inserimento del seguente articolo: "Art. 31-ter (Accordi preventivi per le imprese con attività internazionale). - 1. Le imprese con attività internazionale hanno accesso ad una procedura finalizzata alla stipula di accordi preventivi, con principale riferimento ai seguenti ambiti: a) preventiva definizione in contraddittorio dei metodi di calcolo del valore normale delle operazioni di cui al comma 7, dell'articolo 110 del testo unico delle imposte sui redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e dei valori di uscita o di ingresso in caso di trasferimento della residenza, rispettivamente, ai sensi degli articoli 166 e 166-bis del medesimo testo unico. Le imprese che aderiscono al regime dell'adempimento collaborativo hanno accesso alla procedura di cui al periodo precedente anche al fine della preventiva definizione in contraddittorio dei metodi di calcolo del valore normale delle operazioni di cui al comma 10 dell'articolo 110 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986."

(5) Per i periodi d’imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2015, a seguito della novità introdotte dall’articolo 1, comma 142, lettera a) della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità per il 2016), le disposizioni dei commi da 10 a 12 bis del citato articolo 110 sono state abrogate e, di conseguenza viene meno anche l’interpello probatorio per tale fattispecie.

(6) Nel regime ante 2008, con riguardo alla individuazione dei regimi fiscali privilegiati, al comma 10 dell’articolo 110 del TUIR era previsto che "Si considerano privilegiati i regimi fiscali di Stati o territori individuati, con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, in ragione del livello di tassazione sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia, ovvero della mancanza di un adeguato scambio di informazioni, ovvero di criteri equivalenti".

(7) Il decreto ministeriale 22 marzo 2002 ha espunto Singapore dall’elenco di cui all’articolo 1 del d.m. 23 gennaio 2002 e lo ha inserito nell’articolo 2 del medesimo decreto.

(8) Cfr. art 1, comma 144, della legge 28 dicembre 2015, n.208 (legge di stabilità 2016).