Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 23 giugno 2016, n. 13069

Inps - Contribuzione - Disoccupazione involontaria - Assicurazione obbligatoria - Obbligo

 

Svolgimento del processo

 

1. L'Azienda Pubbliservizi Brunico (d'ora in poi solo Azienda), con sede in Brunico, ha proposto opposizione dinanzi al Tribunale di Bolzano contro la cartella esattoriale notificata nell'interesse dell’Inps, con la quale le si intimava il pagamento di contributi per l'assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria relativi al periodo 1° novembre 2001-31 novembre 2006.

2. Il Tribunale di Bolzano, nel contraddittorio delle parti e di F. s.p.a., intervenuta adesivamente, ha accolto l'opposizione e ha annullato la cartella.

3. L'Inps e la SCCI s.p.a. hanno proposto appello e la Corte d'appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, con sentenza depositata il 20 novembre 2009, lo ha accolto ed ha rigettato l'opposizione proposta dalla Azienda. Ha quindi condannato l'Azienda a corrispondere agli appellanti le spese di entrambi gradi del giudizio.

4. A fondamento del decisum la Corte ha ritenuto sussistente l'obbligazione contributiva sul presupposto che l'azienda non aveva dimostrato il particolare regime stabilità del rapporto di lavoro dei suoi dipendenti, condizione questa soltanto che consentiva l'esonero. Ha rigettato l'eccezione di prescrizione relativa ai crediti anteriori al gennaio 2002 (pag. 32 della sentenza), in quanto genericamente formulata, e l'eccezione relativa all'entità delle sanzioni, correttamente commisurati all'ipotesi dell'evasione contributiva e non a quella, meno grave, dell’omissione, in difetto di prova della presentazione da parte della società dei modelli D.M. 10 in relazione ai contributi di cui si tratta.

5. Contro la sentenza, l'Azienda propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, cui resiste con controricorso l'Inps, anche quale mandatario della società di cartolarizzazione dei crediti. La F. - Federazione delle imprese energetiche e idriche non svolge attività difensiva. La Azienda deposita memoria.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo l'Azienda censura la sentenza per violazione o falsa applicazione delle norme del contratto collettivo nazionale di lavoro, in particolare degli artt. 46 e 48 del C.C.N.L. 9 luglio 1996 per i dipendenti delle imprese locali dei servizi elettrici e degli artt. 25 e 54 C.C.N.L. 24 luglio 2001 dello stesso settore. Deduce che la Corte ha erroneamente interpretato l'art. 54, ritenendo che esso non abbia sancito l'ultrattività del precedente contratto del 9 luglio 1996, con la conseguenza che, sempre secondo il giudice d'appello, il contratto del 2001 conterrebbe una compiuta disciplina delle forme e delle cause di risoluzione del rapporto di lavoro non improntata al criterio della determinazione a priori e tassativa delle stesse, bensì al criterio opposto. Al contrario, secondo la ricorrente, dalle clausole del C.C.N.L. per i dipendenti delle imprese locali per i servizi elettrici, rispettivamente, del 1996 (artt. 46 e 48) e del 2001 (artt. 25 e 54), era possibile ricavare una tipizzazione delle cause di licenziamento, tutte inquadrabili nella (e rappresentative della) nozione di "giusta causa" di cui all'art. 2119, comma primo, cod.civ., così soddisfacendo il requisito della "stabilità di impiego" al quale era subordinato, all'epoca dei fatti, l'esonero dall'obbligazione contributiva per l'assicurazione contro la disoccupazione involontaria.

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione di legge in relazione all'art. 1362, comma 2°, cod.civ., 2697 cod.civ., 115 e 116 cod.proc.civ., nonché il vizio di motivazione. Assume di aver chiesto di provare sia in primo sia in secondo grado che non erano mai stati intimati licenziamenti individuali per cause diverse dalla giusta causa e che non sì era mai proceduto a licenziamenti collettivi, sì da far emergere in concreto l'effettività della stabilità dell'impiego. La mancata ammissione della prova si poneva in violazione dell'art. 116 cod.proc.civ, e le ragioni poste a base del diniego - consistenti nei fatto che la prova come articolata avrebbe conferito al teste la piena disponibilità e discrezionalità in ordine alla conferma di circostanze genericamente allegate e non avrebbe consentito alla controparte di provare il contrario - erano illogiche ed errate. La Corte, inoltre, non aveva motivato in ordine alla mancanza di contestazione da parte dell'istituto previdenziale dolio dell'assenza di licenziamenti collettivi, i quali, ove effettivamente sussistenti, avrebbero dovuto essere conosciuti dallo stesso Istituto in quanto parte del procedimento. Infine, ha censurato la decisione nella parte in cui non aveva tenuto conto e ritenuto decisivi a) i decreti del Ministero del lavoro con cui era stato disposto l'esonero dall'obbligo contributivo per la disoccupazione di molte altre aziende ex municipalizzate svolgenti la sua stessa attività nel settore dell'energia elettrica ed alle quali era applicabile lo stesso C.C.N.L., b) il decreto di esonero dalla contribuzione per la disoccupazione emanato dal Ministero in proprio favore; c) la circolare del 6 maggio 2005 n. 63 con cui l'Inps aveva escluso, con effetto retroattivo, l'esonero dada contribuzione per la disoccupazione di tutte le aziende di Stato il cui capitale fosse stato privatizzato che il Consiglio di Stato con il parere n. 65 del 2006 aveva dichiarato inammissibile sotto il profilo della retroattività.

Con il terzo motivo denuncia la violazione dell'art. 3 L. n. 335 del 1995, dell’art. 116, commi 8 e 10 legge n. 388/2000 e 11 disp. prel- al codice civile, nonché il vizio di motivazione. Lamenta che la Corte territoriale non aveva valutato adeguatamente la sua eccezione di prescrizione, mentre in ordine al regime sanzionatone di cui all'art. 116 legge n. 388/2000 esso doveva trovare applicazione nel caso di specie, riferendosi l'omissione contributiva ad un periodo- successivo all'entrata in vigore della legge e sussistendo un'oggettiva incertezza sulla stessa dovenosità dei contributi (comma 10 L. cit,).

4. I primi due motivi, che si esaminano congiuntamente in quanto connessi, sono infondati.

5. La questione è stata anche di recente affrontata da questa Corte che, con la sentenza 29 agosto 2014, n, 18455, cui sono seguite numerose altre (Cass., n. 25386/2014; n. 25387/2014, 25392/2014) ha ricostruito la normativa di riferimento, vigente all'epoca dei fatti per cui è causa.

Viene in primo luogo in rilievo il R.D.L. n. 1827 del 1935, art. 40, secondo cui "Non sono soggetti all'assicurazione obbligatoria per la disoccupazione involontaria: (...); 2) gli impiegati, agenti e opera/ stabili di aziende pubbliche, nonché gli impiegati, agenti e operai delle aziende esercenti pubblici servizi e di quelle private, quando ad essi sia garantita la stabilità d’impiego;

La Legge n. 264/1949, art.32, lett. b) estende l'obbligo di assicurazione contro la disoccupazione agli impiegati ed agli operai della pubblica amministrazione cui non è garantita la stabilità di impiego.

Il D.P.R. n. 818 del 1957, art. 36, dispone che "Ai fini dell'applicazione del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, art. 40, n. 2, e della L. 29 aprile 1949, n. 264, art. 32, lett. b), la sussistenza della stabilità d'impiego, quando non risulti da norme regolanti io stato giuridico e il trattamento economico del personale dipendente dalle pubbliche amministrazioni, dalle aziende pubbliche e dalle aziende esercenti pubblici servizi, è accertata in sede amministrativa su domanda del datore di lavoro, con provvedimento del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale decorrente a tutti gli effetti dalla data della domanda medesima".

6. Dalla coordinata lettura di tali norme si evince che: anche in relazione al personale dipendente delle aziende esercenti pubblici servizi l'esenzione dall'assicurazione obbligatoria per la disoccupazione volontaria opera soltanto ove ai medesimi sia garantita la stabilità d’impiego; anche in relazione al personale dipendente da tali aziende, la stabilità d'impiego, ove non risultante da norme regolanti lo stato giuridico e il trattamento economico, deve essere accertata dal Ministero competente su domanda del datore di lavoro, con decorrenza dalla data di tale domanda.

7. In difetto di disposizioni di legge o regolamentari specificamente riguardanti la tipologia d'impresa cui appartiene la ricorrente principale, diviene sostanzialmente irrilevante, ai fini in esame, accertare se alla stessa debba o meno essere riconosciuta la qualifica di azienda esercente un pubblico servizio, posto che,, anche in ipotesi affermativa, da ciò non potrebbe farsene derivare, de plano, l'invocata esenzione contributiva.

8. Del pari, non essendo ricomprese le clausole pattizie di cui alla contrattazione collettiva di diritto comune fra le "norme regolanti io stato giuridico e il trattamento economico", l’eventuale stabilità d'impiego garantita da detta contrattazione collettiva non potrebbe di per sé condurre all'esenzione contributiva in difetto di domanda di accertamento al riguardo da parte defl datore dì lavoro e di conseguente riconoscimento di detta stabilità da parte dell'Autorità amministrativa competente.

9. Nel caso di specie risulta che H decreto di esonero è intervenuto successivamente al periodo cut si riferiscono i contributi (dal 1/4/2008 al 21/12/2003) ed è dunque irrilevante ai fini di causa, così come correttamente ritenuto in sentenza (in tal senso, Cass., ord. 3 giugno 2015, n. 11487; Cass. ord. 19 luglio 2015, n. 16097; Cass., n. 13455/2014, cit.; Cass., 30 ottobre 2013, n. 24524; Cass., ord. 8 gennaio 2016, n. 173). Analogamente, nessun rilievo può assumere il riconoscimento dell'esonero disposto da decreti ministeriali in favore di altre aziende ex municipalizzate operanti nel medesimo settore dell'energia, in quanto suppongono una scelta dell’amministrazione non generalizzabile.

10. Alla luce di questi principi appare evidente l'assenza di decisività del motivo di censura riguardante la mancata ammissione della prova testimoniale volta dimostrare in concreto il regime di stabilità di impiego adottato dall'azienda ricorrente, dovendo la stessa risultare come si è detto da un provvedimento amministrativo.

11. Per completezza di disamina deve peraltro rilevarsi l'infondatezza delle censure mosse alla sentenza nella parte in cui, attraverso una ricognizione dei contratti collettivi applicabili ratione temporis, ha escluso che la disciplina pattizia contempli ipotesi di risoluzione del rapporto di carattere oggettivo e tassativamente predeterminate.

12. Al riguardo occorre ricordare che, alla luce dei principi già espressi da questa Corte (cfr. Cass. Sez. Un., 14 ottobre 1988, n. 5570, citata nella sentenza; cui adde Cass., 16 febbraio 2000, n. 1744 e Cass. 5 luglio 2003, n, 10632; Cass., 12 marzo 2012, n. 3363; Cass., 3 giugno 2015, n. 11487), "la stabilità di impiego che, ai sensi dell'art. 40 del R.D.L. 4 ottobre 1935 n. 1827, comporta l'esclusione dell'obbligo di assicurazione contro la disoccupazione per I dipendenti delle aziende private, sussiste - dovendosi essa interpretare in senso pubblicistico - quando, tenuto anche conto dell’accertamento in sede amministrativa ex art. 36 del d.P.R. n. 818 del 1957, ai lavoratori sia riconosciuto un determinato stato giuridico che garantisca foro di non essere costretti a lasciare il posto se non quando ricorra una giusta causa, a norma dell'art. 2119 cod. civ., oppure vi siano altri determinati e giustificati motivi, non soltanto genericamente indicati (come si verifica per la disposizione dell'art. 3 della legge n. 604 del 1966), ma tassativamente stabiliti a priori con criteri restrittivi".

13. La "stabilità d'impiego" che esclude dall'obbligo di assicurazione contro la disoccupazione i dipendenti di aziende private ha,in sostanza, un’intensità maggiore di quella che, ai sensi della L. n. 300 del 1970 per la cosiddetta resistenza del rapporto di lavoro, consente la decorrenza della prescrizione dei crediti del lavoratore pur in costanza di tale rapporto (cfr, ex plurimis Cass. 6 febbraio 1990, n. 809, cit.; Cass., 14 giugno 1983, n. 4090).

14. La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione di questi principi ed ha escluso in concreto che il contratto collettivo del 24 luglio 2001 contenga una disciplina descrittiva "chiusa" delle ipotesi di licenziamento, sì da predeterminarle In modo aprioristico e tassativo. In particolare, ha rilevato che l'art. 25 del contratto, nel prevedere il licenziamento con l'indennità sostitutiva del preavviso (quale reazione alla condotta del lavoratore che commette infrazione alla disciplina e alla diligenza del lavoro non così gravi da rendere applicabile il licenziamento senza preavviso), procede ad elencare una serie di ipotesi che lo stesso art. 25 definisce "a titolo indicativo" ( punto due del comma 7° del l'art. 25) e ciò a dimostrazione della mancanza di una rigidità delle fattispecie idonee a giustificare il licenziamento, condizione questa cui la legge e l'orientamento consolidato di questa Corte subordinano Fa stabilità dell'impiego di cui si tratta. Ha poi rilevato che in nessuna norma il contratto collettivo prevede un esplicito "divieto di licenziamento". Analogo giudizio ha espresso con riguardo al contratto del 1996, rilevando che il primo comma dell'art. 46 si limita a rinviare alle forme di licenziamento con preavviso e con indennità (lett. e), nonché al licenziamento senza preavviso e con indennità (lett, f), che corrispondono nominalisticamente alle ipotesi regolate dal codice civile, senza che sia dettata un'apposita disciplina di dettaglio e tassativa (pag. 17 e 18 della sentenza).

15. Le osservazioni su svolte trovano ulteriore conferma nella disciplina del licenziamento senza preavviso, regolato al punto 3 dello stesso comma 7°, in cui dopo la descrizione, attraverso il ricorso al concetto elastico del "grave nocumento morate o materiale" arrecato all'impresa, del fatto idoneo a determinare questo tipo di recesso, oltre alla commissione di azioni che costituiscono delitto), la norma del contratto collettivo elenca una serie di ipotesi rientranti nei detti concetti, espressamente formulate "a titolo indicativo".

16. Il giudizio espresso dalla Corte è pertanto corretto sotto il profilo logico e rispettoso dei principi giuridici in precedenza enunciati, come tale incensurabile in questa sede di legittimità, Le censure proposte dalla ricorrente sono sotto tale profilo generiche, perché non indicano quale criterio ermeneutico tra quelli previsti dagli artt, 1362 e seguenti codici sarebbe stato violato, ma si limita a prospettare un'interpretazione delle norme collettive più favorevole alla propria tesi.

17. Al contrario, la chiarezza del dato letterale depone nel senso di escludere la previsione, nei contratti collettivi in esame, di un sistema di licenziamenti tipizzato, rigido e conchiuso, e di lasciare alla datrice di lavoro la possibilità dì risolvere il rapporto in presenza di condotte del lavoratore che, pur non specificamente indicate, siano riconducibili ad una delle ipotesi elencate con valenza dichiaratamente esemplificativa.

18. II terzo motivo è in parte inammissibile e In parte infondato. L'inammissibilità sta nel fatto che, con riferimento alla prescrizione, la parte non ha assolto l'onere di specificità e autosufficienza del motivo di ricorso, omettendo di trascrivere gli esatti termini con cui la detta eccezione è stata formulata, nonché il momento processuale e l'atto difensivo o il verbale di causa In cui essa è stata Introdotta in giudizio: un tale onere si imponeva considerato che la Corte territoriale l'ha rigettata sul presupposto che fosse stata genericamente formulata (Cass.,7 ottobre 2014, n. 21083). Quanto invece alla censura riguardante il regime sanzionatorio applicato, al di là della sua formulazione anch'essa generica e astrattamente inidonea a censurare la statuizione impugnata, correttamente la Corte territoriale ha ritenuto dì inquadrare la fattispecie nella più grave ipotesi dell'evasione contributiva in mancanza di prova della presentazione del modello DM 10 in relazione ai contributi di cui si tratta e non apparendo giustificato il richiamo alle "oggettive incertezze" nell'interpretazione della norma, peraltro non seguito dagli adempimenti previsti dall'invocato comma 10 dell'art. 116, L. n. 388/2000. Per completezza deve soggiungersi che le ragioni alla base del decisum del giudice di appello risultano coerenti con la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 27513/2013) secondo la quale il citato comma 10 pone come premessa per la riduzione delle sanzioni civili, in caso di ritardato o omesso pagamento dei contributi "derivanti da oggettive incertezze connesse a contrastanti ovvero sopravvenuti diversi orientamenti giurisprudenziali o determinazioni amministrative sulla ricorrenza dell‘obbligo contributivo , successivamente riconosciuto in sede giurisdizionale o amministrativa in relazione alfa particolare rilevanza delle incertezze interpretative che hanno dato luogo alla inadempienza", l'integrale pagamento dei contributi e dei premi dovuti alle gestioni previdenziali e assistenziali. Condizioni queste che non risultano adempiute dalla ricorrente (in tal senso, Cass., 1 dicembre 2014, n. 25386).

19. Il ricorso deve essere rigettato. L'obbiettiva controvertibilità della questione, come attestata anche dai diversi esiti dei giudizi di merito giustifica la compensazione delle spese del presente giudizio.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e compensa (e spese del presente giudizio.